Denise Galatà, l’eccellenza di Pollino Rafting, le gite scolastiche e le morti che non dobbiamo (davvero) accettare

Continuano le polemiche sulla morte di Denise Galatà, ma l'unica inchiesta ammissibile è quella della Procura della Repubblica di Castrovillari e non gli isterici sbraiti dei soliti odiatori leoni da tastiera sui social

StrettoWeb

Continuano a dilagare in Calabria le polemiche per la morte della povera Denise Galatà, 17enne della piana di Gioia Tauro tragicamente deceduta nel primo pomeriggio di martedì nel fiume Lao dopo un disgraziato incidente sul gommone del rafting. Il particolare che fa discutere così tanto di questa drammatica vicenda è la circostanza che la ragazza fosse in gita scolastica, ed è proprio su questo che si stanno scatenando i soliti odiatori social ben noti come “leoni da tastiera”. Perché se la tragedia fosse accaduta ad una comitiva di ragazzi in vacanza tra amici o con la famiglia, probabilmente oggi staremmo parlando di altro o comunque non se ne parlerebbe così tanto. Eppure che differenza fa? Non è dato saperlo.

Gli odiatori social sin dal primo momento della tragedia, mentre ancora la ragazza non era stata ritrovata, hanno messo nel mirino i genitori e gli insegnanti di Denise, accusandoli di aver “mandato a morire” la ragazza (!!!) perché in gita scolastica non sarebbe opportuno fare rafting, convinti che sia uno sport “estremo” (!!!!). E’ evidente che non sanno di cosa parlano, ma si ergono così tanto su un piedistallo al punto da sentirsi in diritto di dire a genitori disperati per la morte di una figlia come avrebbero dovuto crescerla, e a insegnanti disperati per la morte di una studente come avrebbero dovuto educarla. E invece proprio genitori e insegnanti di Denise sono in questo momento le persone che stanno soffrendo più di tutti in assoluto, e meriterebbero soltanto rispetto, comprensione, vicinanza e solidarietà.

Anche perché davvero, oggettivamente, in questa disgrazia non hanno alcun briciolo di responsabilità. Il rafting non è uno sport estremo, anzi. Vissuto come fanno le scolaresche non è neanche uno sport perché non c’è alcuna competizione né alcuna gara. E’ una passeggiata nel fiume che quotidianamente da oltre 25 anni fanno anche i bambini di quattro anni in assoluta sicurezza e serenità. Il punto nevralgico della vicenda è se la morte di Denise si poteva evitare.

La morte di Denise Calatà si poteva evitare?

Molto obiettivamente, a differenza dei tuttologi di facebook, non ci sentiamo nelle condizioni di poter sentenziare che la morte di Denise si poteva evitare. Questo non significa che è stato fatto tutto il possibile, non significa neanche che non si poteva evitare. Semplicemente non lo sappiamo. Non sappiamo se si poteva evitare e non sappiamo se non si poteva evitare. C’è un’indagine della Procura della Repubblica di Castrovillari che sta ricostruendo tutti i dettagli sull’accaduto con le competenze investigative di chi ha la professionalità per farlo, e con l’autorità unica riconosciuta dallo Stato per poterlo fare. Quindi attendiamo gli esiti dell’inchiesta e solo allora sapremo se la morte di Denise si poteva evitare o meno. Ad oggi, nessuno può dire per certo che questa disgrazia si poteva evitare. In ogni caso non faremo processi su un giornale, a maggior ragione su StrettoWeb dove processi non ne facciamo mai a prescindere. Possiamo soltanto evidenziare che tutte le indagini della Procura sono rivolte all’organizzazione dell’uscita in rafting, alle regole esistenti sulla possibilità di fare rafting con l’allerta meteo, alle emissioni dell’allerta meteo di quel giorno e alle condizioni atmosferiche, oltre che sul dettaglio che le rodate procedure di sicurezza siano state rispettate regolarmente in quella circostanza. In tal senso le testimonianze sono inequivocabili: tutti i ragazzi avevano correttamente il caschetto e l’aiuto al galleggiamento, ed erano guidati da ben 9 istruttori ufficiali accreditati ed esperti a bordo dei gommoni. In alcun caso si stanno facendo indagini sui genitori di Denise, sugli insegnanti di Denise o tantomeno sull’organizzazione delle gite scolastiche o sulla possibilità che durante una gita scolastica si faccia rafting. E’ pacifico che loro non hanno alcuna colpa, che le gite scolastiche siano cosa buona e giusta e che il rafting in gita scolastica sia non solo opportuno ma anche consigliabile. Ed è di questo e solo di questo che da ieri stiamo parlando su StrettoWeb: ben venga quindi l’inchiesta della Procura (solo quella, però! Non le sentenze frettolose delle mammine pancine su facebook!) per accertare eventuali responsabilità. Nessuno si azzardi però ad accusare insegnanti e genitori mettendo in discussione le gite scolastiche in sè o l’opportunità di fare rafting in gita scolastica.

