L’insostenibile intransigenza dei Verdi d’Italia

StrettoWeb

Giorni fa ho ascoltato su Rai Radio 1 il sig. Angelo Bonelli, membro della Camera dei deputati della Repubblica Italiana, esponente del partito dei Verdi. Ebbene, il conduttore di Radio Anch’io, Giorgio Zanchini, ha posto all’onorevole Bonelli la seguente domanda:

“Qual è l’obiezione che lei pone alla strategia ambientale italiana?”

Bonelli risponde:

“È quella di essere NO alla modernizzazione, all’innovazione, utilizzando una politica basata sulla paura. Io trovo inammissibile che chi è al governo dica cose non vere”.

Una riflessione su quanto detto dall’onorevole Bonelli mi è parsa d’obbligo: non gli si può certo dare torto, ma c’è una contraddizione in queste sue parole, che non sorprendono dette da un politico dal percorso molto particolare.  “Un uomo dalla doppia morale”, così  lo definiscono i suoi ex compagni di partito, tra cui quel Pecoraro Scanio, ieri presidente della Federazione dei Verdi oggi della fondazione Univerde e sostenitore – controcorrente – fin dall’inizio della candidatura di Agrigento e provincia a Capitale italiana della Cultura 2025.

Una contraddizione di cui non soffre invece la linea politica di gran parte dell’ambientalismo italiano: essere assolutamente contro la modernizzazione, assolutamente contro l’innovazione. Retori di una narrazione che sposa una sua propria realtà, che permea gli ambienti della sinistra più reazionaria e massimalista, oltre che populista.

E coerentemente, l’ambientalismo conservatore, non poco tempo fa era radicalmente contro l’energia eolica e fotovoltaica, e le maggiori associazioni ambientaliste italiane dichiaravano: “Deturpa il paesaggio”, “Le pale eoliche danneggiano la fauna”…

Poi fortunatamente, dopo aver consumato anni preziosi a diffondere paura e false notizie a impedire lo sviluppo della energia sostenibile, hanno virato e compreso che i benefici erano e sono ben superiori agli svantaggi incriminati. Succede quando ci si focalizza con accanimento su alcuni aspetti e non si valuta il tutto in funzione del benessere dell’intera comunità.

Nei primi anni 2000 sono stato oggetto di attacchi da parte di molti esponenti ambientalisti per l’uso pioneristico che facevo della bici elettrica: dirigenti nazionali di FIAB e Legambiente mi hanno ferocemente aggredito definendo la ebike “un veicolo dannoso” che avrebbe portato inquinamento ambientale per via delle batterie al litio – e decimato gli elefanti perché un elemento delle batterie sarebbe stato l’avorio – e morte sulle piste ciclabili per via dell’alta velocità.

Poi fortunatamente il mezzo elettrico a due ruote è stato accolto come paladino della mobilità sostenibile. Giusto.

Bonelli, che ieri si chiedeva come avremmo mai potuto smaltire le batterie dei nostri smartphone, oggi decanta le meraviglie e la indispensabile necessità di introdurre l’auto elettrica in ogni casa italiana. Giusto.

L’onorevole Bonelli – in compagnia di personaggi tv, sedicenti scienziati, politici in cerca di visibilità, estremisti della prima e ultima ora – è in Italia l’apice di quell’ambientalismo ideologizzato, che non si risparmia nella propaganda sul ponte dello Stretto, sui rigassificatori, sui termovalorizzatori, ignorando totalmente la scienza e l’evidenza, l’interesse nazionale  e, prendendo a prestito quegli strumenti che lui accusa la destra usare, diffonde paura nella popolazione alimentando gli istinti del ventre molle italico e un pavloviano sentimento di scontro. Questi atteggiamenti sono la dimostrazione di quanto l’ambientalismo italiano sia legato a vecchi paradigmi della politica di sinistra e esclusivamente di protesta. Ma il tema ambientale è un tema che riguarda tutti.

