Le motivazioni pubblicate dal TAR rispetto alla sentenza di giovedì scorso che ha visto la Reggina soccombere in tribunale sono una mazzata più grande della sentenza stessa: perchè non lasciano alcuna speranza per il Consiglio di Stato e stroncano, nel merito, punto per punto, ogni tipo di obiezione che Saladini e i suoi legali avevano sollevato nel corso della battaglia giudiziaria. Sono motivazioni così chiare, così precise e puntuali, con adeguati richiami legislativi, che non consentono a nessuno di continuare nella patetica visione vittimista e complottista che lo stesso Saladini ha tentato di inculcare ai tifosi, individuando nei “poteri forti del nord” il più facile degli alibi per scrollarsi di dosso le proprie responsabilità.
E invece no, non è colpa di nessuno se la Reggina è morta, che non sia lo stesso Felice Saladini. Ha ingannato una città intera, certamente ingenua e credulona, tradendone la fiducia e la passione. Per capire cos’ha combinato è necessario riavvolgere il nastro a poco più di un anno fa, per un riepilogo sintetico ed essenziale ma doveroso per fornire ai tifosi il più realistico quadro di lettura dei fatti, affinché si possa evitare di finire fagocitati nel tritacarne di alibi e capri espiatori.
Saladini come un avvoltoio sulla Reggina: l’inizio della fine a giugno 2022
Saladini rileva la Reggina a giugno 2022 mentre Luca Gallo è agli arresti. Il club ha titolo ad iscriversi in serie B ma il proprietario è finito in manette e quindi la Reggina è una ghiotta occasione. Un affare d’oro: quando ricapita di poter rilevare gratis una squadra in serie B? Saladini si fionda come un avvoltoio e riempie di balle una città che – nonostante la fresca esperienza con Gallo – senza un briciolo di spirito critico pende dalle sue labbra sin dal primo giorno. Al punto che il 1° luglio 2022, quando su StrettoWeb scriviamo un editoriale molto duro intitolato Reggina, così non va: dopo 15 giorni è tutto in alto mare e Saladini resta a guardare, veniamo sommersi dagli insulti dei tifosi accecati dalla fede. Ma – come sempre – gli insulti non ci spaventano soprattutto se messi sulla bilancia di una verità che prima o poi verrà sempre a galla. E così è stato.
Dopo altre due settimane di disastri (ricordate la clamorosa rottura con Stellone?), Saladini riesce ad incantare persino Pippo Inzaghi e ribalta uno scenario imbarazzante avviando un percorso esaltante. Grazie a Inzaghi, ovviamente. E’ soltanto per lui, il dono più bello che sia capitato a Reggio Calabria negli ultimi dieci anni, che da tutt’Italia parte una vera e propria corsa a venire alla Reggina: calciatori, tecnici, dirigenti di altissimo livello. Pippo Inzaghi e la sua professionalità sono un richiamo troppo forte: la squadra e la società in pochi mesi si strutturano con un profilo di altissimo livello, mettendo le basi per quel tanto sbandierato “progetto triennale per la serie A” che faceva seguito al contratto triennale (per giunta ultra ricco) sottoscritto dal club con l’allenatore emiliano. La squadra vola verso la serie A già il primo anno, ma è stata costruita in extremis, non ha fatto la preparazione e fino a gennaio la domanda ad ogni conferenza stampa è “quando arriverà il calo?“. L’unico modo per evitarlo sarebbe intervenire sul mercato e a fine dicembre i primi nomi sono roboanti, addirittura Handanovic, poi Sirigu, Viola, Coda. Inzaghi è entusiasta, con loro è convinto di farcela a centrare subito la serie A bruciando le tappe. Taibi lo sostiene: trattare per la squadra di Inzaghi è diventato molto più facile con chiunque. Ma Saladini blocca tutto: non possiamo fare mercato, abbiamo finito i soldi. Alla fine al posto di Handanovic o Sirigu arriva Contini, al posto di Coda c’è Strelec, al posto di Viola ci sarà Warren Bondo.
