La guerra in Ucraina, in corso da oltre un anno e sempre più a rischio di allargarsi ad altri paesi, interroga nel profondo la nostra coscienza. Tutti ci chiediamo se e fino a quando forniremo a quel paese armi e quante e quali. Ma, nel nostro Occidente – che Cirillo e Putin dipingono come terra del degrado morale così come prima i comunisti lo definivano sede dell’oppressione capitalistica mentre ci dicevano che l’URSS era il paradiso terrestre – solo in Italia pare ci siano molti che tendono a nascondersi dietro la cortina fumogena del pacifismo: è molto triste, ma non sorprendente, apprendere che il 50% degl’italiani non è con la Russia né con l’Ucraina e che il 45% è contrario all’invio di armi al Paese aggredito. Né sorprende che molti di essi si preoccupino oggi della durata della guerra, dell’invio delle armi, del pericolo nucleare, della pace universale mentre non se ne preoccuparono, anzi gongolarono, quando, a fomentare la guerra e a fare rischiare l’olocausto nucleare era l’invio di armi dall’URSS e dalla Cina in Corea, in Vietnam, a Cuba.
Dobbiamo purtroppo ammettere che il nostro Paese sta dimostrando ancora una volta di essere uno dei punti deboli – lo è stato già all’epoca della ‘guerra fredda’ quando una buona parte dell’opinione pubblica, antiamericana, pencolava verso l’URSS – e ciò non è effetto soltanto della filosofia del “Francia o Spagna purché se magna” ma anche della faziosità endemica, e ancestrale, della nostra politica, pronta a dividersi anche di fronte ai nemici esterni.
Alcuni – in particolare il Trio Lescano formato da Tarquinio-Santoro-Travaglio, con le voci soliste e stonate di Conte e i suoi fan – ci dicono, ci avvertono, ci implorano di ricorrere alla diplomazia per risolvere la questione territoriale tra Russia e Ucraina e, in nome della pace, si dichiarano disposti a cedere alla Russia tutto ciò che chiede (e che si è già preso o potrebbe prendere). Nel 2014 il presidente Obama – dimentico di quanto fosse stato inutile e dannoso concedere i Sudeti a Hitler – scelse ottusamente di non muovere un dito quando Putin invase la Crimea e mandò le sue truppe in Donbass per alimentare e sostenere la secessione di quelle regioni. Ma quanto sia inutile e pericoloso lasciare mano libera a Putin e alla sua gang – Cirillo, Kadyrov, Prigozhin, Lavrov, Medvedev, etc. – è provato dal fatto che, negli otto anni successivi a queste concessioni, Putin si è potuto riarmare per tentare di ricostituire il suo impero fino ai vecchi confini dell’URSS: è la prova che, concedendogli oggi il dito, dovremo presto lasciargli in bocca tutta la mano.
Berlusconi e qualche suo seguace le sparano grosse sulle responsabilità di Zelensky. Per esempio Flavio Tosi si chiede se Zelenski sia “all’altezza di tessere la tela per arrivare alla pace”. Forse Tosi e Berlusconi non sanno che, almeno nella mente di Putin, la tela per la pace è già fatta: è una tela strappata, è uno smembramento dell’Ucraina molto simile allo smembramento della Polonia sancito dal Patto Ribbentrop-Molotov.
Per non parlare degl’innominabili 5S, potremmo dire che la palma delle acrobazie diplomatiche possa essere attribuita alla Lega che ha tentato di ritagliarsi uno spazio ‘pacifista’ per bocca del suo capogruppo in Senato: «piaccia o non piaccia, dobbiamo rispettare gli accordi internazionali … ma ci chiediamo se gli Stati Uniti e la NATO hanno una strategia per la pace? Chiediamo meno atlantismo in modo che l’Italia riprenda il suo ruolo di ‘esploratore’ … cara Meloni serve una riflessione sull’Ucraina: siamo ostaggi della propaganda bellicista … noi siamo preoccupati per l’invio di armi sempre più potenti. Ma quali missili e quali caccia!» Il sen. Romeo forse vorrebbe mandare all’Ucraina solo i tricche-tracche e le castagnole; ma non si senta tranquillo: anche se mandasse all’Ucraina solo queste ‘potentissime armi’, egli non sfuggirebbe alle ire di Medvedev.
