Atto di giustizia della Corte Costituzionale sul Tfs dei dipendenti pubblici

La Corte Costituzionale ha reso un atto di giustizia nei confronti dei pubblici dipendenti nella corresponsione del TFS sentenziando che era incostituzionale il provvedimento che determinava che il pagamento ai dipendenti fosse consentito con anni di ritardo rispetto al termine dell’impiego lavorativo

StrettoWeb

Dopo oltre vent’anni dal provvedimento di legge che l’ha istituito, la Corte Costituzionale ha reso un atto di giustizia nei confronti dei pubblici dipendenti nella corresponsione del TFS sentenziando che era incostituzionale il provvedimento che determinava che il pagamento ai dipendenti fosse consentito con anni di ritardo rispetto al termine dell’impiego lavorativo.

Con la sentenza n. 130 la Consulta ha stabilito che il differimento della corresponsione del trattamento di fine servizio (TFS) spettanti ai dipendenti pubblici cessati dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione di cui tali prestazioni costituiscono un componente. Principio che si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto ma anche nella tempestività della erogazione.

La Corte sottolinea che il TFS è un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione dell’esistenza umana. Spetta dunque al legislatore, tenuto conto del rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria.

La Corte poi, dopo aver ricordato che già nell’anno 2019 aveva invitato il Governo a modificare tale situazione, impone all’Esecutivo, tenendo conto della situazione economica attuale, a porre in essere tutte le iniziative per modificare la legge preesistente e gradualmente ottemperare a quanto espresso. Lo stesso principio che aveva determinato tale norma vale a dire i problemi di bilancio se pur possono essere accettati per un determinato periodo di tempo non possono essere portati come scusante per un tempo illimitato.

Questa storia nasce addirittura nell’anno 1997 quando per esigenze di bilancio statale si decise di differire il FFS (ex liquidazione) dei pubblici dipendenti dilatando la corresponsione di quanto dovuto fino a 15 mesi per chi andava in pensione di vecchiaia e fino a 27 mesi per chi accedeva alla pensione anticipata. Il tutto fu peggiorato sotto il governo Monti nel 2011 che approvò una norma che consentiva il pagamento del TFS a rate annuali di 50.000 € lorde.

Quando poi fu istituita la famosa “Quota 100” si pensò di corrispondere il TFS secondo i termini di pagamento sopra citati non dal momento del pensionamento ma da quando il lavoratore avrebbe raggiunto i requisiti per il pensionamento di vecchiaia od anticipato. Questo ha fatto sì che quanto dovuto fosse corrisposto ai dipendenti pubblici in certi casi addirittura dopo quattro, cinque, sei, sette anni dal giorno del pensionamento.

Consideriamo ancora che questo differimento del pagamento non prevede il calcolo degli interessi per cui solo prendendo in esame l’inflazione di questi due ultimi anni il potere d’acquisto dei lavoratori è diminuito di oltre il 20%.

Adesso è evidente che poiché ci sono oltre 1 milione e mezzo di persone che aspettano di incassare quanto dovuto il costo previsto di circa 14 miliardi sarebbe molto alto da trovare immediatamente per le esangui casse dello Stato, e di conseguenza passeranno almeno 12 mesi per ottenere quanto dovuto ma in ogni caso abbiamo assistito ad una sentenza giusta che costringe il Governo a modificare una norma iniqua che aveva creato molto malumore e risentimento dei cittadini italiani nei confronti delle istituzioni.

 

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