Ma il problema non è solo questo. La squadra inizia ad avere quelle difficoltà fisiologiche per un gruppo che non ha fatto preparazione atletica ed è stato allestito in extremis, ad agosto, per giunta con enormi lacune tecniche e tattiche. La Reggina è seconda in classifica senza un portiere e senza un centravanti, senza ricambi in tutti i reparti dove i titolari non sono già all’altezza di almeno altre 10 squadre di questa serie B. Gli unici ad aver ottenuto una promozione in serie A sono Gagliolo e Majer, gli altri – tutti gli altri – non hanno mai raggiunto neanche una volta i playoff. Canotto compreso. Ma a Reggio la società non accetta le prime sconfitte, mette tutti in discussione e trasmette alla tifoseria strane idee. I tifosi si convincono che questa squadretta da salvezza sia in realtà una corazzata e non voglia andare in serie A per chissà quale motivo; dopo la sconfitta con il Pisa (quella sì, una corazzata!) la Curva urla “mercenari” e Inzaghi sbotta. E’ un momento delicatissimo. Tutto rischia di saltare in aria. Anche il mister va in confusione, a Cittadella non fa un cambio banale dopo l’espulsione di Fabbian e perde una partita già vinta. Arriva la vittoria col Modena e la brutta sconfitta di Cosenza anche lì in una partita già vinta al novantesimo. Tira una brutta aria. Al Granillo arriva un’altra corazzata, il Cagliari di Ranieri e Lapadula, che passeggia 0-4. E’ il parapiglia. Saladini & company non capiscono più nulla: c’è la sosta per le nazionali, ma vogliono bloccare la squadra in ritiro. Anzi no, non si può fare. Allora chiudono Inzaghi al Sant’Agata, gli chiedono le dimissioni. Saladini lo incalza, “Pippo, me lo fai un favore?”. “Certo Felice dimmi pure”. “Ti puoi dimettere?”. “Alla faccia del favore. Felice se non andiamo bene nelle prossime due mi dimetto”. La squadra sente tutto, ci sono anche i tassisti. E’ uno scenario mai visto in una squadra di calcio. Menez viene convocato per avere una conferma sulla compattezza o meno del gruppo, proprio lui che è il più fragile ed emotivo. Ma è disarmante, nella sua semplicità: “Abbiamo delle difficoltà ma non dipendono dal mister o dalla squadra. Dalla mia bocca non sentirete mai una sillaba contro qualcuno dei miei compagni o contro il mio allenatore”. Dopo la sosta la Reggina va a Genoa, perde 1-0 immeritatamente, fa bella figura. Poi va a Perugia e con un po’ di fortuna vince 1-3. Inzaghi resta in sella, la squadra ha uno scatto d’orgoglio per il suo condottiero. Dopo tre giorni vince pure col Venezia. Ma i problemi extra calcistici aumentano. Cicerelli si fa male e deve operarsi per conto suo. Le trasferte sono un’epopea. Ci sono i primi problemi con i pagamenti degli stipendi, dei contributi, i dipendenti non federali rimangono completamente a secco e non vedranno più un centesimo fino alla fine. Arrivano 7 punti di penalizzazione che non erano in programma perchè “noi agiamo seguendo le norme, siamo per trasparenza e legalità”. Al Granillo passa il Brescia ultimo in classifica, i calciatori sono in lacrime nello spogliatoio. “Quei punti li riavrete tutti, andremo fino in fondo“. Ma dopo tre giorni la FIGC ne restituisce due e il club annuncia che non farà ricorso “perchè facciamo parte di un sistema che dobbiamo rispettare”. E’ una scelta sacrosanta, magari avessero continuato così anche dopo. Oggi la Reggina sarebbe in serie B. Ma in quel momento alla squadra pesa tantissimo, soprattutto perchè viene considerato come l’ennesimo tradimento rispetto alle promesse di andare fino in fondo esternate fino al giorno prima. Era la scelta più giusta, ma bisognava comunicarla diversamente per rispetto della squadra. Che infatti accusa il colpo, perde anche a Bari dove si doveva almeno pareggiare con facilità. La notte prima dell’ultima partita con l’Ascoli gli Ultras fanno irruzione al Sant’Agata, quasi arrivano alle mani con Inzaghi. Dovranno esporre un maxi striscione contro il tecnico e la squadra, il mister ottiene che lo facciano soltanto a fine partita se dovesse andare male. Il Dio del Calcio regala il gol vittoria al 94°, il calabrese Canotto segna e inizia a piangere sotto la Tribuna, Inzaghi stavolta è lui a non capire più nulla ma per la gioia. Lo striscione rimane arrotolato, la Reggina fa i playoff e nello spogliatoio succede di tutto. Vola anche un pugno.
