“Giuro che diventerò un pianista da grande!”: la promessa di bambino mantenuta da adulto dal Maestro Antonio Morabito

Antonio Morabito di Reggio Calabria è "uno dei migliori giovani pianisti del nostro tempo"

  • Maestro Antonio Morabito
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Siamo a Londra e incontriamo volentieri Antonio Morabito, rinomato pianista reggino di 27 anni che si è fatto un nome sulla scena musicale internazionale. Morabito è laureato con lode in Pianoforte e Musica da Camera presso il Conservatorio “F. Cilea” e successivamente presso il Conservatorio “Rodrigo” di Valencia, in Spagna, per ottenere infine un Master in Esecuzione Pianistica al Royal College of Music di Londra. Le esibizioni di Morabito sono state lodate da critici e pubblico, guadagnandogli il titolo di “uno dei migliori giovani pianisti del nostro tempo” da parte del Keyboard Charitable Trust. Il suo repertorio è vario, dalle opere classiche a quelle contemporanee, e ha una particolare affinità per le opere di Chopin. Si è esibito in numerose città in Europa.

Oltre alla sua carriera di pianista, Morabito è Tutor di Pianoforte presso il Servizio d’Insegnamento del Royal College of Music dove lavora anche come Pianista Accompagnatore e Insegna Pianoforte alla Cardinal Vaughan Memorial School di Londra e al Conservatorio di Blackheath. La nostra intervista.

Cosa l’ha spinto a intraprendere una carriera come pianista classico?

Quando sono entrato in contatto con la Musica da ragazzino ne sono stato subito attratto. Per spiegare di che tipo di attrazione si tratta faccio sempre riferimento a quella che si prova per una persona amata. Ma la musica ha a che fare con l’Assoluto, nessuna materialità, quindi il legame è più profondo perché trascende la corporeità. Una volta capito questo, non ne ho potuto più fare a meno. La musica, come la fede, non è un lavoro, è una vocazione. Ho trovato un taccuino in cui da bambino avevo scritto “giuro che diventerò un pianista da grande!”. Era una promessa a me stesso. Credo di averla mantenuta“.

Può condividere alcune delle sue esperienze di studio (e ora lavoro) al Royal College of Music di Londra?

Il Royal College of Music è una storica istituzione musicale nel cuore di Londra. Attualmente è considerata la migliore scuola per le arti performative a livello mondiale. Non faccio fatica a crederci. Essere stato uno studente con borsa di studio è stato un grande privilegio e lavorarci ora come Tutor di Pianoforte e come Pianista Accompagnatore nel dipartimento di Opera è un sogno. Mi permette di stare a contatto con colleghi e studenti che sono fonte d’ispirazione perché tutti musicisti di un livello altissimo da cui non smetto di imparare!

Ci parli del suo lavoro come Professore di Pianoforte al Blackheath Conservatoire e alla Cardinal Vaughan Memorial School di Londra.

Londra è una città che ti permette di occuparti di più cose contemporaneamente e quindi, oltre al lavoro al Royal College, insegno in altre due istituzioni musicali a Londra: il Blackheath Conservatoire e la Cardinal Vaughan Memorial School. Il primo è un conservatorio a sud-est di Londra, l’Istituto musicale più antico di Londra, il primo conservatorio in cui sono entrato da docente e non da studente. Un ambiente fantastico dove insegno ad allievi talentuosi di tutte le età in una struttura così organizzata che ha perfino l’area giochi bimbi con tanto di recinto di sabbia per le famiglie che aspettano che i fratellini finiscano le lezioni di musica. La Cardinal Vaugham School è invece una delle scuole secondarie più rinomate a Londra (fondata nel 1914) e ha un’incredibile tradizione musicale. Il motto della scuola è “Amare et Servire”. Quando ho fatto il colloquio per entrarci ho pensato: “E’ il posto dove voglio lavorare”. Il coro della scuola è perfino apparso nelle colonne sonore di Harry Potter!

E come riesce a bilanciare tutti questi ruoli, pianista, docente e direttore di coro?

E’ sicuramente impegnativo e sono bonariamente preso in giro da i miei amici per la mia poca vita sociale a Londra (la mia fidanzata è invece contenta!). Ma il segreto è che lavoro in part-time nelle Istituzioni scolastiche dove insegno e questo mi permette di avere molte ore libere a settimana necessarie per studiare“.

Parliamo della sua educazione alla musica. Può condividere alcune riflessioni sul suo periodo di studi con Marialaura Cosentino al Conservatorio Cilea?

