Qualche giorno fa, sui social, ho letto fantasiose proposte per risolvere i problemi legati alla indisponibilità dell’aeroporto di Catania. Improvvisati esperti di ferrovia ipotizzavano improbabili soluzioni in grado di consentire il raggiungimento di Napoli o Roma in 5 o 6 ore: ad esempio, imbarcando i treni regionali per farli arrivare fino a Villa S. Giovanni, in modo da consentire ai viaggiatori l’accesso ai treni Italo, Frecciarossa e Frecciargento diretti al centro-nord.
Idee che funzionano soltanto nella mente dell’ignoto propositore, evidentemente ignaro delle dinamiche del trasporto ferroviario e della logistica del sistema di traghettamento, a cui devono sottoporsi gli utenti della ferrovia diretti dalla Sicilia al continente e viceversa.
Un sistema antiquato, appena sufficiente a traghettare le attuali cinque coppie giornaliere di treni Intercity e le pochissime, eventuali, coppie di treni merci. In sintesi, la disponibilità di navi traghetto, a dir poco carente, garantisce a malapena l’offerta di trasporto ferroviario in atto, rendendo impossibile il traghettamenti di altri rotabili. Che, peraltro, ammesso che siano traghettabili (ci vuole una certificazione apposita) sarebbero sottratti inutilmente al trasporto regionale, già carente di suo. Senza risolvere, infine, il problema della “rottura di carico”, ovvero la necessità di cambiare mezzo di trasporto per raggiungere la destinazione.
Passando alla cruda realtà, dobbiamo ricordare che per raggiungere il continente da Catania e viceversa, i pochi treni disponibili sono tutte caratterizzate da percorrenze lunghissime ed incomparabili con i tempi del trasporto aereo, a causa del vero, innegabile problema: il tempo di traghettamento. Che può arrivare anche alle 3 ore, senza mai scendere sotto le 2.
I tempi di percorrenza delle quattro coppie da e per Roma, due notturne e due diurne, sono compresi tra le 9 ore e 42 minuti e le 11 ore e 24 minuti. La coppia di treni che va e viene da Milano, impiega 20 ore e 28 minuti. Alternative improponibili per chi è incappato nelle conseguenze dell’emergenza aeroportuale di Catania.
Ben diversa sarebbe stata la situazione con il Ponte sullo Stretto già in esercizio. Sarebbe già così se nel 2012 i contratti per la realizzazione dell’opera, già appaltata, non fossero stati “caducati” dall’allora governo Monti.
Ci sarebbero treni che raggiungerebbero Roma, da Catania, in 4 ore e mezza, senza cambi sotto il sole a 40° ed offrendo al viaggiatore tutti i comfort dei moderni elettrotreni ad Alta velocità. E magari sfruttando la stazione Fontanarossa, realizzata di recente a servizio dell’aeroporto, avrebbero potuto costituire un’alternativa più che appetibile per chi ha dovuto subire la cancellazione del proprio volo e del proprio viaggio. Il quale, probabilmente, considerando gli usuali tempi di attesa e di trasferimento a centro città, sarebbe durato anche di più.
Una semplice constatazione che ci fa comprendere la gravità dell’attuale condizione dei trasporti in Sicilia, al di là della inadeguatezza della gestione degli aeroporti, per i quali non esiste un coordinamento dei vari gestori operanti in Sicilia e che, forse, richiederebbe un gestore unico.
Quello che sta succedendo ci fa comprendere come l’assenza del collegamento stabile con il continente renda più vulnerabile l’intero sistema dei trasporti siciliani. Che, come ho ricordato spesso, va visto nel suo insieme e non, come avviene adesso, come una casuale combinazione di attori che operano ignorandosi l’un l’altro, a compartimenti stagni.
E’ quindi ovvio che la mancanza del Ponte non riguardi solo le modalità di trasporto direttamente interessate dall’infrastruttura, ovvero strade e ferrovie, ma la sua assenza ha conseguenze gravi su tutte quelle operanti in Sicilia. Regione che, dopo aver subito almeno 11 anni di ritardo nella sua realizzazione, non può più attendere.