Giornata Nazionale delle Vittime di Covid: un omaggio di cui avremmo voluto fare a meno

Oggi, 18 marzo, il parlamento ha istituito la giornata in ricordo delle vittime di Covid-19. Stasera alle 20, i rintocchi delle campane nel bresciano per commemorare le vittime. Ecco invece il nostro personale omaggio

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Oggi è una giornata come tante: io abito al Sud, precisamente nella Calabria dell’Alto Jonio Cosentino, stamattina ho aperto la finestra e, come il più classico dei luoghi comuni, ho visto il mare (eh sì, il mare ed io siamo proprio vicini di casa). Tre anni fa, se avessi aperto quella stessa finestra, avrei sì visto il mare – nessuno lo ha spostato! – ma non avrei visto il signore che porta fuori il cane, la ragazza che beve il caffè al baretto del paese, le signore che fanno footing con il cellulare in mano.

Il 18 marzo di tre anni fa, la strada che costeggia il mio mare era deserta per colpa della pandemia. Che parola strana… pandemia! Prima del 2020 molti di noi neanche conoscevano questo termine, al massimo si sentiva qualche volta al telegiornale ma si sa, “è l’aviaria…. è la malattia della zanzara” insomma, quelle epidemie strane che accadono nei paesi del Terzo Mondo i quali, per fortuna, sono così distanti da noi da non riguardarci. Quelle cose tipo “tanto a noi non può succedere”.

E invece è successo. 3 anni fa il Coronavirus ci ha colpito e ci ha cambiato le vite, per sempre. “L’epidemia della distanza”, la chiamerei io: isolati nelle nostre case, con i familiari più stretti vicini ma non troppo, senza toccarci, senza una carezza, di baci neanche a parlarne. Eravamo lì, chiusi in casa a cercare disperatamente disinfettanti, a guardare tutorial su come realizzarli da soli, ad uscire terrorizzati a fare la spesa vestiti come gli “acchiappafantasmi” ma tronfi, perché noi la mascherina l’avevamo trovata a differenza della vicina pettegola. Panificavamo in cucina neanche fossimo fornai, seguivamo allenamenti su Youtube con una gamba a terra ed una sul divano; i nostri figli hanno cominciato a tribolare (con insegnanti e genitori al seguito) con l’infelice “didattica a distanza”, copiando compiti, saltando lezioni: tanto “ci promuovono tutti, c’è il Covid!”.

Intanto però la gente moriva. Di una morte atroce e sconosciuta, di un virus che ti si infilava nei polmoni e te li distruggeva così, nel giro di pochissimo tempo. Terapie intensive che esplodevano, medici ed infermieri costretti a turni massacranti per tenere a bada il contagio, molti di loro morti per colpa di quel Coronavirus che cercavano di curare. Il 18 marzo non è una data scelta a caso, non è il giorno in cui mi sono affacciata alla finestra e non ho visto nessuno: è il momento in cui, in silenzio, abbiamo visto sfilare in TV quella lunga coda di camion militari stipati di bare. 

Oggi non me la sento quindi di speculare sulla questione: che sia stato il pipistrello malato, il virus uscito dal laboratorio cinese, l’attacco degli oligarchi russi o il complotto statunitense per decimare la popolazione poco mi importa; e poco mi importa dei vaccini rischiosi (io stessa sono vaccinata!), di quelli ritirati dal commercio, delle pillole miracolose e del Covid che non esiste. Oggi, 18 marzo, ricordiamo “l’epidemia della distanza” e il vuoto che ci ha lasciato dentro. Oggi omaggiamo tutte quelle persone, padri, madri, nonni, figli di qualcuno che sono morti soli, senza una carezza, senza un addio.

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