Per questa domanda servirebbe un’intervista a parte. Tanta è la stima e la gratitudine per la Prof.ssa Cosentino a cui devo tutto. Una pianista di un talento fenomenale, una docente come nessuno che abbia mai incontrato, una persona di un cuore e una generosità straordinari. Sono stato fortunato ad aver incontrato un angelo sul mio cammino che ha trasformato un ragazzino scalmanato e un pianista quasi autodidatta in un professionista. Mi ha insegnato cosa significa “Insegnare” oltre che suonare bene il pianoforte, e quest’ultima cosa, continua ad insegnarmela anche adesso“.

Nel frattempo ha preso una laurea in Filosofia presso l’Università di Messina. Come ha influenzato il suo approccio alla musica?

La filosofia è un amore che nasce sui banchi di scuola grazie ad una donna meravigliosa qual è stata la mia prof.ssa delle scuole superiori Daniela Raspa. Lei fu la prima che mi ha introdotto al fascino del Pensiero. Da lì ho capito che la conoscenza era una sola e andava investigata in tutte le sue forme ed espressioni. Penso che la Filosofia sia un grimaldello in grado di scardinare le porte della consapevolezza interiore da cui nasce la vera conoscenza di se. E quest’ultima, estremamente difficile da conseguire, è sia il presupposto che paradossalmente il fine del fare Musica, almeno per me“.

Che ci può dire competizioni internazionali di pianoforte come il Concorso Internazionale di Pianoforte di Bruxelles e il Concorso Internazionale Città di Barletta?

Partecipare ai concorsi è un po’ un passo obbligato per giovani pianisti che vogliono affermarsi. Le mie esperienze sono state, al di là dei risultati conseguiti di cui comunque vado fiero, un modo per conoscermi meglio, per gestire la mia emotività di fronte ad una commissione e per aiutarmi a capire che l’unico giudice realmente in grado di influenzare il mio percorso con le sue critiche sono io stesso“.

Come gestisce questa naturale emotività in una performance pubblica? E come mantiene la sua passione e motivazione in un campo che richiede una disciplina e pratica così intense?

Bellissime domande! La performance, nella mia esperienza, è il risultato di un 50% di studio e un 50% di controllo di sé. Parlo di studiare tanto ma soprattutto bene ed efficacemente. In genere io vi dedico dalle 4 alle 8 ore al giorno ma il numero di ore varia molto a seconda dei periodi dell’anno e della vicinanza ai concerti. Per il restante 50% è importante mettere in atto tecniche e strategie per gestire l’aspetto mentale da cui parte tutto. Cerco di bilanciare questi due aspetti nella mia pratica giornaliera ma non è per niente facile, sono sempre in itinere. Per fortuna sono affiancato da persone meravigliose nella mia vita che mi aiutano a mantenere questo equilibrio. Ormai il concetto di mindfulness è ampiamente conosciuto. Ognuno ha i suoi modi: meditazione, training autogeno, joga, sport, repirazione controllata, tecniche di gestione dell’ansia ecc… Io personalmente mi dico prima di entrare in scena che è un privilegio stare su quel palco e poter far entrare in contatto le persone con l’arte. Quelle persone non stanno aspettando me ma stanno aspettando la musica. E’ lei la protagonista, non io. La motivazione e la conseguente disciplina giornaliera le mantengo sempre alte dandomi sempre nuovi obbiettivi da raggiungere!

Come concilia la necessità di precisione tecnica con la necessità di espressione emotiva nelle sue esibizioni?

Ciò che veramente conta è il coinvolgimento emotivo. La precisione tecnica non bisogna pensarla come una necessità. Questo è l’unico modo per raggiungerla“.

Come si sente quando suona la musica davanti a un pubblico e qual è la parte più difficile di questo mestiere?

Felice e Grato. La parte più gratificante per me e quando le persone si avvicinano commosse a fine concerto a dirmi che si sono emozionate. La parte più difficile, almeno per me, talvolta, è invece far capire il valore di ciò che si fa agli altri, specie laddove lo Stato non fa nulla per aiutarti e l’arte diventa una disciplina di serie B. Se sei immerso in una società in cui ciò che conta è solo ciò che puoi toccare e che produce business, beh allora fai una fatica immensa“.

Come è evoluto il suo stile musicale nel corso degli anni?

E’ evoluto con me e continua ad evolversi perché io continuo a farlo, almeno ci provo. Io e la “mia” musica, espressione di me, siamo in cammino. Un cammino di perfettibilità al quale spero sempre di tendere“.

Quale pezzo musicale le piace?

Ce ne sono tanti. Ma se proprio devo sceglierne uno direi il secondo scherzo di Chopin Op.31. E’ un pezzo stratosferico!!

Cosa le piace più del suonare il Pianoforte?

