Il caso della banda della Uno Bianca sbarca alla procura di Reggio Calabria: “collegata a ‘ndrangheta stragista”

A distanza di anni il caso della banda della Uno Bianca potrebbe essere riscritto e viene tirata in ballo la 'ndrangheta

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Negli anni ’80 gli efferati delitti della banda della Uno Bianca avevano scosso e terrorizzato l’Italia. Per quei fatti erano state arrestate 58 persone innocenti, dopo processi diversi. Tutto però, è rimasto avvolto da un alone di inquietante mistero: cos’è stato davvero il fenomeno criminale della banda della Uno Bianca. Vi furono troppi depistaggi abilmente costruiti dai fratelli Savi con l’aiuto di un pezzo di Stato deviato, “in cui avevano qualche complice, che dava loro manforte. Ci sono delle responsabilità annidate nei Carabinieri, in questa vicenda, compresi gli episodi in cui i Carabinieri sono assassinati: Castel Maggiore e il Pilastro“.

In questo contesto l’ex brigadiere Domenico Macauda, che venne accusato di concorso nell’omicidio degli stessi militari Cataldo Stasi e Umberto Erriu nell’aprile del 1988 a Castel Maggiore, “è solo la punta dell’iceberg“. Tra i moventi potrebbe esserci stato un tentativo di recupero di credibilità, dopo le indiscrezioni sull’Arma svelate dall’operazione Gladio. Lo ha dichiarato Alessandro Gamberini, avvocato dei familiari delle vittime della banda della Uno Bianca. Il legale ha lanciato ieri un esposto in conferenza stampa in Sala Borsa a Bologna. All’incontro hanno partecipato diversi addetti ai lavori ma anche gli stessi familiari, che condividono però e solo in parte l’iniziativa del legale.

Uno Bianca e ‘Ndrangheta stragista

L’esposto di 250 cartelle verrà inoltrato oggi alla Procura nazionale antiterrorismo e alle Procure di Bologna e Reggio Calabria, in particolare per un suo processo intitolato Ndrangheta stragista e per i possibili collegamenti con la Uno Bianca. Si tratterebbe infatti di una vicenda che non può essere trattata solo localmente, spiega l’avvocato ripercorrendo i decenni bui della storia d’Italia. Sul possibile sviluppo giudiziario che l’esposto innescherà, il diretto interessato dice di non attendersi miracoli. Nel momento in cui potrà essere nominato difensore di parte offesa, però, si saprà di più sulle eventuali nuove indagini.

Uno Bianca: “fu terrorismo”

“Che la banda della Uno Bianca, composta da sei poliziotti almeno, fosse una banda di terroristi è talmente evidente che desta raccapriccio: i suoi delitti, infatti, vennero commessi puramente per produrre panico. E non attiravano altri componenti grazie al denaro, non c’era una cooptazione di componenti di questo tipo. In tutta l’ultima fase della vicenda non c’è traccia di un guadagno significativo che giustificasse le rapine. Il guadagno che c’è stato avrebbe potuto ottenerlo un qualsiasi poliziotto facendo degli straordinari“, chiosa Gamberini.

Si è ricominciato a parlare di Uno Bianca e terrorismo quando tre mesi fa è emersa la dichiarazione spontanea di Roberto Savi. Nel 2022 Savi parlò della sua partecipazione ad alcuni attentati di estrema destra a Rimini, con piccoli ordigni, agli inizi degli anni ’70. Secondo Gamberini il suo lavoro di questi mesi e anni, insieme a quello di alcuni familiari delle vittime sulle carte giudiziarie, consentirebbe di unire tra loro frammenti di storia, “al punto da renderli indizi univoci“.

E convergono verso la stessa ricostruzione: quella della Uno Bianca  “è stata un’azione eversiva, sulla base di rapporti che i componenti della banda avevano con entità che si legano alla strategia della tensione nel nostro paese. Su questo legame non si è mai indagato, anche questo – afferma il legale – rappresenta un capitolo nero della magistratura bolognese. Ci sono delle responsabilità annidate nei Carabinieri, in questa vicenda, compresi gli episodi in cui i Carabinieri sono assassinati: Castel Maggiore e il Pilastro“.

La ‘fascia oscura’ nell’Arma

Nel quadro completo della storia, si delineano elementi che portano a pensare che dentro all’Arma ci fosse una faccia oscura. Qualcosa che rendeva complice una parte dei Carabinieri stessi di questi delitti, di questi depistaggi e delle coperture di questi avvenimenti“. Il fulcro di questo è Macauda, all’epoca brigadiere del Nucleo operativo dei Carabinieri, il cui ruolo non è stato “mai giustificato e mai spiegato. Se si guarda alla sua vicenda, anche con semplice buonsenso senza abilità giudiziarie particolari, si capisce che ci si trova di fronte non a qualcuno che calunnia sui responsabili di alcuni delitti, ma un protagonista di primo piano di tutta la vicenda“. Ovvero, secondo il legale, un complice di fatto della banda o persino qualcosa di più.

Gamberini definisce la nuovo attività giudiziaria “un esposto molto significativo: dopo che la Procura ha aperto un fascicolo alla luce della testimonianza di Simonetta Bersani“, l’accusatrice dei fratelli Santagata finiti alla sbarra per la strage de Carabinieri del Pilastro il 4 gennaio 1991 e poi assolti, dopo la confessione dei Savi, “questo nostro atto ripercorre complessivamente l’attività di questa banda di terroristi“. Gamberini, parla poi della ‘pentita’ Annamaria Fontana, grazie alla quale verrà condannato all’ergastolo il gruppo di pregiudicati catanesi, indicato appunto come la “Banda delle Coop” invece che della Uno Bianca guidata dai Savi. Tutto ciò, secondo il legale, sono tasselli di uno stesso disegno criminoso e terroristico.

Familiari delle vittime divisi: “non siamo noi i pm”

La tesi di Alessandro Gamberini e di alcuni familiari delle vittime, secondo la quale la banda della Uno Bianca non era altro che un’organizzazione con finalità eversive, e complici tra pezzi di Arma dei Carabinieri deviati, nell’ambito della strategia della tensione, non è condivisa da tutti i familiari. Durante la lunga esposizione di Gamberini, la presidente dell’associazione, Rosanna Zecchi, si mostra sorpresa. E non è la sola.

A firmare l’esposto sono stati meno di una decina di persone tra i familiari. Zecchi, però, pur non avendolo firmato precisa: “Noi familiari sappiamo che nella storia della Uno Bianca c’è qualcosa che non torna, è proprio per questo che abbiamo lanciato la digitalizzazione degli atti insieme con la Regione. Ma noi siamo le vittime, i magistrati sono altri. La maggior parte di noi non ha condiviso l’esposto perché non ne è stata tenuta al corrente, non ci è mai stato dato. Solo ultimamente è stato consegnato a me e al vicepresidente dell’associazione dei familiari delle vittime“.

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