Niente charter per Bolzano, dove la squadra perde immeritatamente. Sugli spalti neanche c’è Saladini. Il ritorno è un altro viaggio della speranza: pullman da Bolzano a Milano, arrivo a Reggio la mattina di sabato. Se la squadra avesse vinto, ci sarebbe stato subito l’allenamento al Sant’Agata per il turno successivo in programma lunedì sera contro il Bari al Granillo. Sarebbero stati degli zombie. Ma sarebbe stato comunque bellissimo. Pippo e i suoi ragazzi ce l’hanno messa tutta e la stagione è finita meglio di ogni più rosea aspettativa iniziale. Ma è chiaro da subito che è saltato tutto. Il 16 giugno scriviamo l’editoriale Reggina, troppi rumori e troppi silenzi. Con Inzaghi addio sempre più vicino, a meno che… Ancora insulti dai soliti allocchi convinti che la verità fosse quella dei comunicati ufficiali del club. Convinti che tutto andasse bene. Eppure eravamo stati morbidi, troppo morbidi fino a quel momento, ma soltanto perchè c’era la squadra da proteggere: ogni sabato scendeva in campo con la maglia della Reggina da onorare. Era l’interesse primario e assoluto per tutti.
Il punto di non ritorno è la conferenza stampa del 12 giugno: Saladini sorride e batte le mani eccitato per aver ottenuto l’omologa. A Milano due ore prima è morto Berlusconi, tutto il mondo del calcio e della politica è sotto shock. Quella conferenza scomposta è un disastro: intervengono a raffica Gravina, Balata, persino il ministro Abodi. Non era mai successo prima. E’ chiaro che per la Reggina non ci saranno più sconti al primo errore. Che arriva dopo pochi giorni, il 20 giugno, quando Saladini scrive la fine: non paga quello che doveva pagare, pensa di essere più furbo degli altri, come oggi certifica il TAR. Le motivazioni della sentenza confermano quello che scriviamo dal primo giorno, quello che solo gli ultimi ottusi non hanno capito: tutto è dipeso da quel mancato pagamento. Se Saladini avesse pagato, la Reggina sarebbe stata dentro sin da subito. Ma Saladini si crede onnipotente. Quel mancato pagamento nei palazzi del calcio è un terremoto. Nessuno aveva mai pensato di dover escludere la Reggina, di dover sorteggiare un calendario con la X, vedere a rischio il format o le date di inizio stagione. Sono tutti nel panico, per colpa di Saladini.
Inizialmente trapela la notizia che il club ha pagato tutto, Saladini garantisce fiducia e ottimismo per l’iscrizione. Ma c’è una sola persona che ha già capito come andrà a finire: è Marcello Cardona che non ci vede dalla rabbia. Si era impegnato con la Federazione, aveva giocato la sua faccia e la sua credibilità, si era speso per la squadra della sua città. Aveva ottenuto i calendari a Reggio, la Nazionale al Granillo, il maxi sconto della penalizzazione. E’ notte fonda quando telefona a Saladini: “Felice ma che hai fatto, non hai pagato?“. “Marcello, ci siamo presi questo rischio“. “Ti sei preso questo rischio? Ma X*yz*/4z*”. Cardona si dimette nella notte. Non è più il Presidente, la Reggina è priva del garante che fino a quel momento aveva fatto da scudo per una proprietà lontana e assente. I sindaci non gli chiedono di ripensarci, di fare marcia indietro. E non ne prendono il posto. Il Prefetto si trincera nel silenzio perchè se parlasse sarebbe un macigno sulle già flebili speranze del club. Aspetta la parola fine, poi parlerà. La città lo sta aspettando, ormai ci siamo quasi.
Intanto Saladini è rimasto da solo, e da quel giorno è iniziato il circo. La cedo a lui che ricede a me che poi cedo a lui e ricede a me. La Reggina come una puttana. I tifosi sono travolti dal turbine di questo delirio: Saladini gioca con il loro cuore. Fossero le vicissitudini di una rivale storica, del Messina o del Catanzaro, i supporters amaranto più istintivi si sganascerebbero dalle risate prendendoli in giro ogni secondo. E invece questa sventura è capitata proprio alla comunità amaranto. Non poteva esserci flagello peggiore. Anche nelle sconfitte serve dignità. La Reggina, con Saladini, ha perso anche quella. E’ diventata un circo pazzo, un oggetto di derisione. Che vergogna!
