Calderoli e l’Autonomia Differenziata

Autonomia Differenziata: ringrazio i tanti sindaci, il segretario regionale del Pd, e le molte persone libere, accorsi numerosi al “T hotel” di Lamezia Terme, per rispondere all’appello di una persona come me che non fa da tempo politica attiva

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E’ doveroso da parte mia, prima di tutto, per ringraziare, sia pure con ritardo, i tanti sindaci, il segretario regionale del Pd, senatore Irto, e le molte persone libere, accorsi, qualche settimana fa, inusualmente numerosi al “T hotel” di Lamezia Terme, per rispondere all’appello di una persona come me che non fa da tempo politica attiva. L’incontro era finalizzato a raccogliere le firme utili a presentare il disegno di legge di iniziativa popolare, promosso dal costituzionalista Massimo Villone. Com’è noto, le circa 100.000 firme raccolte (ma ne bastavano 50.000) erano indispensabili per discutere in Parlamento la proposta di modifica dell’articolo 116, terzo comma e dell’articolo 117 finalizzata a garantire l’unità della Repubblica e l’eguaglianza dei diritti nell’intero Paese e non in una parte sola.

Dopo la pubblicazione su Linkedin della nota dell’Ufficio bilancio del Senato – un organo terzo – ed il relativo clamore suscitato, molti italiani avvertono ormai con sufficiente chiarezza i danni incalcolabili che quel testo potrebbe arrecare all’unità, di per sé fragile, del nostro Paese.

Per la storia ricordo (e mi scuso se l’articolo, per una volta, risulterà infarcito di molti riferimenti autobiografici) che fino a qualche tempo fa si era in pochi in Italia a ricordare la pericolosità del provvedimento. Non più di una dozzina. Calderoli, questa tardiva ma crescente consapevolezza degli italiani, la giudica come un affronto personale. Minaccia infatti di lasciare non il Senato ma addirittura la politica se il suo testo dovesse essere bocciato o solo cambiato. Confesso che se l’uscita di scena del ministro si avverasse l’Italia ne trarrebbe di sicuro giovamento. Sul piano umano ho simpatia per Calderoli. Si tratta di un personaggio formalmente ineccepibile. Se t’incontra ti saluta per primo, non omettendo mai di inserire nel buongiorno il tuo nome di battesimo. Nel segno di una intimità, talvolta immaginaria. Sul piano politico è venuto però spesso meno al compito istituzionale di un parlamentare, che è quello di profondere le proprie energie intellettuali a vantaggio dell’intero Paese e non di una parte sola. Difficile dimenticare infatti che il ministro della Lega, forte di una conoscenza molecolare dei regolamenti parlamentari, è stato l’abile tessitore di leggi indecenti. Per prima quella elettorale, che eliminando le scelte degli elettori, affidava a pochi segretari nazionali di partito l’intera composizione del Parlamento. Non è un caso che lui stesso fu poi costretto ad ammettere che la sua legge era “una porcata”. Da questa discende “per li rami” sia l’Italicum, sia il Rosatellum. Sembra un fatto minimale, è invece, in buona parte da queste leggi immonde che prende vita l’astensionismo dei nostri giorni che falsa il gioco politico, relegando il cittadino all’insignificanza. Ma le prodezze del ministro della Lega non si fermano qui. Calderoli è stato in anni ormai lontani il protagonista nell’Aula del Senato di quel testo di legge costituzionale, varato dal centrodestra, che prese il nome di “Devolution”.

Una parola inglese del tutto incongrua, volta a frastornare gli italiani. Chissà cosa avrebbero obiettato i rappresentanti del partito di Giorgia Meloni se avessero avuto in quel tempo voce in capitolo. Nel corso della discussione del testo costituzionale, ero parlamentare ma la direzione del quotidiano “l’Unità” mi affidò il compito di seguire per il giornale le sedute che trattavano la riforma del centrodestra. Ricordo perfettamente il ruolo di Calderoli, all’epoca vicepresidente del Senato, nell’approvazione di una legge che avrebbe messo, anche allora, in ginocchio il Mezzogiorno. Come si vede, un chiodo fisso. Ricordo, sempre per la storia, che quella riforma alla fine fu approvata dall’Aula ma fu respinta dagli italiani nel successivo referendum costituzionale. E, visto che la memoria mi ha preso completamente la mano, aggiungo con un certo orgoglio di calabrese che nel 2006 – all’epoca ero presidente della regione – il nostro territorio riuscì a opporre il maggiore numero di “no” a quella pericolosa riforma.

Insomma, concludendo, se Calderoli lascia il Senato per rifugiarsi, dopo sette legislature, nella sua bellissima Bergamo, nessuno, almeno nel Sud, ha motivo di fare le barricate.

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