Una prostituta per la gestione di tamponi e mascherine: quando la ‘ndrangheta investe sul Covid

Dai tamponi utilizzati per una partita del Monza Calcio è stata avviata un'indagine che ha portato a scoprire come la 'ndrangheta avesse messo le mani sulla gestione del materiale Covid in Lombardia

StrettoWeb

Quanto emerso dalle indagini dei Comandi Provinciali della Guardia di Finanza di Varese e Milano ha dell’incredibile. O forse no. La ‘ndrangheta aveva messo le mani sulla gestione del Covid in Lombardia per tamponi e mascherine. Con i sei arresti di oggi si è così scoperchiato un vaso di Pandora dal quale sono emerse tutte le ombre e le illegalità di una gestione pandemica che da sempre ha suscitato dubbi e perplessità.

Ad occuparsi della gestione del “materiale Covid” in Lombardia, ovvero mascherine e tamponi, erano in sostanza cosche di ‘ndrangheta, e in particolare la “locale” di Legnano-Lonate Pozzolo e quella di Vibo Valentia. Un giro di affari per oltre 4 milioni di euro. Il Covid e la gestione del governo italiano sono stati dunque come manna dal cielo per la mafia.

Oltre a grossi movimenti economici e all’acquisto di società da portare poi al fallimento, spunta un’imputazione che fa riflettere e suscita ira e sconforto nell’opinione pubblica. L’inchiesta della Dda di Milano che ha portato a 6 arresti e che verte anche su infiltrazioni della ‘ndrangheta nell’emergenza Covid, parla anche di sfruttamento della prostituzione. Uno degli indagati, Gianluca Borelli, presunto ‘uomo cerniera’ tra i clan e il medico Cristiano Fusi, avrebbe organizzato “un incontro” tra una prostituta e un dirigente d’azienda. Quest’ultimo, non indagato, ha incontrato la donna in un hotel di Milano. Lo scopo del ‘regalino’ per l’imprenditore era quello di far partire trattative per forniture di “materiale per Covid“.

Inchiesta sulla ‘ndrangheta partita dal Monza Calcio

L’inchiesta dei pm Cerreti e Bonardi è nata da una prima indagine del dicembre 2020 sulla gestione, ritenuta “opaca”, dei tamponi ai giocatori del Monza Calcio, che erano anche stati sequestrati. Già in quella fase vi erano al centro delle indagini proprio Borelli (indagato), pregiudicato per bancarotta, e Cristiano Fusi (indagato), stimato primario della clinica monzese Zucchi e anche ex medico del settore giovanile del Milan, oltre che del Monza. E che aveva pure uno studio alla clinica milanese Madonnina.

Borelli, secondo gli inquirenti, avrebbe eseguito tamponi sia all’interno della Madonnina che per il Monza, pur non essendo un medico. Tra i quasi 60 capi di imputazione contenuti nell’ordinanza, firmata dal gip Tiziana Gueli (la Procura aveva chiesto 19 misure cautelari, ma 6 sono stati gli arresti) c’è anche quell’incontro “organizzato” da Borelli e Fusi tra il manager di un istituto del gruppo San Donato e una giovanissima prostituta. Alla donna sono stati pagati 500 euro per incontrare l’imprenditore in un albergo di lusso di Milano. E ciò in cambio, scrivono i pm, della “utilità consistente nell’avvio di trattative” con l’istituto clinico “finalizzate alla stipulazione di contratti aventi ad oggetto la fornitura di materiale per Covid 19“. Tra cui, ovviamente, mascherine, camici e tamponi.

In una telefonata del settembre 2020 Fusi parlando con Borelli e riferendosi al manager diceva: “Lui è il principino ma… da oggi pomeriggio il principino è sotto scacco, eh?“. Una terza persona, poi, che aveva contattato la ragazza e prenotato la camera d’albergo, diceva: “Speriamo! Dobbiamo chiudere l’operazione“.

Le foto dell’incontro tra imprenditore e prostituta

Inoltre, come apprende ancora l’Ansa, questa terza persona, che era Josef Amini, avrebbe anche avuto “documentazione fotografica dell’incontro da utilizzare per il conseguimento dell’utilità“. E Amini scriveva in una chat: “Tranquillo esce con le ossa rotte“. E Fusi rispondeva: “hai foto?“.

Il blitz di questa mattina della Gdf di Varese e Milano ha sequestrato anche 200mila euro in contanti ad uno degli arrestati. Questo grazie ad un ‘cash dog’, ovvero ad un cane addestrato. In questa occasione è stata trovata anche una lettera di sostegno a uomini del clan dei Mancuso.

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