Il Ponte sullo Stretto e il Popolo di giganti

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C’era una volta un popolo di giganti. Un popolo che era il faro e il fulcro del pianeta, che ha consegnato all’umanità splendide città e sontuosi templi, prodigiose opere d’arte e sapienti mestieri. Al centro degli scambi commerciali e culturali del mondo conosciuto, osava oltre le conoscenze per raggiungere nuove conoscenze, alimentando un laboratorio aperto di idee e di confronto in cui l’intelligenza umana e la sua espressione non si ponevano né limiti né confini.

Si è nutrito di molteplici civiltà per divenire equilibrata sintesi di millenni di storia e di cultura e, da sempre, si è interrogato e ha sognato il Ponte sullo Stretto.

Oggi i discendenti di questo straordinario passato provano a mettere insieme i cocci di una storia più recente che ha penalizzato le loro terre, ma resta il fatto che da quel popolo ereditano il DNA. Riconoscono il dovere di riacquisire la consapevolezza della storia, delle capacità, della creatività, della visione, per riprendersi il proprio posto nella storia che verrà.

Ma per volere il ponte, in fondo, non serve essere giganti, basta soltanto applicare la ragione, leggere i dati disponibili e guardare al futuro.

Non influisce negativamente sull’ambiente rispetto all’attuale situazione; favorisce gli scambi commerciali; si innesta su una traiettoria strategica dalla Scandinavia al sud Europa; consente il passaggio dei treni verso la Sicilia, con tempi nettamente inferiori agli attuali, incentivando le possibilità e l’interesse a sostenere l’alta velocità; diviene attrattore turistico per la grandiosità dell’opera; i test antisismici confermano che solo un terremoto di proporzioni eccezionali potrebbe creare danni e sicuramente il danno principale, in quel caso, non sarebbe il ponte; potrà essere finanziato in parte con fondi europei; verranno turisti da tutto il mondo per vedere lo Stretto e tutto ciò che c’è intorno; creerà lavoro per la costruzione, per la manutenzione e soprattutto per l’indotto.

E sì, le navi solcheranno ancora lo Stretto, si potrà continuare a pescare il pesce spada come da tradizione, la fauna marina abiterà ancora nei suoi fondali,  il mare resterà balneabile e il meraviglioso panorama si arricchirà di un elemento che attraverso un forte contrasto restituirà il senso della pacifica convivenza dell’uomo con la natura.

Lo Stretto di Messina e il Mediterraneo, l’Etna e l’Aspromonte. E poi il chilometro più bello d’Italia di Reggio Calabria, il magnifico borgo di Chianalea, la splendida Taormina, saranno rilanciati e faranno da traino per i luoghi meno conosciuti.

Vedrà finalmente la luce l’area dello Stretto, una sponda supporterà l’altra, l’economia dell’una sosterrà l’economia dell’altra.

La traiettoria europea in questo luogo si aprirà alle traiettorie internazionali verso e dai paesi in via di sviluppo, divenendo un hub commerciale strategico.

Sarà un’infrastruttura materiale straordinaria, ma sarà soprattutto un’infrastruttura culturale di apertura a nuovi mondi e a nuove opportunità, emblema del cambio di rotta, della rivoluzione di mentalità, della riappropriazione dell’orgoglio. Renderà il potere dell’ispirazione e la forza della speranza, che questa generazione lascerà alle prossime.

Il popolo dello Stretto tornerà ad essere un popolo di giganti.

Non basta un ponte, lo sappiamo bene tutti. Ma da qualche parte bisogna pur cominciare e, a questo punto, quando di prospettive ce ne sono ben poche, l’unica soluzione è cominciare alla grande.

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