Da Maradona a ‘Kvaradona’: 33 anni dopo, il Napoli è Campione d’Italia!

A 33 anni dallo scudetto di Diego Armando Maradona, il Napoli torna Campione d’Italia: è la festa di Kvaratskhelia, Osimhen, Spalletti e di un progetto da vera e propria big

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Questa è la volta buona. E lo è davvero. Rimandata, con un pizzico di delusione, la festa programmata la scorsa domenica, a causa del rocambolesco 1-1 contro la Salernitana, in un particolare turno infrasettimanale di fine campionato arriva la gioia più grande. Fa strano festeggiare di giovedì, ma come ha dichiarato Spalletti in conferenza: “o stam’trzian chian chian”, “ce lo stiamo godendo piano piano”. Adesso il godimento è arrivato al suo climax perché: il Napoli è Campione d’Italia!

Serviva almeno un punto agli azzurri, è arrivato grazie all’1-1 contro l’Udinese: al gol di Lovric che sembrava dover rimandare la festa, ha risposto il solito Osimhen. Sarà una notte lunghissima, una festa che durerà diversi giorni, probabilmente si ‘rinnoverà’ fino al termine del campionato. Del resto, erano 33 anni che Napoli squadra, Napoli città e i napoletani nella doppia veste di cittadini e tifosi aspettavano questo giorno.

L’ultimo scudetto era datato 1990, la firma era quella dell’inconfondibile numero 10 argentino che oggi dà il nome allo stadio, Diego Armando Maradona. Uno scudetto dal sapore di rivalsa sociale nel posto che più di ogni altro al mondo, per bocca dello stesso Diego, gli ricordava la sua Argentina facendolo sentire a casa. Oggi lo scudetto del Napoli prende una strada nuova, o meglio, diventa la meta di tante strade diverse.

La più scintillante è quella che parte da Tiblisi (Giorgia), città natale di Khvicha Kvaratskhelia, un talento dal pedrigree superiore, come a Napoli non si vedeva da tempo. Il soprannome ‘Kvaradona’ non è casuale, non può esserlo a Napoli. Ma ridurre questa splendida impresa a un solo calciatore sarebbe uno sbaglio madornale. Al suo fianco Osimhen, bomber nigeriano pronto a prendersi la scarpa d’oro della Serie A, con distacco, a fine stagione. Quello che è l’attacco più prolifico del campionato si completa con la corsa e il sacrificio del messicano Lozano.

A centrocampo la qualità del polacco Zielinski, i muscoli del camerunese Anguissa e il cervello dello sloveno Lobotka. La difesa meno battuta della stagione è blindata dal portoghese Mario Rui e dall’ex Reggina Di Lorenzo sulle fasce, con al centro l’albanese Rrahmani e il sudcoreano Kim a schermare la porta difesa dall’azzurro Meret. Dieci nazionalità differenti, un melting pot che riflette la fluidità sociale della stessa Napoli, così tradizionale e così multiculturale allo stesso tempo.

A muovere i fili di una squadra che ha dominato il campionato di Serie A e ha fatto un’ottima figura in Champions League raggiungendo lo storico traguardo dei quarti di finale, c’è Luciano Spalletti. L’allenatore toscano, vincitore in Russia con lo Zenit ma ‘eterno secondo’ in Italia, si prende una meritata rivincita. Dietro la cinepresa, è il caso di dirlo, Aurelio De Laurentiis, a volte burbero e spigoloso, ma in grado di creare un modello virtuoso in grado di prestare attenzione al bilancio e mantenere alto il livello della competitività sul campo.

Una squadra che ha visto passare allenatori del calibro di Mazzarri, Benitez, Sarri, Ancelotti e Gattuso, negli anni ha fatto a meno di Lavezzi, Hamsik, Higuain, Cavani, Insigne, Koulibaly, Mertens pur restando altamente competitiva. Segno di un progetto che va oltre i singoli e che ha consentito di far sedere il Napoli al tavolo delle grandi d’Italia già da tempo. Per i più scettici serviva solo il titolo per confermarlo: oggi è il tempo di festeggiarlo.

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