Invalsi, Giusi Princi: “nella scuola del Sud problemi drammatici, sforna incompetenti e si basa sulle nozioni. Urge una rivoluzione”

Intervista a Giusi Princi, noto e stimato dirigente scolastico oggi vice Presidente della Regione Calabria: "dati Invalsi forniscono quadro drammatico e assolutamente reale. I problemi sono noti da tempo ma nessuno ha mai fatto nulla: la scuola del Sud necessita una rivoluzione totale"

StrettoWeb

E’ assolutamente vero, è una battaglia che faccio da sempre. Come avete correttamente scritto ieri su StrettoWeb, la scuola del Sud Italia ha un gap enorme in termini di formazione e apprendimento. Qualcuno cerca di trovare alibi per non guardare in faccia la realtà ma i dati Invalsi sono la reale fotografia di un problema serio, enorme che combatto da sempre e che sto affrontando anche nel nuovo incarico regionale”. Ad intervenire sul caso sollevato dai risultati dei dati Invalsi, che ieri abbiamo pubblicato su StrettoWeb, è Giusi Princi, oggi vice Presidente della Regione Calabria ma soprattutto stimato e apprezzato dirigente scolastico di grande successo a Reggio Calabria. Sicuramente in Calabria e forse in tutto il Sud nessuno conosce bene pregi e difetti del sistema formativo e scolastico, e quindi le sue parole valgono doppio.

Quella di Invalsi – spiega Giusi Princi commentando i dati – è la fotografia più realistica di un’Italia che purtroppo anche a livello scolastico cammina a due velocità. Il Sud è in profonda sofferenza e paga lo scotto di una scuola che non riesce ad essere il motore pulsante della società, come invece dovrebbe e come al contrario accade al Nord. È una cosa molto grave, è uno dei problemi principali della nostra società. Noi in Calabria abbiamo dati drammatici: già c’è di base un 14% di tasso di abbandono degli studi, un dato elevatissimo ed emblematico, ma poi se guardiamo ai risultati dei test Invalsi, che sono obiettivi perché analoghi a tutto il territorio nazionale, vediamo che tra il rimanente 86% e cioè tra coloro che la scuola la frequentano, c’è una percentuale che oscilla tra il 50 e il 70% di studenti che non hanno le competenze minime, ripeto minime, in italiano e matematica. Significa che i nostri studenti acquisiscono un titolo di studio mentre non capiscono ciò che leggono. E’ una situazione gravissima, perché stiamo parlando di ragazzi che concludono un ciclo di studi e poi si approcciano all’Università”.

Quali possono essere le cause di questo disastro?

C’è un combinato disposto, una serie di fattori che determinano tutto questo. Di certo l’effetto è devastante, e come avete scritto correttamente voi ieri, è assolutamente reale il fatto che questa situazione sta determinando generazioni di ignoranti. Poi ci sono anche le eccellenze, ma si tratta di eccezioni. La media è la mediocrità o peggio della mediocrità. Per quanto riguarda le cause, dobbiamo riconoscere che abbiamo una situazione difficile a 360° sul nostro territorio e la scuola fa parte di questo contesto più generale. Negli anni della pandemia, la dad ha certamente aggravato il deficit di apprendimento dei ragazzi, ma il gap con il resto d’Italia c’era già prima e la dad l’hanno fatta anche al Nord quindi non cerchiamo in questo un altro alibi. Nelle Regioni del Sud, rispetto al Nord, abbiamo indubbiamente una  forte ingerenza delle famiglie: le aspettative delle famiglie sono molto più pressanti, e spesso sono rivolte purtroppo più al voto, all’esito finale del giudizio, anziché al reale contenuto di apprendimento, e quindi ci può essere un condizionamento in tal senso da parte dei docenti che hanno meno libertà decisionale vivendo le pressioni dei genitori e, a volte, subendo forme di degenerazioni comportamentali da parte di qualche genitore”.

Quindi il problema è davvero così grave come evidenziano i dati Invalsi?

Credo che in realtà sia anche peggio. C’è una generazione di studenti, l’ultima, che è sempre più apatica, totalmente disaffezionata allo studio. Sono giovani che leggono pochissimo, non hanno adeguati stimoli culturali dal contesto di provenienza caratterizzato da povertà educativa in quell’età che più incide nel loro sviluppo. Il problema più grande della nostra scuola, di cui sono fortemente convinta al punto che l’ho sempre contrastato, è quello di essere orientata sui programmi e sulle nozioni: si pretende che i ragazzi sappiano a memoria una serie di date ed eventi ma nessuno gli trasmette la cosa più importante cioè il metodo. Si ha l’ansia di finire il programma, ma se mancano le competenze di base a che serve sapere che il 14 luglio 1789 c’è stata la presa della Bastiglia o che l’Italia è nata come Stato unitario il 17 marzo 1861? Ovviamente sono importanti fatti storici che i ragazzi devono conoscere in ogni caso, ma deve essere la conseguenza di un corretto metodo di apprendimento della storia e non come nozione richiesta per ottenere un voto al punto che poi la dimenticheranno inevitabilmente in poco tempo”.