A un tale coro pare si stia unendo anche il PD sotto la guida illuminata del nuovo segretario, Schlein, la quale si barcamena tra guerra e pace: “È necessario sostenere il popolo ucraino, non è in discussione. Ma non ci può essere sinistra senza l’ambizione di costruire un futuro di pace. I conflitti non si risolvono solo con le armi». Con la speranza di vedere un “protagonismo forte dell’Unione Europea” e l’obiettivo di arrivare a una “conferenza multilaterale di pace”, la Schlein cerca di mascherare la svolta ‘pacifista’ sbandierando le sue ascendenze ucraine, ma non ci riesce perché, pur di colpire la Meloni per il suo ‘nazionalismo’, ricorda la sua storia familiare antifascista e antinazionalista e dà mandato al suo luogotenente, l’immarcescibile e ubiquo Boccia, di annunciare la nuova linea di politica estera tendente a far sì che l’Europa prenda il controllo sulla NATO per così sottrarsi allo ‘strapotere’ degli Stati Uniti nella determinazione delle strategia ‘atlantica’. Del resto, molte parti del ‘nuovo’ PD non si sottraggono alla tentazione di usare i temi della guerra e degli aiuti in armamenti all’Ucraina per attaccare il governo di ‘questa destra’: per esempio Michele Emiliano – che in televisione si spaccia per ‘ermeneuta’ di Conte ma in realtà parla per se stesso – ha detto papale papale che, in un periodo di difficoltà economiche come quello che stiamo attraversando, il governo pare colto da un raptus bellicista e sottrae fondi alla sanità per destinarli agli armamenti.
A parte le possibili considerazioni sulla utilità e realizzabilità di una tale linea, non è sbagliato pensare che, con questo rigurgito delle pulsioni anti-americane dei vecchi comunisti, la Schlein stia pagando il suo debito elettorale ai vari Scotto, Bersani, etc., ma anche a Conte e ai 5S, che pare abbiano concorso alla sua elezione con una massiccia iniezione di voti. Ad essere onesti, bisogna ricordare che una tale linea è stata sostenuta anche da Romano Prodi che si è detto stupefatto – come la sua stessa faccia testimoniava – di come gli aiuti all’Ucraina non si stessero accompagnando a una linea diplomatica per fare cessare la guerra e ha esclamato: «non possiamo assuefarci a una guerra infinita!».
Bravi! Vadano a dirlo a Putin che ha concepito la sua ‘operazione speciale’ come una sorta di una nuova Holodomor, lo sterminio per fame con il quale Stalin piegò l’Ucraina alla dominazione sovietica.
Nell’intervista al ‘Corriere’ e ‘Repubblica’, Papa Francesco esprime preoccupazione per il conflitto in Ucraina, a suo avviso diventata già «una guerra mondiale, cominciata a pezzetti … Perché le grandi potenze sono tutte invischiate». Ma non si può dire che la sua ansia per la pace venga chetata dall’atteggiamento dei russi visto che aspetta ormai da più di un anno che gli si apra una ‘finestrina’: «Il secondo giorno della guerra sono stato all’ambasciata di Russia presso la Santa Sede a dire che ero disposto ad andare a Mosca a patto che Putin mi lasciasse una finestrina per negoziare. Mi scrisse Lavrov dicendo grazie ma non è il momento». Bergoglio però non ha mai ricevuto da Lavrov un’altra lettera in cui gli si dicesse ‘vieni, il momento è arrivato’.
Ora, il Papa, pur riconoscendo che la Russia agisce in funzione dei suoi ‘interessi imperiali’, pensa che la via per la pace sia quella di far tacere gl’interessi «degli imperi di altre parti», e attribuisce così agli Stati Uniti la maggiore responsabilità della situazione attuale.
