Claudio Ranieri – scrivono le cronache sportive – ha fatto un altro miracolo. Ha ereditato a gennaio, a stagione già compromessa, la squadra di calcio del Cagliari e, dopo una travolgente cavalcata, l’ha riportata in Serie A. L’impresa, non è, a mio parere, paragonabile a quella compiuta qualche anno fa dallo stesso protagonista a Leicester, che, nel mondo del calcio, destò stupore e ammirazione a livello planetario. Esiste però, sul piano esteriore, una differenza con il Ranieri che trionfò in Inghilterra. Questa volta il grande allenatore si è sciolto sul campo in un lungo pianto liberatorio. Un grumo di orgoglio, di nostalgia e anche di autostima gli è esploso dentro senza lasciargli scampo. Quella misura che è sempre apparsa la cifra costante di una lunga carriera, sotto un carico emotivo imponente, questa volta ha ceduto. Cagliari, d’altra parte, per Ranieri rappresenta molte cose. E’ la sua Itaca in cui riapproda dopo un lungo viaggio non privo di intemperie. Quella città lo rimanda con la memoria ai primi batticuori e alle incertezze dell’esordio in un mestiere crudele, in cui si trionfa in compagnia ma si è sconfitti in solitudine. Di più. Sir Claudio ha 72 anni. La vita media si è notevolmente allungata negli ultimi tempi ma per un allenatore, costretto a sgambettare con i suoi giocatori sul campo per tutta la settimana, gli anni pesano un po’di più e suscitano talvolta emozioni incontenibili.
Ho conosciuto Claudio qualche decennio fa a Catanzaro, in quella che era diventata da anni la mia città. Era un giovane terzino che il leggendario presidente Ceravolo aveva acquistato, insieme a Vichi, dalla Roma. L’ho conosciuto dunque da tifoso all’inizio degli anni ’70. Se forzo un poco la memoria rivedo lucidamente quelle sue lunghe galoppate, palla al piede, sulla linea destra del campo poi il traversone a vantaggio del compagno smarcato. Quindi il ritorno immediato in difesa per non perdere d’occhio l’ala avversaria. A quei tempi la marcatura era a uomo. A Catanzaro si fece apprezzare per la buona tecnica che possedeva ma anche per un innato senso di squadra, che la diceva già lunga sul suo futuro. In questa città ventosa incontrò Rosanna, una bella ragazza del luogo che dopo qualche anno sposò. Anche attraverso questo importante legame la Calabria è diventata parte non secondaria della sua vita randagia. D’estate, nelle poche settimane di libertà, lo si può immancabilmente trovare in un bel tratto di spiaggia non lontano da “Caminia” nel territorio di Stalettì. Negli ultimi anni si è fatto costruire una villa in campagna con una splendida vista sul mare. Nella stessa campagna avuta in eredità da mia moglie, dove io stesso abito. Questa circostanza mi ha permesso di frequentarlo con una certa assiduità e di conoscerlo meglio. Uno scandaglio che mi ha portato ad apprezzare alcune doti tecniche e umane di Claudio, difficili da trovare nel fatuo mondo del calcio. Oltre alla capacità tattica e alla conoscenza, come dire, molecolare dei propri giocatori, che gli permette di estrarre il meglio dalle loro doti, possiede una buona padronanza del campo, nel senso che tutto quello che succede in quel rettangolo, il valore dello spazio, i ribaltamenti di fronte, le marcature gli sono familiari. Nel suo carisma di allenatore esiste però una qualità che sovrasta tutte le altre. Quel senso di squadra che da giocatore del Catanzaro appariva solo come un vago preludio, adesso è diventato un modello consolidato, comune a tutte le sue squadre. Una squadra intesa come una comunità familiare destinata a diventare una corazza nei momenti difficili. Se per un motivo o per un altro il suo rapporto con qualche calciatore importante o con il presidente del club si deteriora a tal punto da minare l’armonia della famiglia all’interno dello spogliatoio, Claudio in genere saluta e se ne va, com’è avvenuto a Leicester l’anno dopo il trionfo. Naturalmente questi abbandoni lo penalizzano. Non avendo una natura venale, nel distacco da un club, spesso economicamente, ci rimette. “Purtroppo”, come ha detto in una recente intervista televisiva, “in questi passaggi mi scopro un po’ coglione”. Naturalmente non è vero che lo sia.
In un mondo avido di denaro ama virare in controtendenza, esibendo disinteresse e sobrietà. Nella vita e sul campo. Sfornito di teatralità – le braccia quasi sempre conserte – Ranieri, durante le partite, segue il gioco con apparente distacco. Se è necessario cambia l’impostazione tattica senza mai eccedere in movenze istrioniche. Lontano anni luce da certi suoi colleghi che si agitano ininterrottamente ai bordi del campo, le braccia sempre in movimento allungate continuamente sul terreno di gioco, con l’indice puntato verso un obiettivo immaginario. Scene da provocare l’orticaria. Lui, al contrario, è un gentleman, ben prima del suo sbarco in Inghilterra. Da ultimo la generosità e la forza costante dei sentimenti. Pochi sanno che da quando Ranieri ha avuto successo come allenatore trascorre una parte delle sue vacanze con alcuni compagni di squadra del vecchio Catanzaro, che, a cominciare dal mitico Palanca, ospita ogni estate sulla sua barca. In un mondo come quello del calcio, dove spesso l’egoismo impera, rendendo fragili i rapporti umani, Ranieri appare anche sotto questo aspetto un diverso. Chapeau.