L’ambientalismo italiano porta avanti un’eredità del passato, un ambientalismo che, per certi versi, è molto valoriale, troppo ideologico.

 “I nostri Verdi sono troppo a sinistra, anziché avere una posizione trasversale” dice Rutelli – l’unico che è riuscito a portare al 10% la rappresentanza al Parlamento di un partito ecologista.  E continua: “I Verdi italiani hanno occupato sempre uno spazio nella sinistra radicale e questo ha precluso il loro potenziale di espansione verso il centro e il centrodestra”.

Nei paesi del Nord Europa e nella Mittleuropa i Verdi non sono così schierati. Da quelle parti i Verdi italiani sono considerati come delle angurie: verdi fuori, ma rossi dentro.

“E mentre l’ambientalismo politico italiano offre quasi esclusivamente protesta, i Verdi europei offrono economia e lavoro”. Afferma sempre Rutelli in un’intervista su Panorama.

C’è una voragine tra la politica dei Verdi europei e la politica dell’ambientalismo italiano, incapaci da noi di fare proposte che portino davvero crescita culturale ed economica con un impegno tra la gente, nelle periferie, nelle fabbriche, di posti di lavoro, di riconversione – i Verdi in Germania sono stati protagonisti di un accordo di investimenti per le tecnologie sostenibili con la Siemens -, portatrice di un messaggio di condizioni di vita migliore, che non significa solo cartelli contro il cambiamento climatico.

Anche i giovani, quando la loro azione non è dettata dal fanatismo o dal qualunquismo, trovano difficoltà nel dialogo con il mondo politicizzato dell’ambientalismo italiano: “I Verdi europei vanno meglio che da noi perché mettono al centro la comunità. In Italia, il partito dei Verdi tende a focalizzarsi sul gioco politico. Invece, bisogna mettere al centro progetti ambientali che coinvolgano i giovani, non l’autoreferenzialità di un partito distante dalle comunità e dalle problematiche dei territori”. Non lo dice un boomer come me, ma Sarah Brizzolara, la leader italiana del gruppo di attivismo ambientalista Frydays for Future, che ritiene che il partito dei Verdi sia rimasto ancorato a logiche e battaglie di venti e trenta anni fa. I Bonelli di casa nostra, dovrebbero più pensare alle vere esigenze dell’ambiente, quello che si vive quotidianamente con il coinvolgimento dei cittadini, come stanno facendo diverse associazioni territoriali in tutte le città di Italia e d’Europa, e anche in una martoriata città come Agrigento – città stupefacente per le sue meraviglie archeologiche e naturali ma sempre ultima nelle classifiche di vivibilità – di recente onorata del titolo di Capitale della Cultura 2025.

Sia chiaro, non tollero chi lascia in sosta la macchina accesa, e magari con climatizzatore in funzione, tantomeno sono indulgente con chi fa ambientalismo con la sindrome del NIMBY (trad: no dalle mie parti), con l’aggressione al patrimonio culturale, con l’opposizione a tutti i costi: eco-squadristi – oggi ne parla Pierluigi Battista su HuffPost -, nazi-ambientalisti, terrorismo ecologico… Siamo capaci di fare un sano e condiviso ambientalismo in Italia, ne siamo consapevoli ognuno nel nostro piccolo, perché allora sui grandi temi anteporre lo scontro al dialogo? Attardarsi nella cultura del NO, del NON fare, opporsi ideologicamente all’innovazione, alla tecnologia – per poi fare passi indietro -, rinunciare al progresso solo per un’adesione ideologica alle convenzioni dettate da paradigmi obsoleti e deteriori per gli interessi della nazione, è un costume tutto italico che non giova certamente all’ambiente. Se la intransigente energia d’urto di certo ambientalismo fosse incanalata nel creare una comunicazione moderata con la gente e risolversi nella cooperazione con il governo del paese – di qualsiasi estrazione esso sia, e anche dei settori produttivi, perché l’ambientalismo è universale -, e per il governo dell’ambiente, tutti noi, figli e pronipoti, ne avremmo vantaggio.

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