Tra le più stridule delle voci stonate vi è quella dell’ex ambasciatore Sergio Romano che non ha esitato a perdere la sua fama di esperto con una serie di affermazioni piuttosto criptiche consegnate in una recente intervista al ‘Corriere della Sera’: 2Credo che anzitutto bisognerebbe interrogarsi sulle ragioni per cui questa guerra è scoppiata e quali sono le motivazioni che tendono a farne un conflitto quasi inarrestabile. Tenga presente che in questa guerra c’è una forte componente antirussa. In altre parole, è una guerra contro la Russia. Non è presentata come tale per una serie di ragioni, alcune giustificabili altre no, ma il Nemico c’è e per tutti quelli che sono impegnati nel conflitto quel Nemico è la Russia. Naturalmente la Russia si difende. Quelli che maggiormente hanno desiderato una guerra contro la Russia non hanno ottenuto, quanto meno per il momento, i risultati che speravano. La Russia si difende con una certa efficacia e a questo punto è diventato estremamente difficile per coloro che la desiderano e l’hanno desiderata mettere fine al conflitto”.
Non si capisce bene se il sapiente e paludato ex ambasciatore voglia sostenere che a volere la guerra sono stati l’Ucraina e i suoi alleati e non la Russia; non si capisce se egli voglia sostenere che è la Russia a doversi difendere e non l’Ucraina. O, meglio, si capisce fin troppo bene che le serate di San Pietroburgo (per lui, di Mosca) hanno lasciato un segno oscuro sulla visione del mondo di Romano tanto da fargli sentenziare che la NATO avrebbe dovuto cessare di esistere già alla fine della ‘guerra fredda’. Per lasciare il passo alla Russia e alla Cina e a Al-Qaida?
Dino Cofrancesco propone una strada da seguire per la pace: “La Crimea a Putin ed il Donbass federale”. È una proposta più sincera e più onesta perché – al contrario di chi si mimetizza dietro un genberico pacifismo – esce dal generico rivelando i termini sui quali si fonda ma, a mio avviso, è del tutto impraticabile, e per tre ragioni: 1) Se federazione dev’essere, come anche a me piacerebbe, non si capisce perché la Crimea non dovrebbe farne parte e debba invece essere lasciata alla Russia; 2) a meno che non esista una nuova forma di federalismo che io non conosco, uno stato federale ucraino, comprendente il Donbass se non anche la Crimea, dovrebbe avere una politica estera, di difesa e finanziaria indipendente da qualsiasi condizionamento: sarà mai la Russia disposta a concedere a una federazione ciò che oggi nega all’Ucraina unitaria?; 3) una tale proposta, dice Cofrancesco, dovrebbe essere fatta da «un’Europa forte, indipendente, sovrana, quale auspicavano i federalisti dell’’800 e del ‘900, [un’Europa che non si accodi] sempre e in ogni contingenza politica, agli Stati Uniti e alla Nato che ne è il braccio armato oltre Oceano»: ora, una tale Europa non esiste e, se esistesse, dovrebbe a mio avviso restare sempre integrata nel sistema di alleanze dell’Occidente per evitare che il pilastro americano su cui oggi essa si regge venga sostituito da uno sino-russo.
Il direttore dell’Avvenire, Tarquinio, dice che l’Occidente manda armi all’Ucraina per fare la guerra per procura alla Russia e insinua perfidamente che gli Stati Uniti stiano dissanguando gli ucraini per soddisfare gli sporchi interessi dei fabbricanti di armi: sono quasi le stesse parole usate da Putin che ha accusato gli Stati Uniti e la Gran Bretagna di voler fare una guerra alla Russia fino all’ultimo ucraino. L’angelico Tarquinio pensa che l’Occidente si sia impegolato in Ucraina con il falso alibi della difesa della democrazia che invece vigliaccamente e ipocritamente non difende nei 197 conflitti in corso nel mondo e si volta dall’altra parte: egli sa di dire una grossa sciocchezza ma, infuocato dal suo anti-occidentalismo, la dice lo stesso e fa finta di non capire che è necessario aiutare l’Ucraina a difendersi; fa finta di non che la posta in giuoco è l’equilibrio e la sicurezza del mondo: se vuole continuare a esistere e a difendersi, l’Occidente deve mettere in giuoco tutto il suo peso là dove occorre: in Ucraina, in Medio Oriente, nel Pacifico, in Africa.
Sappiamo benissimo che l’Occidente non è un mondo perfetto e non abbiamo bisogno che i vari Tarquinio ce lo ricordino: nemmeno il Vaticano è perfetto ma ciò non significa che lo si debba demolire o lasciare ai suoi nemici. Ci spiace ma dobbiamo ammettere che la pace non si costruisce con le parole – nemmeno con quelle sagge del Papa – ma, ahimè, solo mostrandosi decisi a difendersi: a costo di una nuova ‘guerra fredda’, di un nuovo ‘equilibrio del terrore’ che ci assicurarono la pace instabile del dopoguerra. Bisogna che i pacifisti si rassegnino al ‘realismo’!
Ma l’enunciazione più compiuta di una tale linea la dobbiamo al grande teorico della ‘radicalità’, Carlo De Benedetti, il quale pensa che la guerra in Ucraina non riguardi l’Europa e che dobbiamo uscirne al più presto.
I coristi e i solisti della pace pensano dunque che la precondizione delle trattative di pace sia la cessazione dell’invio di armi all’Ucraina e pretendono che si segni la linea rossa oltre la quale non si vada nell’obbedienza agl’imperialisti americani. Forse essi non sanno che il vero ostacolo al raggiungimento della pace sono gli obiettivi che si propone la Russia: questa guerra non è soltanto una questione di confini, di minoranze etniche o di piccoli interessi economici: è una prova di forza che la Russia sta facendo – anche per conto della Cina, che ha tutto l’interesse a far continuare la guerra per tenere gli Stati Uniti impegnati in Europa – per misurare la nostra capacità di resistenza; una cartina al tornasole per trovare i punti deboli dell’Occidente e provare a dividerlo.
Fino a che punto tutto ciò non ci dovrebbe interessare?
Nessuno di questi volenterosi ‘operai della pace’ ha però chiesto che si segni anche la linea rossa che la Russia non deve varcare: la linea oltre la quale tutti, essi compresi, dovremmo essere disposti a batterci per fermare la volontà revanchista-imperialista chiaramente annunziata nel discorso che Putin ha fatto il 21 febbraio scorso davanti a una turba di gerarchi ossequienti: tentando di formare un asse con la Cina e, forse, con l’India, egli ha lanciato un progetto per scardinare l’Occidente.
Un progetto che è stato discusso quando il presidente Xi Jinping – latore di un ‘piano di pace’ per l’Ucraina che ha tutta l’aria di un diktat pro-russo – è stato in ‘missione’ a Mosca dal 20 al 22 marzo per concordare con Putin «un ulteriore sviluppo delle relazioni di partenariato globale e dell’interazione strategica tra Russia e Cina». I due – fiutata la loro consaguineità di dittatori comunisti o ex e, come dice Lavrov, ‘sincronizzati gli orologi’ – hanno varato un piano pomposamente chiamato ‘nuovo ordine mondiale’; un piano che, indorato di miele ucraino per fare inghiottire alla Russia il rospo cinese, intenderebbe sacrificare l’Ucraina o gran parte di essa e la sua prerogativa di stato sovrano alla conquista russa e alla pax cinese. Sulla pace in Ucraina Xi Jinping è stato chiaro: “La risoluzione del conflitto in Ucraina sarà possibile se le parti seguiranno le linee guida del concetto [cinese] di sicurezza collettiva”..
Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes, si domanda: “Chi comanda in Europa?” Egli ha spiegato come la guerra in Ucraina stia ridisegnando gli equilibri in Europa e che «il rumoroso rientro della Cina sulla scena internazionale … potrebbe inavvertitamente prolungare e inasprire il conflitto in Ucraina». Caracciolo è uno studioso di grandi capacità: l’analisi è giusta, l’inavvertitamente è sbagliato; la Cina sa perfettamente che il suo cosiddetto piano di pace per l’Ucraina è un paravento dietro il quale si nasconde la sua strategia egemonica.
Ma ciò che è meno fonato nell’analisi di Caracciolo è l’ipotesi che gli Stati Uniti di Joe Biden siano oggi più interessati a stabilire un asse con la Polonia e i Paesi scandinavi per “alleggerire” il peso di Germania e Francia nella NATO piuttosto che perseguire una strategia unitaria e condivisa da tutti gli alleati. Secondo Caracciolo, “Per tenere i russi a distanza e i tedeschi a bada, la Polonia deve ospitare gli americani in casa e abitare da coprotagonista la casa europea dell’America che è l’Alleanza Atlantica in espansione”.
Non c’è dubbio che a Washington servano alleati in Europa «capaci di partecipare al contenimento della Russia senza pretendere troppo dall’America» e se è vero che gli Stati Uniti cercano in Europa partner strategicamente più affidabili, ciò è perché ve ne sono altri molto meno affidabili come hanno dimostrato di essere la Francia, che insegue la ‘grandeur’ perfino con Macron, o la Germania per un verso e l’Ungheria di Orban per un altro che perseguono una loro ‘ostpolitik’ suicida.
Se ce ne fosse stato bisogno, la velleitaria missione congiunta Macron-Von der Lyen (a questo proposito sarebbe utile sapere se la von Der Lyen è andata a Pechino insieme a Macron su mandato dell’Ue o solo dell’asse franco-tedesco) ha dato la prova di quale sia il ruolo che la Cina intende svolgere in questa svolta cruciale delle relazioni internazionali. I due compagni di viaggio sono andati a Pechino per ricevere nelle proprie mani il diktat di Xi Jinping: la Cina è disposta a non stringere il patto d’acciaio con la Russia a patto che l’Europa si svincoli dall’influenza americana e si disinteressi di Taiwan e del Pacifico; quanto a «riportare la Russia alla ragione», come i due gli hanno chiesto con il cappello in mano, Xi ha concesso la promessa di fare una telefonata a Zelenski quando ci saranno le condizioni, cioè quelle che converranno alla Russia.
La democratizzazione delle relazioni internazionali e il multilateralismo, di cui la Cina si fa paladina (ma la Cina sa forse qualche cosa della democrazia?), sono certamente obiettivi da perseguire ma proprio per questo è necessaria l’unità dell’Occidente. Di fronte al dilemma guerra o pace, un Occidente diviso e indebolito consegnerebbe il mondo ad altre egemonie, alla Cina che non cessa mai di perseguire i suoi obiettivi anche con i più paradossali machiavellismi quali il vertice pechinese tra Cina, Arabia Saudita e Iran.
È per questo motivo che il mondo occidentale dovrebbe restare unito; è per questo motivo che l’Unione Europea si dovrebbe rafforzare dentro l’Alleanza atlantica invece di cercare la ‘terza via’ che ne farebbe invece una pedina dell’asse russo-cinese. Ma pare invece che il ‘galletto francese’, il buon Macron ansioso di liberarsi dal ‘vassallaggio’ all’America e di ‘partorire’ una improbabile autonomia strategica dell’UE, sia tornato da Pechino abbastanza ‘cinesizzato’ da un portafogli pieno di sontuosi contratti d’affari per le industrie francesi ottenuti in cambio della mano libera su Taiwan data alla Cina.
Una posizione da cui ha preso le distanze perfino un tedesco, il capo del Ppe Manfred Weber, che ha detto: “Macron pretende la sovranità per l’Europa e poi firma qualsiasi accordo con la Cina”.