Il fastidio di pensare – La verità con largo seguito

Noi abbiamo una grande stima di Marco Travaglio, che consideriamo un grande giornalista, ma ha varie debolezze

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Partiamo da una premessa: noi abbiamo una grande stima di Marco Travaglio, che consideriamo un grande giornalista. È una persona che scrive in maniera chiara e comprensibile (al livello del “lattaio dell’Ohio”, avrebbe detto Webb Miller), non ha paura di dire quello che pensa, e soprattutto non ha paura, se lo ritiene, di mandarti a ‘fanculo. Bastano appena queste tre cose a fare di uno che deve riempire uno spazio su un giornale un vero giornalista, ma molto raramente si vedono in un paese di retori e di servi come il nostro dove la stampa, o per necessità o per antica tradizione culturale ha sempre un padrone, e quindi quasi mai è al servizio di chi legge ma quasi sempre è al servizio di chi paga.

Detto questo, però, anche Travaglio ha le sue debolezze. Uno è il sostenere una morale rigida, che lo porta a non capire che la politica è fatta di compromessi e di giochi di potere in continua evoluzione, in base al quale ognuno non può fare sempre quello che vuole ma quello che le circostanze gli permettono da un momento all’altro. Gli unici che si possono permettere sempre quello che vogliono sono i dittatori, gli altri devono guardare sempre quello che si possono permettere. Travaglio avrebbe rinfacciato a Giolitti per tutta la vita lo scandalo della Banca Romana, così come ha condannato senza appello Andreotti per la sua zona d’ombra con la mafia durante la guerra fredda; ma noi che guardiamo la storia da una prospettiva più ampia diamo un giudizio più complessivo poiché crediamo che la politica alla Thomas Wilson sia una cosa da moralisti, e poco adatta in un mondo dove ognuno vuole raccattare qualcosa. Anche il suo partito preferito era entrato nell’agone con propositi di ripulita e ne è uscito parecchio macchiato.

Altra cosa che sembra non capire è che avere il coraggio di parlare e avere un largo seguito non vuol dire, di per sé stesso, stare dalla parte della ragione. Anzi noi, per una sorta di ritrosia delle piazze che hanno sempre acclamato chi le sapeva convincere salvo poi insultarlo quando scoprivano di essere state prese in giro, abbiamo una naturale tendenza a stare dalla parte di chi viene considerato nel torto.

Orbene, l’ultimo libro di Marco Travaglio sta incontrando un grande successo di pubblico. Crediamo che ciò sia dovuto al fatto che egli dice agli italiani quello che gli italiani si vogliono sentir dire. E lo sa dire bene, con chiarezza e ironia nella pars destruens, e ci vuol poco: l’Occidente ha molti scheletri nell’armadio. È quando si tratta della pars costruens che Travaglio si scopre, come tutti, nudo. Che la guerra sia una cosa triste, crudele, piena di orrori e che sia meglio la pace, lo si sapeva da sempre, ma le guerre ci sono lo stesso e continueranno. E ci sono perché di tanto in tanto qualche Stato ne aggredisce un altro e poi, come nella favola di Fedro, cerca le sue giustificazioni. E chi vuol difender l’uno, chi l’altro, ognuno troverà i suoi argomenti.

Il vero problema per cui il libro di Travaglio piace agli italiani è, a essere crudi, quello del pacifismo alla Michele Santoro: la guerra è costosa, e non la vogliamo pagare noi. Insomma, si massacrino tra di loro e non rompano le scatole. Ma lo dice in maniera più suadente, tanto per farci sentire la coscienza a posto. Con somma ipocrisia intanto si nasconde dietro la Costituzione: è la legge che ce lo chiede, non è mica un’opinione mia: questa Costituzione sgangherata a volte diventa anche un contenitore di sacri principi. Ma poi ha anche un rimedio giusto, super partes: un referendum, così saranno le popolazioni stesse a decidere da che parte stare e tutti sono contenti. Si tratta del sacro principio di autodeterminazione dei popoli. Questo principio in realtà è un concetto che non è mai esistito se non nella mente di qualche idealista romantico, e il motivo è ovvio.

Se fossero gli abitanti di un territorio a decidere il loro destino politico, le carte geografiche cambierebbero i loro confini politici ogni sei mesi, senza nessun criterio. In realtà lui che ama tanto le costituzioni e che è laureato in giurisprudenza, sa bene che le costituzioni di ogni Stato mondiale difendono innanzitutto (anche quella italiana tra i principi fondamentali) l’unità territoriale come bene supremo e inviolabile e appena un pezzo di Stato ritiene di andarsene per i fatti suoi interviene subito l’esercito: è accaduto in Spagna con la Catalogna, nel Regno Unito, in Italia quando un paio di simpaticoni salirono sul campanile di San Marco a proclamare l’indipendenza del Veneto: pensavano di giocare e finirono in carcere per eversione (e, detto en passant, ci fu un incidente diplomatico con l’Austria qualche mese fa solo perché questa aveva proposto di dare la doppia cittadinanza agli altoatesini). E questo solo nella civilissima Europa; se si guarda negli altri continenti si vedrà che ci sono dispute anche per isolotti che neanche compaiono sulla carta geografica. Lui invece pensa che uno Stato possa cedere un terzo di territorio con un referendum, e poi stare a guardare.

È per questo che ci sono le guerre nel mondo: perché ogni tanto qualcuno vuole la terra di un altro. E le guerre sono brutte, crudeli e la gente muore, e sarà sempre così. E possiamo anche girarci dall’altra parte e dire che non sono problemi nostri, il che è un atteggiamento legittimo. Ma almeno ci si risparmino le ipocrisie.

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