Il fastidio di pensare – La scienza servizievole

Sappiamo, ora che è passato tutto, che la scienza che non ha la dignità della sua libertà ma si pone al tacito servizio della politica perde ogni valore e produce danni ingenti

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Matteo Bassetti, l’illustre virologo, è tornato a farsi sentire, ma stavolta con una dichiarazione di una umiltà che contrasta con l’atteggiamento tenuto negli ultimi anni. Emerso dall’ombra durante la recente pandemia grazie ad un atteggiamento mediatico che lo aveva eletto come uno dei vertici della intellighenzia medica nazionale mettendogli quasi ogni sera una telecamera davanti, inchinandosi davanti alle sue parole e prendendo per un povero mentecatto chi gli si opponesse (anche se poi, col senno di poi, magari aveva ragione), autocandidandosi, in un momento di autoesaltazione, a ministro della salute nel governo da formare, adesso che a poco a poco stanno venendo fuori i danni delle politiche sanitarie del precedente governo a cui lui dava un avallo e un imprimatur scientifico e morale ecco che, in odor di processi, viene fuori con parole che puzzano tanto di autoassoluzione per tutto ciò (e non è poco) che gli potrebbe venire imputato. Se risulterà che abbiamo sbagliato, dice l’illustre clinico, è stato fatto in buona fede. Non giudicateci per tutti gli errori che emergono adesso, ma per quello che si sapeva in quel momento: si tenga presente il contesto in cui abbiamo operato. Adesso sarà facile rinfacciarci numerosi sbagli, ma si vedano le condizioni di allora in cui, con poetica metafora, si paragona ad una nave che navigava in mezzo a un mare agitato: nulla sapevamo di quello che stava accadendo ed eravamo costretti a procedere a tentoni, quando “qualsiasi scelta era presa al buio” (!), e quindi gli errori che ci sono stati ci devono essere concessi e perdonati. Insomma, per quelle che erano le condizioni “o siamo tutti innocenti o siamo tutti colpevoli”. Quindi, in sintesi, scurdamocce o passato e ricominciamo senza rancore, anche quelli che per avere contestato quelle scempiaggini a suo tempo ci rimisero posti di lavoro e furono radiati dall’albo come fossero dei poveri incompetenti.

A dire il vero quello che l’illustre medico descrive è, fuor di metafora, l’atteggiamento di sempre della scienza, con o senza Covid, che di soluzioni a prescindere non ne conosce e deve sempre proseguire a tentoni, per ipotesi e analisi, e questo modo di muoversi si chiama epistemologia. E proprio perché la scienza non conosce in ogni caso ciò che ha davanti ha bisogno di un atteggiamento umile e di un dibattito continuo. Le scoperte della scienza avvengono sempre muovendosi a piccoli passi e con la massima prudenza: e proprio questo mancò nell’arroganza di queste cosiddette virostars. Il cui atteggiamento non sembrava affatto quello umile dell’uomo di scienza che prosegue titubante con la coscienza di avere davanti la salute e spesso la vita di milioni di persone, ma quello spocchioso e presuntuoso di chi crede la soluzione di averla già tra le mani, e a cui chi ipotizzava una ipotesi alternativa sembrava sempre un uomo sbagliato. Insomma si era mostrato, lui come altri, non un uomo di dubbio, ma un uomo di Veritas, che la soluzione la conosce benissimo e non ha bisogno di procedere a tentoni, che è da sempre quello dell’antiscienzato.

Ma c’è stata anche l’enorme complicità di tutto un sistema che ha permesso a Bassetti (e, ricordiamolo, ad alcuni colleghi) di essere arrivato ad essere quella sorta di santone mediatico. Il sistema politico aveva bisogno di scienziati, o presunti tali, che avallassero e giustificassero le sue scelte, e di tutto un sistema pseudo giornalistico che li mettesse sopra un piedistallo (un po’ , in altro contesto, come Mussolini, quando emanò le leggi razziali, subito trovò illustri docenti universitari a giustificare biologicamente la ratio di tale provvedimento con profonde argomentazioni scientifiche.) E chi si opponeva a Bassetti non era visto come un interlocutore alla pari, ma un incompetente da radiare, uno che non capiva niente di medicina e si opponeva alla scienza e al benessere comune o quando, come per Giorgio Agamben, il suo curriculum era troppo alto da potergli semplicemente dare del povero mentecatto, uno da isolare sottintendendo sottovoce che, poveretto, si fosse rincretinito anzitempo.

Sappiamo, ora che è passato tutto, che la scienza che non ha la dignità della sua libertà ma si pone al tacito servizio della politica perde ogni valore e produce danni ingenti: ma non è un caso nuovo e non sarà questo l’ultimo. Il caso più eclatante è stato, nel Novecento, nell’Unione Sovietica quello del biologo Lysenko, scienziato scadente ma molto ben ammanigliato negli alti vertici della politica stalinista. Fautore di programmi che causarono continue perdite di raccolti e carestie con milioni di morti, eppure nonostante cospicui insuccessi rimase sempre indiscusso e riuscì a fare perdere cattedre, posti negli uffici pubblici e finanche incarcerare chiunque osasse criticarlo tra gli scienziati seri: se avevi le amicizie giuste, non era sulla ragione scientifica che si poteva discutere a quel tempo nell’alto mondo comunista. E rimase nonostante tutto a guidare la scienza sovietica per oltre trent’anni. La nostra dittatura alla fine è durata poco più di due anni. In fondo ci è anche andata bene.

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