Cos’è il rafting e come funziona sul Pollino

Il rafting non è uno sport estremo. Il livello di rischio e difficoltà dipende da come si fa, da quando si fa, da dove si fa, da quali percorsi si scelgono. Quello sul fiume Lao, nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, è uno dei più importanti, storici e attrezzati d’Italia, con guide super esperte certificate dalla Federazione Italiana Rafting e un’organizzazione impeccabile. Sono tre i percorsi disponibili sul fiume Lao: uno, il più semplice, è consentito persino ai bambini dai 4 anni di età in su. Gli altri due sono consentiti ai ragazzini dai 14 anni di età in su. Non è richiesta alcuna particolare prestanza fisica, alcun tipo di allenamento specifico, alcun tipo di preparazione caratteristica. Nella descrizione del percorso più semplice, sull’apposita pagina del sito ufficiale https://pollinorafting.it/soft-rafting/, si legge che:

Il percorso rafting più semplice e divertente: percorso adatto ai bambini dai 4 anni in su, alle famiglie e a tutti coloro che preferiscono sperimentare un approccio soft dell’attività e del fiume Lao. Il soft rafting è un percorso di circa 4 km per la durata di 1 ora: molto didattico, corso d’acqua non impetuoso in cui è possibile apprezzare la natura ed il territorio circostante grazie alle indicazioni di esperte guide che riusciranno a indicarvi non solo specie floristiche e faunistiche ma anche storiche del territorio.

Cosa c’è di più didattico e istruttivo per una scolaresca scoprire le meraviglie della natura calabrese, incontrare flora, fauna, storia e natura di un territorio così importante sotto il profilo scientifico come quello del Pollino e del fiume Lao? Si tratta di un vero e proprio Museo a cielo aperto, molto più formativo di tanti Musei turistici rivolti esclusivamente alle grandi masse di vacanzieri più commerciali.

E sempre sul sito ufficiale di Pollino Rafting, si può leggere come persino nel percorso più impegnativo, quello delle Gole del Lago, è “adatto a tutti anche senza esperienza“: https://pollinorafting.it/gole-del-lao/:

Il percorso che si identifica con Laino Borgo. Adatto a tutti coloro che sono alla ricerca di adrenalina e paesaggi mozzafiato, anche senza esperienza. La discesa ha inizio dal borgo calabrese e, dopo un primo tratto scolastico, si prosegue attraverso le gole alte del fiume Lao, il Canyon di circa 8 km caratterizzato da un susseguirsi di rapide; un percorso della durata di circa 3 ore per un totale 16 km. Suggestive pareti a picco, cascate e ruscelli fanno da cornice a tutto il percorso rendendo l’esperienza indimenticabile.

