Il termine famiglia ‘omogenitoriale’ – il cui prefisso ‘omo’ sta a significare che i due membri della coppia appartengono allo stesso sesso – è ormai sulla bocca di tutti e molti magari credono che esso definisca un fenomeno naturale. È invece chiaro che, almeno dal punto di vista linguistico, è un termine frutto di un collage senza senso: la parola ‘genitore’ definisce ‘colui che genera’ e quindi non può essere riferita a chi ‘non genera’ ma, al massimo, ‘alleva’ qualcuno generato da altri. Un termine che quindi avrebbe senso solo se venisse specificato da un aggettivo, per esempio adottivo o affidatario.
Quando si dice ‘figli di coppie omosessuali’ si definisce qualcosa che non esiste: purtroppo la procreazione umana non avviene per ‘partenogenesi’ e quindi non basta essere compagni di letto perché due maschi o due femmine possano concepire un bambino. Ora, se è vero e necessario che, come sentenziò una volta la Corte Suprema americana, “la camera da letto è da preservare da ogni occhio indiscreto” e, quindi, le attività sessuali che vi si svolgono sono perfettamente libere e insindacabili tranne che non costituiscano reato, non è però altrettanto vero che, fuori dalla camera da letto, le coppie omosessuali (ma, dato il relativismo morale dei nostri giorni, si potrebbero prevedere anche ‘trii’ o ‘quartetti’ che si affermassero come forme di preferenze sessuali) abbiano un diritto illimitato a soddisfare ogni proprio desiderio, per esempio quello di ‘genitorialità’. Un tale desiderio o bisogno potrebbe essere soddisfatto con l’adozione. Ma no, questo non basta!
Quando si parla di omogenitorialità si tende appunto ad affermare un diritto assoluto delle suddette coppie di ottenere un figlio anche ricorrendo alla cosiddetta ‘maternità surrogata’, alias ‘utero in affitto’, che con i progressi della scienza medica, si è resa disponibile come nuova ‘tecnica’ procreativa: nel caso di coppie omosessuali composte, per esempio, da due donne, si può giungere a questo paradossale triangolo riproduttivo: una delle donne (c.d. madre biologica) fornisce l’ovocita che sarà fecondato dal seme di un terzo e un’altra donna porta avanti la gravidanza (c.d. madre gestazionale) per poi cedere il ‘frutto del concepimento’ alla coppia desiderosa di genitorialità. La maternità surrogata viene praticata anche da coppie eterosessuali sterili che spesso fanno ricorso alla surrogazione dell’utero e alla donazione di spermatozoi.
Per la legge italiana 40/2004, la maternità surrogata è reato, punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. Il fine del divieto è la tutela della dignità della donna – che dovrebbe essere pagata per questo ‘servizio’ – e del bambino, che dovrebbe essere consegnato a terzi subito dopo la nascita. Per non parlare delle implicazioni morali di una tale compravendita – che sembrano non interessare a nessuno – si dovrebbe essere del tutto ciechi per non vedere gl’insormontabili problemi giuridici che comporta un tale contratto di ‘noleggio’ che permette a quelle persone che, ‘per la contraddizion che nol consente’, non possono avere figli e vogliono soddisfare il desiderio di averne.
Negli ultimi tempi, alcuni pensano di aver trovato il sistema per aggirare sia la legge italiana sull’adozione e quella citata che proibisce la ‘gpa’ (orrendo acronimo che sta per ‘gestazione per altri’, quasi si trattasse di ‘gpl’): affittano l’utero in un paese che consente questa pratica e, poi, trascrivono all’anagrafe in Italia il bambino nato da ‘utero in affitto’. Di recente – in seguito alla bocciatura in Parlamento della cosiddetta ‘certificazione europea di filiazione’ (cioè della direttiva che prevede la trascrizione all’anagrafe del rapporto di filiazione stabilito con la maternità surrogata avvenuta in un qualsiasi paese dell’UE) – è riesploso il problema della trascrizione all’anagrafe nati.
L’attuale governo ha ribadito il divieto di trascrizione in esecuzione della sentenza n. 38162/2022 della Corte di Cassazione, che ha ribadito che il riconoscimento del provvedimento straniero attestante il rapporto di filiazione con il “genitore d’intenzione” di un bambino nato da maternità surrogata è contrario all’ordine pubblico; pertanto deve essere esclusa l’automatica trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero attestante il rapporto di filiazione da maternità surrogata, per disincentivare il ricorso a una pratica che asseconda la mercificazione del corpo, spesso a discapito delle donne più vulnerabili sul piano economico e sociale.