L’annuncio di cessione del club è la pietra tombale sulla Reggina. Lo ha spiegato benissimo il governatore Occhiuto, che fino a quel momento aveva provato a salvare la Reggina garantendo per Saladini. Che ha tradito anche lui. I sindaci continuano a disimpegnarsi, non muovono un dito. Non hanno alcun tipo di ascendente con Saladini, non provano neanche ad andare a Roma: a Lecco è stato il primo cittadino a prendere per mano il club, portarlo a Roma in pellegrinaggio e trovando in due giorni il sostegno di tutto il palazzo del calcio e della politica, ottenendo la riammissione. A Reggio i sindaci hanno cose molto più importanti a cui pensare: non possono occuparsi della Reggina perchè c’è una città che ha altissimi livelli di servizi essenziali da mantenere. Ci sono le strade asfaltate a livelli di Formula Uno e non possono permettersi di distrarsi un secondo, non sia mai poi capiti una buca che sia una? La spazzatura non esiste, gli operatori passano immediatamente ovunque, i cittadini non hanno neanche il tempo di consegnarla: se Brunetti va un giorno a Roma per la Reggina, un operatore si fermerà al bar per un caffè e Reggio perderà il primato di città più pulita ed efficiente del mondo. Come faremmo? L’acqua potabile proveniente dalla Diga del Menta sgorga nelle case tanto che i turisti prenotano i B&B reggini per gustarne gli straordinari sapori dai sentori di bergamotto e acacia che la rendono unica al mondo: se Versace si occupa un po’ della Reggina e l’innovativo sistema di approvvigionamento idrico su cui la città ha costruito le proprie recenti fortune turistiche si guasta, come facciamo? E poi c’è l’estate reggina, quest’anno con Bad Bunny, Taylor Swift, Harry Styles, Dua Lipa e gli Imagine Dragons in concerto all’Arena “Ciccio Franco”. C’è tempo da perdere con la Reggina?
L’epilogo è scontato. Non c’entrano niente i “poteri forti del Nord“. Non c’è nessuno che ha fatto fuori la Reggina. L’unica verità è che per Felice Saladini la Reggina è stata un po’ Gardaland un po’ Bitcoin. L’imprenditore lametino si è fiondato come un avvoltoio su un club dal patron arrestato per prenderlo gratis con la convinzione di fare una maxi operazione speculativa e rivenderlo a svariati milioni di euro dopo un anno. Una mossa spericolata sulla pelle dei suoi conterranei, che infatti sono rimasti senza il loro principale simbolo di appartenenza e identità. Ma l’operazione “Bitcoin” non è andata bene. Intanto per un anno aveva usato la Reggina come una sorta di Gardaland personale: avete presente il parco giochi preso d’assalto nel weekend per divertirsi? Questo era la Reggina per Felice Saladini: un parco giochi dove portare la moglie a divertirsi il sabato pomeriggio. Un volo da Milano, una partita in Tribuna Vip atteggiandosi a novello Berlusconi, continue apparizioni televisive cavalcando la visibilità data dalla presenza di Pippo Inzaghi alla guida della squadra, e poi via di nuovo sù a Milano. Al Sant’Agata neanche i suoi dipendenti hanno avuto modo di conoscerlo. E se andiamo a guardare i conti, anche lì Saladini è stato folle e spericolato.
Al 30 giugno 2022, infatti, concluso l’ultimo esercizio di Gallo, l’indebitamento della società era di 16,1 milioni maturati nelle tre stagioni precedenti con la promozione in serie B e la difficile gestione durante la pandemia. Nei primi sei mesi di gestione Saladini il debito è lievitato di altri 7 milioni di euro, poi cresciuti ancora di altri 4 milioni al 30 aprile 2023. Significa che la nuova società di Saladini ha ereditato un debito di 16,1 milioni dalla gestione di Luca Gallo e poi in meno di un anno ha maturato altri 11 milioni di euro di debiti, portando così il totale indebitamento ai 27 milioni del 30 aprile (oggi sono ancora di più). In pratica sfioriamo in un anno tutto il debito che Gallo aveva fatto in tre anni.