Quello di Pollino Rafting è un centro che opera dal 1996 nel pieno rispetto di tutte le regole, e per questo da decenni fa parte di tutti i circuiti del turismo scolastico senza mai che ci sia stato alcun tipo di problema. E’ un punto di riferimento nel territorio, con numerose collaborazioni all’insegna dell’educazione e della formazione nei settori del turismo sostenibile, della valorizzazione del territorio e dell’imprenditoria giovanile. Per gli studenti in gita non è soltanto una bellissima esperienza di vita, ma anche un’occasione formativa a 360 gradi. Nel sito ufficiale di Pollino Rafting, una delle più belle eccellenze che abbiamo in Calabria, c’è la sezione specifica per le scuole (https://pollinorafting.it/scuole/) tramite cui anche i più scettici si potranno ricredere sull’importanza educativa e formativa di una simile esperienza per i ragazzi:

“Le nostre aule di formazione sono il fiume, le montagne, la natura”. Un grande contenitore di ideeproposte ed attività rivolte alle scuole ed a tutti i gruppi che vogliono vivere una formazione nuova e delle esperienze didattiche, sportive ed educative strutturate ed indimenticabili. Occasioni didattiche nel mondo dell’outdoor, sono un ottimo supporto al lavoro degli insegnanti ed un’occasione per sostenere i nostri giovani nella loro crescita. Il fiume, la montagna e la natura in generale, sono luoghi privilegiati per sensibilizzare ed educare al rispetto dell’ambiente, al senso civico, allo sport; ma anche luoghi di crescita e cooperazione. Sicurezza e divertimento accompagnano le attività di rafting, torrentismo, orienteering o canyoning tra spiegazioni e osservazioni del paesaggio. Lavoro di squadra, sinergia e comunicazione per un’avventura all’insegna dello sport, aria aperta e cultura del territorio! Attività accessibili a tutti, sempre accompagnati dalle nostre esperte guide.

Che cos’è una gita scolastica

Ma se qualcuno mette in discussione attività così virtuose in gita scolastica, è doveroso ampliare il discorso a cosa sono le gite scolastiche. Perché le mammine pancine o gli ‘mpanicati della vita che vorrebbero abolire le gite, o comunque non ci mandano i loro figli, e in queste ore predicano su facebook sostenendo che in gita “bisogna andare solo in chiese e musei“, sono evidentemente fuori dalla realtà. E’ particolarmente curioso il fatto che adesso in tanti sono scandalizzati per un innocuo rafting nel fiume a pochi chilometri da casa per una gita scolastica a 17 anni, quando quelle stesse generazioni a 17 anni andavano in gita ad Amsterdam o Budapest letteralmente “abbandonati” nottetempo dagli insegnanti, alla frenetica ricerca di droghe e discoteche, scavalcando balconi di hotel e lanciandosi in piscina ubriachi. E quante generazioni di studenti che a 17 anni e anche molti meno sono andati in gita scolastica a Gardaland, o a Etnaland, dove pure ci sono stati tantissimi incidenti e diversi morti? Generazioni che a 17 anni e anche meno andavano in gita distruggendo il bus dei trasporti e intonando “se facciamo l’incidente muore solo il conducente”; generazioni che adesso sono cresciute e che evidentemente si sono dimenticate di cosa significa avere 17 anni.

Mai nella storia della Terra è stata organizzata una gita scolastica “solo in chiese e musei”: neanche uno studente parteciperebbe. La scuola non è e non deve essere un contenitore di nozioni, ma è prima di tutto una palestra di vita, il riferimento fondamentale della socializzazione e delle esperienze. E tutti quando frequentavamo la scuola abbiamo partecipato a gite scolastiche, siamo andati in chiese e musei, eppure non ci ricordiamo nulla di quelle visite bensì portiamo nel cuore solo i momenti di svago con i compagni e gli amici, le marachelle e i divertimenti. Le gite scolastiche sono le prime esperienze di vita fuori casa, con gli amici e i compagni, e vengono vissute in modo particolarmente entusiasmante per questo a prescindere dalle attività che si svolgono.