La Corte ha inoltre affermato che la tutela del minore, nato da maternità surrogata, può essere assicurata ordinariamente attraverso la sua adozione speciale – che prevede la valutazione da parte del giudice del miglior interesse del minore nel suo rapporto con il genitore d’intenzione – piuttosto che da una trascrizione anagrafica non controllata che può dar luogo ad abusi di vario genere: insomma questa trascrizione è ritenuta illegittima oltre che impossibile in primo luogo perché esclude ipso facto la madre biologica dalla potestà genitoriale e la attribuisce a persone che non hanno alcun legame biologico con il bambino e, nel caso di coppie omosessuali, si darebbe pure il paradosso del riconoscimento di due padri o di due madri; in secondo luogo perché la trascrizione verrebbe richiesta ai comuni compiacenti, cioè non di residenza della coppia ma a scelta di questa che, dopo avere affittato l’utero per esempio in Canada, va alla ricerca in Italia di un sindaco che ha deciso di violare la legge. Una tale registrazione anagrafica non è altro che un ‘outing’ – termine di moda che definisce l’annuncio con il quale i membri di queste coppie dichiarano le proprie ‘preferenze sessuali’ (ma a chi interessano?).
Basta andare all’ufficio anagrafe del comune di roccacannuccia e dire ‘questo è mio figlio’ per acquisire la potestà parentale su un minore senza passare per alcun controllo? Basta questo ‘outing’ per legalizzare un atto illegale?
La nuova segretaria del PD, Elly Schlein, che cerca di accreditarsi come il nuovo che avanza, è andata a Milano a capeggiare – insieme con il sindaco Sala che protestava contro il divieto di trascrivere all’anagrafe i bambini gpa nati all’estero – la sommossa delle ‘famiglie arcobaleno’ contro la circolare del ministro degl’interni che invita i prefetti a far rispettare il suddetto divieto. Uno dei ‘masanielli’ di questa piazza, ha addirittura attribuito alla destra di governo un nuovo nume tutelare: Erode invece di San Giuseppe, che per Vendola non altro è che un papà sociale come Nichi Vendola, il quale ha guadagnato questo titolo con la gpa, cioè pagando profumatamente l’utero da cui è nato quello che poi lui ha trascritto come figlio suo: “Ci è costato il ristoro di un anno di lavoro mancato per Sharline. Poi molto, in Usa, pesano le spese sanitarie e la clinica. Non le so dire, davvero. Abbiamo pagato molte cose, mai fatto un conto definitivo”.
Come è noto, il sindaco di Milano è un uomo che si fa sentire e l’hanno sentito perfino nel Parlamento europeo il cui intervento egli aveva invocato. La tempestività della risposta del Parlamento Europeo è stata stupefacente – ma si spiega con la forte influenza che il PD ha sulle istituzioni europee – ed ecco il diktat da Bruxelles al Governo italiano perché revochi “immediatamente la sua decisione discriminatoria non solo delle coppie dello stesso sesso, ma anche e soprattutto dei loro figli”.
È molto discutibile che l’UE abbia il potere di dettare norme su materie come l’anagrafe e di imporre a tutti gli Stati membri uno standard comune per la registrazione dei cosiddetti figli di coppie omosessuali; la trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero e dell’originario atto di nascita è materia di ordine pubblico interno e non, quindi, di competenza comunitaria. Ma, a parte ciò, è veramente difficile capire perché l’atto della trascrizione, che non passa attraverso la valutazione di un giudice, non debba perlomeno essere regolato dalle medesime norme che regolano l’accertamento della paternità e l’adozione o perché non si debba dare esecuzione alla citata sentenza della nostra Corte di Cassazione anziché alla sentenza della Corte di giustizia europea che, preoccupata prioritariamente di sancire “l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere i figli di genitori dello stesso sesso, ai fini dell’esercizio dei diritti conferiti dall’Ue”, dimentica di guardare anche alla tutela dei bambini.
Ci si dovrebbe chiedere infatti se, proprio perché da parte dei sostenitori di tale obbligo si fa una questione di tutela dei diritti del bambino, non si debba piuttosto pretendere, anziché questa trascrizione incontrollata, un attento scrutinio delle procedure, una vigilanza sulle modalità seguite nella procreazione e sull’affidabilità di chi si propone di ‘generare’ bambini con il metodo barbaro della gpa e di ‘importarli’ dall’estero (quasi si trattasse della merce di ‘Amazon’) violando le norme sulla procreazione assistita e sull’adozione.
Per non dare l’impressione di essere un bieco ‘reazionario’ e sebbene mi venga difficile considerare le unioni omosessuali come nuclei familiari naturali, sarei incline ad ammettere che anche una coppia omosessuale possa adottare un bambino in deroga alle leggi vigenti, molto rigorose nel definire i criteri per stabilire sia l’adottabilità del minore sia l’idoneità degli adottanti in modo da garantire ai bambini adottati la sicurezza dei propri diritti e la qualità del trattamento. Forse, per non frapporre molte difficoltà alle coppie omosessuali, bisognerebbe abrogare il comma 3 dell’articolo 6 della legge 149/2001 che prevede che gli adottanti «devono essere … idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare».