Pasquale Bonavota, il latitante che pregava mentre lo arrestavano

Santini nelle tasche e occhi miti: i carabinieri erano certi di trovarsi davanti al boss Pasquale Bonavota, ma lui ha provato e negare l'evidenza

StrettoWeb

Visibilmente dimagrito rispetto a prima della latitanza, dimesso, con gli occhi quasi umili: gli inquirenti che hanno arrestato Pasquale Bonavota lo descrivono così. Eppure era tra i latitanti più ricercati d’Italia e dal 28 novembre 2018 era stato inserito nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità. E’ ritenuto responsabile del reato di omicidio aggravato in concorso. In seguito è arrivata anche l’accusa di associazione di tipo mafioso.

Bonavota, nato il 10 gennaio 1974, era l’unica persona ancora latitante a seguito dell’operazione del Ros che, il 19 dicembre 2019, era finita con l’arresto di 334 soggetti appartenenti alle strutture della ‘Ndrangheta del vibonese. Si tratta dell’ormai nota operazione Rinascita-Scott, messa a segno dalla Procura della Repubblica – Direzione Antimafia di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri.

I carabinieri sono riusciti a far scattare le manette intorno ai polsi dell’uomo pedinando la moglie, che insegna in una scuola a Genova. Gli inquirenti ipotizzavano un suo incontro con il latitante. I militari del Ros l’hanno agganciata e pedinata fino in Francia. Hanno poi circoscritto l’area delle ricerche al territorio di Genova, quando hanno intuito che i due si sarebbero incontrati a breve. Bonavota è stato così localizzato con una certezza quasi assoluta.

Bonavota arrestato in chiesa

Siete sicuri che sia io il Pasquale che state cercando?“. Lo ha chiesto il latitante ai militari quando lo hanno trovato in chiesa, in ginocchio, a pregare. Stringeva tra le mani dei santini. Stava pregando nella cattedrale di San Lorenzo, a Genova. E quando lo hanno arrestato ha esibito ai militari un documento falso, intestato a una persona realmente esistente. La posizione di questo prestanome è ora al vaglio degli inquirenti. Ci ha provato, dunque, Bonavota a convincere i militari di non essere la persona giusta. Ma si è arreso subito.

Era da solo, in raccoglimento, nulla ci fa pensare che dovesse incontrare qualcuno o fare altro rispetto a quello che lo abbiamo visto fare”. E’ quanto riferito dal comandante provinciale dei carabinieri di Genova Gerardo Petitto. “Ha esibito un documento falsificato intestato a una persona di Sant’Onofrio, in provincia di Vibo Valentia, ma è stato riconosciuto subito”.

C’è stata un’ottima sinergia tra il Ros, il nucleo investigativo e il supporto dei colleghi di Vibo Valentia. – ha commentato invece il comandante del reparto operativo Michele LastellaInsieme siamo riusciti a capire che almeno in quest’ultimo periodo fosse a Genova. I sospetti erano fortissimi, nell’ultimo periodo avevamo iniziato il pedinamento a soggetti che potevano essere a lui legati, siamo riusciti a individuarlo a passeggio nelle vie centrali del centro storico, lo abbiamo seguito finché non abbiamo avuto la certezza che fosse lui e siamo intervenuti poco dopo il suo ingresso in chiesa”.

La perquisizione del covo

I militari hanno poi perquisito il covo, a San Teodoro. Qui hanno trovato 20 mila euro in contanti, smartphone e altre carte d’identità false, ma tutte intestate a persone esistenti. Presenti nell’appartamento anche dei ‘pizzini‘ ora al vaglio degli inquirenti.

Con la moglie, che vive e lavora a Genova, nel quartiere di Sampierdarena, sembrava che il Bonavota non avesse rapporti. Almeno in apparenza. Ma secondo gli inquirenti la circostanza è alquanto strana. La donna, secondo quanto emerge, è un’insegnante che lavora in una scuola a Genova e la sua posizione è al vaglio degli inquirenti.

I fiancheggiatori e la latitanza

Stiamo valutando se aprire un fascicolo sugli eventuali fiancheggiatori genovesi“. Lo ha detto il procuratore capo di Genova Nicola Piacente. Nell’appartamento di San Teodoro, dove il boss stava da alcuni mesi, gli investigatori del nucleo operativo di Genova, guidati dal colonnello Michele Lastella, e dei Ros, diretti dal maggiore Fabrizio Perna, hanno trovato anche documentazione sanitaria. Si tratta di documenti che Bonavota avrebbe utilizzato per visite e analisi di routine.

Gli inquirenti stanno cercando di capire chi gli abbia fornito i documenti di identità falsi.  Dal reato di omicidio Bonavota era stato assolto in appello. Su di lui, però, pendeva l’ordinanza emessa dal gip di Catanzaro su richiesta della Dda guidata da Nicola Gratteri. Pasquale Bonavota è ritenuto la ‘mente’ della cosca di Sant’Onofrio. Sempre a Genova, nel 2008, era stato arrestato il fratello Domenico, anche lui latitante.

Condividi