La morte in gita scolastica

Non vorremmo mai che accadesse, ma purtroppo può capitare di morire anche in gita scolastica. Basta scrivere su Google “morto gita scolastica” per trovare una lunghissima serie di notizie drammatiche senza che mai i bambini e ragazzi morti praticassero alcuna attività “estrema”, tantomeno il rafting. Poche settimane fa, il 5 aprile, un 19enne è morto durante la gita scolastica sul treno ad alta velocità partito da Roma e diretto a Milano. La tragedia si è verificata nei pressi della stazione ferroviaria di Arezzo, dove lo studente si è affogato mentre mangiava nel vagone insieme ad alcuni amici e non è più riuscito a respirare. Pochi mesi prima, il 15 febbraio, a Bolzano era morto un 12enne tedesco caduto dal balcone di un hotel in Valle Aurina durante la gita scolastica. Il ragazzino è morto in pieno giorno quando stava tentando di arrampicarsi sul balcone dei compagni a cui voleva fare uno scherzo.

Due anni fa, a giugno 2021, un ragazzo milanese di appena 16 anni è morto in gita scolastica in Trentino durante un’escursione in bicicletta tra Canazei a Moena, vicino al parco di Pera di Fassa, per una caduta. Nel 2015 una 17enne greca in gita scolastica a Roma è morta precipitando dal balcone del secondo piano di un albergo. Nel 2014 un 15enne di Catania moriva durante la gita scolastica cadendo dal ponte della nave ormeggiata nel porto di Barcellona, in Spagna. Sempre nel 2014 a Roma è morto anche un 16enne svizzero che durante la gita scolastica aveva deciso di giocare a lanciarsi coltelli con i compagni: venne trafitto al petto e non ci fu nulla da fare. Ancora nel 2014 fece grande scalpore il dramma di Alessio Quaini, 13enne di Vallio Terme (Brescia) stroncato da una crisi cardiaca mentre saliva le scale durante una visita didattica al municipio di Villanuova sul Clisi. Nel 2013 una 13enne inglese è morta cadendo dalla seggiovia di Claviere, in alta Valsusa (Torino). Nel 2012 un 17enne spagnolo in gita scolastica a Roma è morto per una caduta da un muretto durante una fuga dai Carabinieri, che erano sopraggiunti per la segnalazione di schiamazzi notturni. Nel 2012 due ragazze di appena 14 anni, romane, morirono sulla spiaggia di Cala Rossano a Ventotene per l’improvviso crollo di un costone di tufo.

Purtroppo sono tantissime le morti dei ragazzi in gita scolastica caduti dai balconi o dalle finestre, spesso e volentieri dopo l’assunzione di droghe o alcol durante notti di baldoria. Di tre anni fa la sentenza del Tribunale di Firenze su una tragedia analoga: un 17enne di Cecina era morto il 15 ottobre 2015 precipitando dalla finestra della camera di albergo alle 04:06 del mattino a Milano dopo che con i compagni avevano fumato diversi spinelli. Il Tribunale ha chiarito che i professori non avevano alcuna responsabilità sulla morte del ragazzo, con le motivazioni di una sentenza che ha fatto giurisprudenza evidenziando che l’episodio è stato “un evento del tutto atipico e imprevedibile”  dagli insegnanti e che “i ragazzi al momento dei fatti erano quasi tutti maggiorenni o prossimi alla maggiore età, avevano quindi la maturità giusta per essere lasciati liberi”. Per il giudice, inoltre, non si può pretendere dagli insegnanti “una sorveglianza notturna a oltranza che risulterebbe anche invasiva”. Non è forse “atipico e imprevedibile” anche quanto accaduto due giorni fa lungo il corso del fiume Lao? Quanti sono stati gli analoghi incidenti in rafting nei decenni di precedenti esperienze scolaresche quotidiane, e quali elementi avevano genitori e insegnanti per proibire ad una comitiva di ragazzi pressoché maggiorenni di praticare un’attività tra l’altro così virtuosa e formativa, per giunta ampiamente programmata e condivisa nel percorso didattico? Anziché dare sentenze sul fatto che “si doveva evitare”, non è meglio riflettere, ragionare e ricordare che il rischio zero non esiste, non esisterà mai, e al contrario l’imponderabile ci sarà sempre?

