Occhiuto e l’autonomia

StrettoWeb

Da calabrese ho letto con disappunto che il Presidente della nostra regione, Roberto Occhiuto, ha dato il suo consenso nella Conferenza dei presidenti al varo dell’autonomia differenziata nella versione del ministro Roberto Calderoli. Per quel poco che vale il giudizio di una persona che segue il tema dell’autonomia su questo giornale da oltre un decennio, trovo stupefacente accettare una proposta interamente costruita dal ministro Calderoli, un personaggio, sul piano umano inappuntabile, ma sul piano politico inattendibile. Meglio, attendibile per il suo movimento. Un personaggio capace di qualsiasi gesto istituzionale per portare acqua al proprio mulino, che è quello della Lega.

Non bisogna infatti dimenticare che il movimento di Bossi nasce “statutariamente” contro il Sud e tale resta nei suoi invincibili cromosomi. Specie in questo momento storico in cui Salvini, avendo perso, rispetto al 2019, molti consensi, appare accerchiato da Bossi e Zaia. D’altra parte, com’è a tutti noto, Calderoli è stato in passato l’autore di una legge elettorale che lui stesso definì “una porcata”. Uno strumento legislativo destinato ad avvantaggiare esclusivamente la sua parte politica, ma destinato anche a rappresentare l’origine delle altre vergognose leggi elettorali di questi anni. Tutte finalizzate a sottrarre ai territori la possibilità di scegliere i propri parlamentari, per consegnarla in mano ai segretari nazionali di partito. Di qui soprattutto la modestia della selezione e il conseguente dilagante astensionismo. Ricordo, tornando al tema dell’autonomia, che sono molti negli ultimi tempi i gesti istituzionali del ministro Calderoli che alimentano, più che sospetti, certezze sulle sue intenzioni. La legge che si accinge a varare, si avvale di decreti del governo, i famosi Dpcm. Il Parlamento viene completamente esautorato, nel senso che non potrà né discutere, né emendare il testo. Questo, in quanto “legge rinforzata” si sottrae anche al referendum abrogativo ex art. 75 della Costituzione. I consulenti della commissione governativa che dovranno definire i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, sono in buona parte appartenenti alla Lega e alcuni addirittura scovati nell’entourage giuridico di Zaia, il presidente del Veneto, il quale, sull’attuazione dell’autonomia, ha condotto in questi anni una battaglia forsennata.

Un presidente che sogna di rinnovare i fasti della Serenissima e che, per fare un solo esempio, intenderebbe, se gli venisse trasferita la scuola – l’elemento fin dal 1861 più fortemente identitario degli italiani – arriverebbe a imporre, attraverso nuovi ordinamenti scolastici, lo studio prioritario della lingua veneta rispetto a quella italiana. Si tenga conto che i Lep sarebbero solo determinati, per usare il verbo dell’ultima stesura, ma non finanziati, come si lascia credere. Per il semplice fatto che non ci sono le risorse per attuarli. Si tratta di una cifra enorme, alcuni economisti parlano di circa 80 miliardi, che da venti anni nessuno riesce a reperire. Ancora. Non esiste un euro per i livelli essenziali, non esiste un euro per tentare di ridurre i divari tra un territorio e un altro.

Insomma nella proposta che fa Calderoli “tutto si determina ma nulla si attua”, come afferma Massimo Villone. L’unico testo che parte per davvero, questo sì, è quello dell’autonomia differenziata. Approvata la quale, Zaia, in base al terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione tratterrebbe per sé il 90 per cento dei tributi della sua regione, oggi in buona parte destinate allo Stato che poi le trasferisce nei territori sulla base di un principio di solidarietà. Un provvedimento che impoverirebbe mortalmente il Sud. Si realizzerebbe per questa via un vecchio slogan leghista delle origini “Padroni a casa nostra!”. Mi domando a questo punto: ma a fronte di tutti queste bugie, omissioni, parti in commedia che Calderoli utilizza per fare approvare l’autonomia, a nessuno viene il sospetto che nasconda un’impostura di fondo? Stiamo parlando di temi come la scuola, la salute, diritti fondamentali dei cittadini che impongono passaggi istituzionali della massima trasparenza perché è in gioco la stessa unità del Paese.

Si dirà ma è possibile che un partito di governo con il solo otto per cento può decidere uno scompiglio istituzionale di questa portata? Anch’io ho pensato per qualche mese che Meloni, Berlusconi non l’avrebbero mai permesso. Oggi ho molti dubbi. L’uscita ipotetica dal governo, solamente minacciata tra le righe nei discorsi a due da parte della Lega, porterebbe a una crisi senza sbocco. Non esiste più infatti un Pd di governo utile per tutte le stagioni. Per quanto possa apparire incredibile, si andrebbe diritto alle elezioni e queste sgomentano tutti. Specie chi governa. I presiedenti di regione con la forza della propria autonomia e del vincolo costituzionale avrebbero potuto costituire un argine alla follia della Lega. Peccato.

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