Che mi metta di fronte ai miei limiti, alle mie imperfezioni, alle mie insicurezze, alle mie paure, che me li sbatta in faccia e che mi costringa a vederli, affrontarli e, accettandoli, a superarli!

Come può aiutarci in altre aree della vita, suonare uno strumento?

La musica è l’unica disciplina che è in grado di mettere in moto tutte le aree del nostro cervello e di farci lavorare su tutte le aree del nostro essere. Infatti essa fa lavorare allo stesso livello i due emisferi celebrali e agisce a livello corporeo, mentale, psicologico, emotivo e spirituale sulla persona in questione. Gli antichi greci lo sapevano bene ed è per questo che facevano studiare Musica da bambini, a tutti indistintamente, fino ai trent’anni. Se avete tra le vostre conoscenze bambini che hanno fatto musica e bambini che non ne sono mai entrati in contatto, sono sicuro noterete da voi stessi le differenze. La musica può veramente cambiare il mondo“.

Che consigli darebbe a ragazzi che vogliano intraprendere il suo stesso percorso? Per esempio…qual è il primo passo per diventare un musicista classico?

Incontrare un Maestro bravo. Più che altro è un consiglio che va dato ai genitori i quali non devono assolutamente intervenire nella relazione didattica. E’ lì che si gioca la partita! Se si ha la fortuna di avere genitori in gamba, è tutto in discesa“.

C’è chi dice però che l’educazione musicale classica sia troppo rigida o conservatrice.

Per alcuni docenti purtroppo si. Lo stesso concetto di “classico”, ambiguo e inopportuno, può diventare una gabbia e una tana dove ripararsi da ciò che non si conosce. La musica è così immensa che taluni, delle volte, relegano il proprio insegnamento ad un’area così piccola che diventa uno spazio d’espressione troppo angusto“.

Altri invece attaccano la musica classica in sé. Dicono che sia troppo complessa, difficile da apprezzare, superata e irrilevante per l’ascoltatore medio, i concerti troppo formali o intimidatori.

E’ un problema culturale, ovvero di abitudine. Rispondo generalmente così: se sei abituato a mangiare la pasta, quando andrai in un Paese straniero dirai che il cibo locale è troppo estraneo e complesso e difficile da apprezzare e lo stesso diranno loro se mangeranno una lasagna. Se la musica classica rimarrà sempre per un’élite di persone allora, al gusto dei più, farà lo stesso effetto del cibo “estraneo”. A questo va aggiunto che, purtroppo, non si fa nulla per avvicinare il grande pubblico al concerto di musica classica. La società non è più abituata e consapevole della sacralità di alcuni momenti“.

Perché pensa che l’improvvisazione sia meno comune nella musica classica rispetto ad altri generi? Pensa che l’enfasi sulla perfezione soffochi la creatività?

Sì, se intendiamo per “musica classica” quella di Bach. Mozart, Chopin ecc. Questo è un problema solo relativamente recente però. Perché ciò che chiamiamo oggi “musica classica” nei secoli passati era basata sull’improvvisazione che era la condizione sine qua non dell’atto compositivo ma anche di quello performativo. Il musicista si riconosceva da questo. Era non solo ammissibile modificare il brano ma perfino richiesto e apprezzato. Col tempo probabilmente l’ideale di perfezione che ha accompagnato i brani dei grandi compositori ha sviluppato negli esecutori il timore di “comprometterli” con proprie modifiche. E il risultato è, purtroppo, aver in larga parte eliminato una componente che è estremamente vitale nell’espressione musicale. Ci sono ovviamente delle eccezioni come nella musica colta contemporanea o in altri casi come, mi viene in mente un esempio su tutti, “La Valse” di Ravel nella trascrizione pianistica dello stesso autore“.

Cosa ne pensa della mancanza di diversità nella musica classica, sia in termini di compositori che di esecutori?

Credo non ci sia una musica più variegata in termini di compositori ed esecutori come quella che definiamo “classica”“.

Può parlarci di progetti o performance future?

Dal prossimo autunno riprenderò con una fitta stagione concertistica, prevalentemente in Inghilterra, dove suonerò sia come solista che in formazione di musica da camera. Il primo appuntamento è il 30 settembre presso la famosissima St. Mary Perivale Church dove ho avuto l’onore di essere stato invitato dal Keyboard Trust il cui presidente è il M° Antonio Pappano per un festival pianistico internazionale“.

Un’ultima domanda…pensa che un’Intelligenza Artificiale, come ChatGPT, possa mai sostituire i musicisti umani?

Spero proprio di no altrimenti dovrò cercarmi un altro lavoro!

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