Ma questo vale per tutto, non solo per le gite scolastiche. Questi ragazzi che sono morti in gita, sarebbero potuti morire anche in vacanza con gli amici o con la famiglia. Stavano facendo in gita scolastica attività che avrebbero potuto fare anche con i genitori o con gli amici. La gita scolastica non è in alcun caso la determinante di questi episodi rispetto ad altre situazioni. In circostanze e modalità analoghe, molti ragazzi e bambini tristemente muoiono a casa, a scuola, nella loro quotidianità.

Le morti che non possiamo accettare

E’ chiaro che accettare la morte non è mai semplice. Soprattutto se a morire sono bambini e ragazzi: in qualsiasi circostanza accada, è qualcosa che scuote, che lascia magone e tristezza, sgomento e dolore, rabbia e frustrazione. Un vuoto enorme che resterà per sempre e un anche inconscio senso di colpa nato però soltanto col senno del poi. Non tutte le morti, però, sono uguali. E quindi non possiamo unirci al demagogico coro di una “morte inaccettabile”, dello stucchevole teatrino del “non si può morire così” e bla bla bla. No, perché ci sono tante tragedie che succedono, sono sempre accadute e sempre accadranno, semplicemente perché si vive. Perché si va in gita scolastica, perché si fa rafting sul fiume, perché si gioca a fare uno scherzo agli amichetti, perché si fa un’escursione in bicicletta, perché si salgono le scale di un Museo. Drammi dolorosi ma che purtroppo fanno parte dell’umana esistenza e poco si può fare per evitarli, a meno che non decidiamo di chiuderci in una sorta di eterno lockdown e anche in quel caso ci potrà comunque capitare di morire.

La morte che invece senza ombra di dubbio non possiamo accettare, e dovremmo in alcun modo evitare, è quella di Milagros Soto, 12enne argentina morta cinque mesi fa in diretta su tik-tok mentre partecipava al “choking game”, la “sfida di soffocamento”, una challenge virale sulla piattaforma social. In questa sfida i bambini devono strangolarsi fino quasi a svenire e poi ritrovare il respiro per “vincere” la “challenge“. Che è costata la vita anche ad Antonella Sicomero, 10 anni di Palermo, morta a gennaio 2021. E a Lalani Walton, 8 anni, e a Arriano Arroyo, 9 anni. E decine di altri ancora in giro per il mondo.

Sempre su tik-tok è molto popolare un’altra sfida, la “Benadryl challenge”, che prevede l’assunzione di una dozzina di pillole di antistaminico per avere le allucinazioni. Così il 12 aprile 2023 è morto Jacob Stevens Greenfield, statunitense di 12 anni. Ragazzi che non sono usciti di casa, hanno trovato la morte nella loro cameretta davanti ad un computer, rincorrendo emozioni finte e virtuali molto più pericolose rispetto al rafting nel fiume Lao. E soprattutto molto più deviate, malsane e tossiche.

Poi c’è Camilla Canepa, studentessa di 18 anni di Sestri Levante morta il 10 giugno 2021 pochi giorni dopo la vaccinazione anti-Covid per una trombosi fatale. Tanti altri ragazzi sono morti e stanno tuttora morendo con misteriosi malori improvvisi subentrati dopo aver fatto quel vaccino che tra l’altro non gli avrebbe potuto impedire di contrarre un virus a sua volta assolutamente innocuo per le persone giovani e sane, e ancora oggi questi morti non hanno avuto giustizia e verità. Con l’aggravante che erano vaccinati non per scelta, ma perché altrimenti non avrebbero potuto prendere il bus, andare in palestra o in pizzeria con l’ignobile ricatto del Green Pass, oltre ad essere socialmente emarginati ed etichettati come eretici.

Le morti che non possiamo accettare sono quelle provocate da devianze e malaffare, da aberrazioni e ignoranza, purtroppo sempre più diffusi e dilaganti in una società malata in cui ci sono sempre meno mamme che spingono i figli ad uscire di casa e vivere la vita, ad andare in bici nel bosco, sulle piste con gli sci, sul gommone nel fiume, col pallone per strada, e invece sempre più mammine pancine che li fanno crescere chiusi in casa a lobotomizzarsi davanti a smartphone, computer e TV.

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