Ecco perchè chi se la prende con Luca Gallo è completamente fuori strada. E chi se la prende con i calciatori pure: hanno chiesto la messa in mora, ma che cosa avrebbero dovuto fare? Avete idea in che condizioni sono al Sant’Agata da venti giorni? Anzi, questi ragazzi hanno regalato l’ultimo grande sogno a Reggio Calabria e alla sua gente. Chissà per quanto tempo li ricorderemo con nostalgia… Altri professionisti neanche si sarebbero presentati in campo! E non c’entra niente neanche la politica. Certo, i Sindaci avrebbero potuto vigilare di più. Si sarebbero dovuti comportare diversamente, ma non solo nella Reggina. Ormai l’inadeguatezza dei nostri amministratori comunali la conosciamo bene, non c’era bisogno della mala gestione del caso Reggina per dimostrarlo. Probabilmente, però, anche con il loro intervento non sarebbe cambiato nulla. E affatto c’entrano Cosenza e Catanzaro, le istituzioni nazionali dello sport e della politica. Nessuno si spiega come e perchè Saladini abbia potuto fare una cosa del genere. Nessuno.
L’unico a guadagnarci da tutta questa vicenda è Cellino: il suo Brescia verrà ripescato in serie B, perchè è un atto dovuto che a fronte di una esclusione venga ripescato il club “meglio retrocesso” dall’ultimo campionato. Lo prevede il regolamento. Due anni fa è toccato al Cosenza, al posto del Chievo. Adesso è il Brescia ad aver perso i playout. Immaginate li avesse persi il Cosenza? Apriti cielo, Occhiuto è cosentino, Reggio fuori dalla Calabria e fandonie varie. Di certo c’è che in FIGC a Cellino non lo voleva nessuno. Pensavano di esserselo tolto dai piedi, dopo le recenti vicende ben note. E invece sarà ancora tra loro, grazie al regalo di Saladini. Perchè ci sono delle regole da rispettare, e Saladini ha camminato per un anno ai limiti di quei regolamenti. Altro che “trasparenza e legalità“. Ha preso in giro una città, una comunità internazionale, giocando con il suo bene più prezioso. Così ha ucciso la Reggina e ha fatto un regalo enorme al Brescia di Cellino.
Sarà certamente una coincidenza che i più controversi protagonisti di tutta questa storia siano proprio bresciani: è di Brescia il mentore di Saladini, Brunori, il commercialista che non ha voluto sentire ragioni sul pagamento del 20 giugno. E’ bresciano anche Guagnetti, l’addetto stampa personale di Saladini che ha scritto tutti i comunicati stampa degli ultimi due mesi. Quello che ha raccontato un mare di balle ai tifosi della Reggina (tanto, lui non li conoscerà mai), quello che ha sbandierato addirittura un “accordo con Inzaghi per continuare insieme” mentre ad Inzaghi non parla nessuno della dirigenza dallo scorso mese di marzo e il mister aveva già da tempo deciso di andar via, proprio per non avere più a che fare con questi personaggi, a prescindere dall’esito dei ricorsi e dalla possibile riammissione (l’addio di Inzaghi – come ampiamente evidenziato su StrettoWeb – era già scontato anche prima dell’iscrizione, quando nessuno la metteva in dubbio).
Ecco, che gli unici a beneficiare di questa storia siano Cellino e il Brescia, e che gli uomini di Saladini protagonisti di questo disastro siano proprio di Brescia, rappresenta l’unico afflato da teoria del complotto. Siamo alla fantascienza. Ma almeno c’è un indizio (senza alcuna prova). Per quanto riguarda invece tutto il resto (Abodi, Gravina, Balata, Noto, Guarascio, Occhiuto), si tratta soltanto di assurdi teoremi, malate fantasie, alibi e capri espiatori utili esclusivamente a Saladini per mascherare le sue drammatiche e e dolose responsabilità nella morte della Reggina. Che ha usato per un anno come se fosse un po’ Gardaland e un po’ Bitcoin. Ma era il simbolo più prezioso della città più grande e importante della sua Regione. Ecco perchè questa macchia rimarrà imperdonabile per sempre nella sua storia professionale, imprenditoriale e umana.