Tra le sue Poesie per i figli della Rivoluzione William Eastlake, poeta americano che al tempo della contestazione andava per la maggiore inserì anche una sessione su come aveva vissuto l’atterraggio sulla luna. Una pagina di diario lo descrive davanti alla televisione per niente partecipe dell’entusiasmo collettivo mentre con alcuni indiani guardano l’allunaggio mentre bevono birra e si interrogano infastiditi su quanto sia costato tutto quello spettacolo: insomma, dice con il suo tono da profeta inascoltato, perché spendere soldi ad andare sulla luna con tutti i problemi da risolvere che ancora abbiamo qui? Riaffiora sempre negli esponenti di questa controcultura quel misoneismo rousseauiano che vede ogni soluzione in una natura benefattrice da non disturbare con arroganze scientifiche e ingegneristiche. Questa controcultura fine a sé stessa mi tornava in mente in occasione delle contestazioni a Salvini dei giorni scorsi. Da noi questi rigurgiti ritornano infatti ogni volta che si parla del ponte sullo Stretto, con una frangia di contestatori sempre più esigua ma sempre più chiassosa. Si ricordano nel tempo strade piene di muri imbrattati, sfilate modeste ma rumorose e infine alcune decine di irriducibili che due giorni fa sulla rada lanciavano rotoli di carta igienica. Uno dei leader di questo movimento è Renato Accorinti che un tempo dal voto frammentato delle comunali di Messina riuscì a ritrovarsi anche sindaco e si presentò alle altezze di palazzo Zanchi scalzo, jeans e barba ispida per non lasciare dubbi su quale fosse il suo retroterra culturale. Lui, intendiamoci, è anche un’ottima persona, che crede senza ipocrisie in tutti i valori dei libri da catechismo, salvo poi avere rifiutato a un certo punto di indossare i calzoni lunghi per restare un eterno adolescente sognatore. Adesso si lamenta di essere stato escluso dai grandi dibattiti e avrebbe pure ragione in quanto anche lui esprime una voce sia pure esigua che non si può semplicemente spegnere dicendo prepotentemente che quando le cose si fanno sul serio allora non si ha più tempo per ascoltare chiunque. Da questo punto di vista noi sosteniamo che, al di là di quante persone gli stanno dietro e dell’avversità dell’opinione, questa va comunque espressa e meditata e quindi certamente un posto nei dibattiti si sarebbe dovuto trovare anche per lui. Però è anche vero che nascondersi dietro l’idea democratica che ognuno che alza la mano ha diritto di dire la sua e porre tutto sullo stesso piano significa “sdillabrare” fin troppo questa idea e svuotarla di significato: quello che ci sembra mancare in lui è, appunto, un’argomentazione di peso.
Naturalmente ognuno può criticare il ponte come più gli piace, dal crederlo inutile, dannoso, antipaesaggistico: nessuna idea ha mai soddisfatto tutti ma alla fine si dibatte, la maggioranza supera le obiezioni e porta avanti le proprie idee con fiducia e coraggio e la storia dirà. Ma adesso questa controcultura crede di avere trovato una argomentazione decisiva affermando che non è che il ponte sia sbagliato in sé stesso, ma che prima ci sono cose più importanti da fare e prima si facciano tutti gli altri lavori pubblici in Sicilia e poi allora ci si potrà pensare. Insomma, ci sono cose che hanno la precedenza. Si tratta di un ragionamento sciocco, ma che potrebbe trarre in inganno molti. Per gli autori di questo pensiero infatti le problematiche di un territorio non sono viste in modo dinamico (per cui risolte se ne creano altre di altra dimensione e prospettiva), ma statica (per cui se vuoi eliminare i problemi per sempre in un luogo basta risolvere quelli che ci sono) e quindi puoi ragionare in prospettiva solo dopo avere azzerato tutte quelle esistenti nel presente. Nessun territorio ha nessun problema, esistono solo territori con problemi diversi, e quindi se si ragionasse così il progresso umano si arresterebbe. Ogni Stato, semplicemente, investe una parte del suo bilancio a sistemare il presente e una parte a progettare il futuro: la California non ha i problemi del Paraguay, ma se la California, prima di progettare il domani, aspettasse di avere prima sistemato tutto il presente, allora in una ventina d’anni diventerebbe come il Paraguay. La Sicilia del Duemila ha grandi problemi come aveva grandi problemi nell’Ottocento e nel Nocecento, ma sono problemi diversi: la Sicilia di oggi non è la Sicilia di Verga e di Pirandello e, volendo, neanche la Sicilia di Sciascia: ha risolto alcuni problemi e altri ne sono venuti: non ha più analfabetismo e ha strade al posto di trazzere. Che sono consumate e che vanno ammodernate, certamente, ma ciò non vuole dire che intanto non si deve guardare anche in prospettiva, altrimenti si è prigionieri della visione miope per cui puoi solo migliorare ciò che già possiedi. Ma Accorinti dice proprio questo: non c’è da dividere i mezzi tra nuovo e vecchio: se vuoi progettare qualcosa, prima la rete viaria deve essere perfetta e poi magari si può ragionare, ma che nessuno venga a proporre nulla in Sicilia se il presente è così. E in Sicilia nessuno da anni è venuto a toccare nulla e le strade sono rimaste quel che sono. Adesso però qualcuno è venuto con un progetto importante ma non ha parlato di strade e allora ecco subito la carta igienica: è una questione di principio.