Reggina, le ragioni di Pippo Inzaghi e l’esempio di 23 anni fa che la tifoseria ha dimenticato

Reggina, l'amaro sfogo di Pippo Inzaghi dopo le isterie della tifoseria: perché il tecnico ha tutte le ragioni

StrettoWeb

Mi chiedo se vale la pena fare questo lavoro in questi ambienti. Poca pazienza, poco rispetto per il lavoro che facciamo, al di là di una vittoria o una sconfitta. E’ un ragionamento che a fine campionato mi porterò dentro e cercherò di pensarci bene”. Lo sfogo amaro di Pippo Inzaghi nel post partita di Benevento è la più genuina e drammatica sintesi di quanto ha vissuto, da allenatore, nelle sue ultime esperienze: a Bologna e Benevento in serie A, lo scorso anno a Brescia in serie B e adesso anche alla Reggina dove a gennaio lo avrebbero fatto Sindaco e adesso in molti ne chiedono la testa. Nel senso che gli attribuiscono le colpe del calo di rendimento della squadra e ne pretendono l’esonero: una visione completamente capovolta rispetto alla realtà.

Come su StrettoWeb scriviamo da mesi, la Reggina ha un organico da salvezza in base alla struttura delle altre partecipanti a questa serie B. Raggiungere i playoff sarebbe un miracolo sportivo, miracolo sportivo che la squadra sta centrando proprio grazie alle straordinarie qualità di mister Inzaghi. Non solo: con l’handicap della preparazione saltata e della squadra costruita in extremis, con grande ritardo mentre tutti gli altri erano già rodati da settimane, l’unico obiettivo stagionale non poteva che essere la salvezza, per giunta in una squadra che si è presentata ai nastri di partenza del campionato di serie B con enormi lacune nei due ruoli decisivi per questa categoria cioè il portiere e l’attaccante.

E’ vero, nel girone di ritorno la squadra è calata. Ma era ovvio e fisiologico: ce lo aspettavamo tutti, lo sapevamo tutti, ad ogni conferenza stampa del girone d’andata i colleghi giornalisti chiedevano a mister Inzaghi – mentre la squadra era seconda in classifica – quando sarebbe arrivato il calo, e non “se” sarebbe arrivato. Ovviamente in quel momento, un po’ inebriati dalle prestazioni e un po’ ubriachi per le vertigini della classifica, tutto l’ambiente si augurava che il calo non arrivasse mai ma nulla succede per caso e non puoi andare a mille senza fare la preparazione e senza avere il tempo di costruire una squadra. Dopo che per mesi abbiamo atteso questo calo, adesso con quale coraggio ci sorprendiamo se è successo? E poi, di cosa stiamo parlando? Dopo aver vinto con la Ternana a fine gennaio, la Reggina ha perso con Sudtirol, Palermo, Pisa, Parma, Cagliari e Genoa. Che sono la rivelazione del torneo, oggi quarta in classifica, e le cinque big più attrezzate con un organico enormemente superiore a quello amaranto. In mezzo le due sconfitte con Cittadella e Cosenza, certamente rocambolesche e frutto del caso (a Cittadella la squadra dominava ed era sul 0-2, poi compromesso dall’espulsione di Fabbian; a Cosenza gli amaranto erano in vantaggio 0-1 al 90° e poi il risultato è stato ribaltato da due eurogol del giovane Nasti), ma anche la vittoria sul Modena. Adesso i successi con Perugia e Venezia e il buon punto di Benevento.

