Le Regioni hanno approvato ieri il disegno di legge del ministro Calderoli sull’autonomia differenziata: soltanto Emilia Romagna, Toscana, Campania e Puglia hanno espresso parere negativo, tutte le altre hanno dato un voto favorevole. Appare subito evidente, quindi, che gli schieramenti “pro” e “contro” questa riforma non sono assolutamente legati alla geografia del Paese, quanto al colore politico delle amministrazioni locali. Tutte le Regioni governate dalla destra hanno espresso parere favorevole, tanto al nord quanto al sud, mentre quelle governate dalla sinistra hanno dato opinione contraria.
Il racconto di una riforma che sia voluta e realizzata dai “nordisti” e che sia “contro il Sud”, quindi, è soltanto una narrazione strumentale a logiche di natura politica. Se davvero questa riforma fosse così tanto favorevole alle Regioni più ricche del Nord, per quale motivo Emilia Romagna e Toscana dovrebbero opporsi? E se facesse davvero così tanti danni al Sud, è possibile che su sei amministrazioni regionali di destra democraticamente rappresentanti del popolo in Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, neanche una abbia deciso di opporsi?
Il particolare più bizzarro del dibattito politico in corso sull’autonomia differenziata è che gli oppositori sostengono di non volere che in Italia esistano “cittadini di serie A e cittadini di serie B”, ma anche i favorevoli argomentano pubblicamente le loro ragioni sul punto che in Italia non debbano esserci “cittadini di serie A e cittadini di serie B”. I primi, contrari alla riforma, partono dal presupposto che sarebbe la riforma a determinare divisioni e spaccature nel Paese, come se invece l’attuale assetto di competenze nazionali e locali consentisse una sorta di parità. I secondi, invece, favorevoli alla riforma, partono dal presupposto che già oggi in Italia esistono “cittadini di serie A e cittadini di serie B” a causa delle storture dell’attuale assetto dello Stato, al punto che con questa legge intendono risolverle e superarle. Chi tra i due abbia ragione, oltre all’evidenza della quotidianità di tutti i giorni, lo rivela la mappa che mostra il PIL pro capite regionale del Paese aggiornato ai dati Istat del 2021.
Alla luce dell’attuale situazione del Paese, in cui il Sud è povero, emarginato, periferico, degradato, dovrebbero essere proprio i meridionali (come effettivamente hanno fatto nella loro quasi totalità i governatori meridionali) a voler cambiare le cose e pretendere un cambiamento radicale nel sistema amministrativo del Paese. Dovrebbero essere i meridionali a pretendere qualcosa di nuovo che finalmente possa innescare uno sviluppo di questa terra oggi in ginocchio. E invece dalla pancia del Sud arriva un rigurgito di posizioni reazionarie, ostili all’innovazione e all’ammodernamento dello Stato, nonostante i numerosi esempi di un federalismo virtuoso che consente agli enti locali di avere maggiore sovranità nel contesto di uno Stato centrale sulla falsariga di Stati Uniti d’America, Canada, Australia, ma anche gli europei Germania, Svizzera, Austria, Belgio, oltre a India, Russia, Brasile, Argentina, tutte Repubbliche federali e tutti Paesi con un enorme senso nazionalistico e soprattutto tra gli Stati più ricchi, evoluti, e sviluppati dell’intero pianeta.
L’autonomia differenziata e il grande paradosso dei nostalgici dei Borbone: da anni lottano per un Sud più autonomo, e adesso si oppongono alla riforma
Il più grande paradosso di tutta questa vicenda riguarda le posizioni dei revisionisti del Risorgimento, cioè quei personaggi politici e intellettuali che cercano di riscrivere la storia della nascita dell’Italia con un forte senso nostalgico nei confronti dei Borbone e del Regno delle due Sicilie. Secondo questi pensatori, il Sud Italia sarebbe stato defraudato delle proprie ricchezze dagli “invasori” e “oppressori” del Nord. Le ragioni del sottosviluppo e dell’arretratezza del meridione, quindi, sono esclusivamente responsabilità dei “barbari“, come li definiscono, che camperebbero sulle spalle del sud (!). Senza alcun tipo di autocritica sulle responsabilità autoctone, questi nostalgici dell’era pre-unitaria propongono come soluzione il ritorno al passato: l’autonomia del Sud, possibilmente totale (quindi secessione e indipendenza), dall’Italia “ladrona“. Una sorta di Lega della prima ora, ma che nasce dal Sud con spirito secessionista e indipendentista.
A ragion di logica, dovrebbero essere proprio questi pensatori a doversi battere per una maggior autonomia delle Regioni meridionali. E invece, ecco il paradosso, oggi che lo Stato propone una riforma autonomista che consentirebbe agli enti locali di avere enorme autonomia sulla gestione pubblica, loro cosa fanno? Anziché esultare, si oppongono. In contraddizione con se stessi: danno all’Italia le colpe dell’arretratezza del Sud, e però fanno le barricate contro una riforma che consentirebbe al Sud di avere maggior indipendenza, autonomia e sovranità rispetto al potere centrale di Roma.
Nel merito della questione, giova ricordare quanto accaduto negli ultimi anni con il commissariamento della sanità calabrese. Una brutta vicenda che ha visto gli amministratori locali lavorare bene nell’interesse dei calabresi per rientrare dal debito in un lavoro poi però vanificato da un decennio di commissari mandati da Roma senza interessi nei confronti del territorio locale, al punto che il debito si è ulteriormente gonfiato a dismisura. Oggi Occhiuto ci ha messo la faccia e sta, con enorme coraggio, provando a risolvere il problema come pochi giorni fa ha spiegato il dott. Gianluigi Scaffidi proprio ai microfoni di StrettoWeb:
Un altro esempio è quello del commissariamento dei comuni, che vede nella quasi totalità dei casi un peggioramento dei conti pubblici e soprattutto una totale paralisi dell’attività amministrativa precedentemente realizzata in modo virtuoso dagli amministratori locali democraticamente eletti. Emblematico e attuale il caso di Sant’Eufemia d’Aspromonte che ieri abbiamo ripercorso con l’ex Sindaco Mimmo Creazzo:
La riforma dell’autonomia differenziata vuole risolvere proprio queste (e molte altre) storture, abbattendo la burocrazia e concedendo maggiori poteri alle classi politiche locali, dando responsabilità precise agli amministratori direttamente eletti dal popolo nei comuni, nelle province e nelle regioni. Non è forse proprio ciò che i revisionisti del Risorgimento, nostalgici dei Borbone e del Regno delle due Sicilie, auspicano per la rinascita del meridione? Se è il Nord, o comunque l’Italia unita, ad aver ridotto il Sud in povertà, adesso che il Sud può avere maggiore autonomia, non ci dovrebbe essere soltanto da esultare?