Giudice antifascista finisce sotto processo: “politici come Vanna Marchi”

Il giudice Paolo Luppi è finito sotto processo al Csm "per aver offeso la reputazione" di alcuni esponenti politici e lo ha fatto con tre post su Facebook

StrettoWeb

Paolo Luppi è un giudice del tribunale di Imperia. Il Consiglio Superiore della Magistratura lo ha messo sotto processo disciplinare. Un processo alquanto delicato. Luppi non è di certo l’ultimo arrivato: ha seguito importanti processi di ‘ndrangheta e pubblica amministrazione. Ora è sotto processo al Csm “per aver offeso la reputazione” di alcuni esponenti politici. E lo ha fatto in un modo poco ortodosso, soprattutto per un magistrato: attraverso un post su Facebook. Anzi, tre post. Tutti offensivi e con toni inopportuni.

Il giudice Paolo Luppi

Ma chi è Paolo Luppi? Il giudice è figlio del comandante partigiano comunista Erven, e lui alle celebrazioni del 25 aprile è sempre presente. Nel 2020, proprio in occasione dell’Anniversario della liberazione d’Italia, si era lanciato in un discorso impegnato e impegnativo. Aveva definito i politici “vomitevoli neofascisti di oggi“, rincarando la dose con un “ipocriti che cantano “O bella ciao” e poi hanno cercato di scardinare la Costituzione con la riforma simil piduista“.

L’anno successivo, a marzo, era andato oltre. Luppi aveva pubblicato tre post pubblici su Facebook. Il primo diceva: “Qualcuno, come l’ex ministra della Difesa Pinotti, pensava che i soldi spesi nel modo migliore fossero quelli investiti in armamenti. Ma di lei si ricorderanno solo all’inferno. Mentre il Che sarà un esempio e guida anche tra 1000 anni!“.

Nel secondo post, a cui Luppi ha allegato una foto di Pinotti, ha scritto: “Che bello! Forse una donna nuovo segretario del Pd! Se poi è una guerrafondaia non importa. L’importante in questo mondo di babbei è che sia una donna. Non importa se tempo fa, da “ministro della guerra”, disse che i denari spesi in armamenti sono quelli spesi in modo migliore“.

La festa della donna

Il 9 marzo, con un terzo post, il giudice aveva rincarato la dose. L’occasione era quella della festa della donna. E cosa c’è di meglio di un post al contempo pseudo antifascista e misogino per celebrare questo giorno?

Auguri in ritardo a tutte le donne e in particolare a Roberta Pinotti – aveva scritto Luppi – che disse che i soldi spesi in armamenti sono quelli spesi in modo migliore. Auguri a Gelmini e Carfagna, che hanno reso felice un anziano: auguri a Boldrini, che in piena pandemia si preoccupava della declinazione al femminile degli aggettivi negli stampati delle autocertificazioni Covid; auguri all’eurodeputata Pd Moretti, che si vantava di spendere 600 euro al mese dall’estetista; auguri alla sua compagna di partito Picierno che, per esaltare gli 80 euro di Renzi, diceva che con quella somma si fa la spesa per un mese; auguri anche a Santanchè e Meloni che non hanno mai condannato il fascismo; auguri alla sottosegretaria alla cultura Borgonzoni, che non legge un libro da anni; e dulcis in fundo, auguri anche a Vanna Marchi, forse la migliore di tutti“.

L’inchiesta

Il ministro Pinotti, però, non ci sta. La Procura generale della Cassazione riceve gli screenshot dei post. L’esponente Pd parla di “dileggio istituzionale“. Parla “di frasi denigratorie” nei suoi confronti e nega di aver mai pronunciato ciò che Luppi le attribuisce. E a questo punti Luppi che fa? Si scusa riconoscendo “l’inopportunità dei toni dei post pubblicati senza una particolare riflessione“. Ma non solo. Precisa anche che “da allora non ha più fatto uso di Facebook, avendo chiuso il profilo“. E spiega anche di aver voluto scrivere quei post in seguito ad un’intervista in cui Pinotti giustificava e addirittura esaltava “le spese militari“.

La Procura generale chiede l’archiviazione, in quanto giudica l’episodio di scarsa rilevanza. La sezione disciplinare del Csm, però, si oppone. Luppi viene dunque rinviato a giudizio: la sua condotta è ritenuta “penalmente rilevante e violativa dei doveri di correttezza, riserbo ed equilibrio nonché idonea a ledere l’immagine del magistrato e il prestigio dell’ordine giudiziario“. Al giudice sotto accusa viene contestata “una certa pervicacia nella volontà di offendere la reputazione della senatrice Pinotti e di altri politici. In particolare, nel terzo post le affermazioni offensive sono rivolte a diversi esponenti politici femminili, tutti considerati meno stimabili di Vanna Marchi, noto personaggio televisivo condannata in via definitiva per gravi reati“.
L’ultima parola, ora, spetta al processo disciplinare.

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