Ai tifosi, come sempre, sfugge l’equilibrio. Sfugge che in campo si scende in due, e non dipende tutto dalla propria squadra ma ci sono anche gli avversari. Con Sudtirol, Palermo, Pisa, Parma, Cagliari e Genoa non è stata la Reggina a perdere, ma sono state le altre a vincere. Idem a Cosenza, e potremmo continuare a lungo… E se la Reggina perde con le big e vince con le piccole significa che è più debole delle big e più forte delle piccole. Ma questo lo scriviamo da mesi. Stiamo parlando di una squadra che è quinta in classifica con +6 punti di margine in zona playoff, oltre ogni più rosea aspettativa di inizio stagione. Eppure, eppure mister Inzaghi che è l’artefice di questo grande sogno, deve “ragionare se vale la pena fare questo lavoro in questi ambienti” per la “poca pazienza” e il “poco rispetto” per il lavoro che fa. La città ha forse dimenticato che la Reggina la scorsa estate stava scomparendo e la nuova società ha dovuto faticare molto a convincere uno come Pippo Inzaghi a venire a Reggio, presentando un progetto a lungo termine e sottoscrivendo un contratto triennale. Mai nessuno ha parlato di serie A per i primi due anni, nè tantomeno per il primo (e quindi, comuqnue, neanche per il prossimo anno). Perchè quindi questa reazione così gretta e immatura da parte della piazza, alle prime difficoltà? Forse perchè qualcuno si era convinto che la Reggina avesse uno squadrone e dovesse ammazzare il campionato soltanto perchè aveva vinto bene alcune partite in autunno? Se è così, bisogna trovare l’onestà di ammettere di essersi sbagliati e di aver dato un giudizio frettoloso e squilibrato: quella squadra era atleticamente troppo fresca, proprio perchè non aveva effettuato la preparazione, e quindi riusciva ad avere una marcia in più rispetto anche agli avversari più forti, che però avevano nelle gambe tutta la “benzina” per arrivare in forma a fine stagione. Cosa che invece mancava agli amaranto.

E mentre i tifosi blaterano di “esonero” e addirittura dopo le parole di ieri di Inzaghi si sono ulteriormente infastiditi, noi vogliamo ricordare quello che succedeva alla stessa Reggina esattamente 23 anni fa. E’ la plastica testimonianza che Pippo Inzaghi ha pienamente ragione. Oggi nel calcio non c’è più rispetto, non c’è più serietà, non c’è più competenza. Tutto si basa sulle emozioni da tifosi, spesso e volentieri tristemente contagiose anche per le dirigenze, e questo compromette il lavoro dei professionisti. Non solo a Reggio Calabria, ovviamente. Ebbene, sono passati 23 anni da quelle famigerate 8 sconfitte consecutive e da quelle 10 gare con un solo pari e 9 sconfitte a inizio stagione della Reggina di Franco Colomba in serie A. Ma il presidente di quella Reggina era il grande Lillo Foti che ogni domenica ribadiva la massima fiducia all’allenatore. Il tecnico non fu mai messo in discussione, sentiva la fiducia della società e poi quella squadra fece una rimonta straordinaria fino allo spareggio salvezza. Lo stesso Lillo Foti che pochi anni dopo fece muro intorno a Walter Mazzarri quando la tifoseria ne chiedeva a gran voce l’esonero dopo una sconfitta contro il Messina nel derby: l’allenatore raccontò l’aneddoto nel suo libro, Foti decise di dargli ancora fiducia a differenza di quello che avrebbero fatto molti altri presidenti più istintivi e meno ragionevoli, e lì gettò le basi per la più grande impresa sportiva della storia del calcio calabrese e forse di tutta la provincia italiana, cioè l’incredibile salvezza dopo la batosta della penalizzazione di -15 post Calciopoli.

Altri uomini di calcio. Altri tempi. Oggi bastano due sconfitte per mettere in discussione mesi o addirittura anni di lavoro. Gli allenatori sono facile preda delle isterie dei tifosi e troppo spesso diventano l’alibi di dirigenze e società, soprattutto nelle realtà più immature e squilibrate.

Reggio sia ancora quella di 23 anni fa, quella di Lillo Foti e di Franco Colomba saldo in panchina dopo 8 sconfitte consecutive e dopo un solo misero punto in 10 partite. Reggio sia ancora una città dove si può fare calcio e si può fare sport con serenità e professionalità. Reggio si tenga stretta Pippo Inzaghi, uno degli allenatori in assoluto migliori per questa categoria e quindi una garanzia per i risultati dei prossimi due anni, ma anche un lusso per la città che ha l’orgoglio di annoverare una tale personalità tra i propri figli adottivi. Quanti “fuori sede” si trasferiscono dal Nord a Reggio Calabria per lavorare? Lo ha fatto Pippo Inzaghi che si è innamorato visceralmente di questa città, della sua squadra, della sua maglia e bandiera, ma anche delle sue spiagge più popolari, delle sue strade e dei suoi panorami, e noi abbiamo raggiunto un tale degrado sociale, culturale e sportivo da volerlo mandare via? Riflettiamo prima di blaterare eresie, perché altrimenti poi quelli che avranno i peggiori rimpianti saranno proprio gli stessi tifosi…

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