Eppure a fronte di questa situazione, in molti hanno reagito alla notizia di ieri contestando la bontà dei dati Invalsi.

E’ un problema atavico della nostra comunità: a Reggio, in Calabria e al Sud più in generale siamo orgogliosi del nostro passato e tendiamo a sottovalutare, se non ignorare, i problemi del presente. Preferiamo fare finta di non vederli, fare finta che non esistono, trovare alibi e scuse per smentirli o peggio ancora cercare un colpevole estraneo, un capro espiatorio che ci auto assolva e ci consenta di vivere sereni. Quante volte avete sentito, a fronte di chi poneva i problemi più seri sulla qualità della vita che vede il Sud arretrato per la mancanza di servizi essenziali, l’altissimo tasso di disoccupazione giovanile, la carenza di occasioni di crescita e sviluppo, di lavoro, rispondere che sarebbero graduatorie false perché in realtà noi abbiamo un bel clima e un bel panorama? Ecco, questa reazione sintetizza quello che succede anche con la scuola. Invalsi non si può mettere in discussione, a differenza di ogni altro metodo di valutazione più soggettivo, proprio perché Invalsi è oggettivo per tutti. Quella di Invalsi è una fotografia reale, il divario tra Nord e Sud nella scuola c’è sempre stato, ci sono due velocità di apprendimento e nessuno può negarlo. Invalsi è un termometro importante, fondamentale, e bisogna prenderlo in serissima considerazione perché fornisce un quadro obiettivo non solo tra Nord e Sud ma anche tra Regione e Regione, tra istituto e istituto, persino tra classe e classe, e dimostra che anche al Sud dove ci sono insegnanti che riescono a trasmettere metodi e competenze i risultati Invalsi sono ottimi, anche a differenza di altre classi della stessa scuola”.

Come si spiega il gap tra i dati Invalsi e i voti della maturità?

Nel caso della maturità, indubbiamente le prove valutano competenze diverse, il voto è concentrato su conoscenze legate a programmi disciplinari, nel caso di Invalsi, i test tastano le competenze di base delle materie fondamentali. La scuola non dovrebbe approcciarsi solo sulle nozioni: puoi anche conoscere tutta la letteratura del ‘600 o tutta la filosofia dell’800 ma se poi non hai le competenze minime di matematica o non sai leggere un testo in italiano, perché a quei livelli siamo, quelle nozioni non ti serviranno a nulla. Quando ero dirigente scolastico ho sempre fatto una battaglia affinché ai ragazzi si insegnasse ad “imparare ad imparare”, affinché potessero organizzare autonomamente le conoscenze adattandole a contesti diversi. Purtroppo una scuola troppo settoriale, legata più alle singole conoscenze rischia di creare “buchi” formativi impressionanti. Non si risolve un problema utilizzando sempre lo stesso approccio al problema. Dobbiamo avere il coraggio di innovare la didattica. È assurdo che gli stessi ragazzi che hanno risultati bassissimi nei test Invalsi poi prendano 8 o 9 in italiano e in matematica. È un controsenso insostenibile su cui tutti noi calabresi dovremmo fare delle riflessioni serie. I voti alti bisogna darli solo a chi li merita davvero. Il cambiamento deve partire da qui, all’interno della scuola, partendo dall’assunto che l’Invalsi fotografa la realtà e da quei risultati non si può prescindere”.

Come mai nelle Regioni del Sud abbiamo fino al 6% di diplomati con lode mentre questo encomio nelle Regioni del Nord si ferma all’1%?

Non voglio generalizzare anche forte della mia esperienza. In passato sono stata attaccata, quando ero dirigente del Liceo Leonardo Da Vinci di Reggio Calabria, perché nella scuola che dirigevo ci sarebbero stati ‘troppi’ cento e lode. Ma io non ho mai pensato che debba esserci un numero prestabilito di cento e lode: possono essere tanti o possono essere pochi, dipende dalla preparazione degli studenti. In quell’occasione ho risposto evidenziando che quei ragazzi che uscivano da quel Liceo con cento e lode superavano ogni test di ammissione alle Università, quindi erano voti assolutamente meritati. Dico questo perché ovviamente non voglio generalizzare. Perché se è vero che sono tante le realtà scolastiche virtuose in Calabria, ce ne sono tantissime nelle quali i livelli apprenditivi fotografati dall’Invalsi sono preoccupanti ed è su queste che tutti quanti dovremmo intervenire. Al di là di alibi vari, io partirei proprio da qui: nella vita il merito deve essere il presupposto attraverso cui si va a misurare l’eccellenza. I ragazzi devono confrontarsi con il mondo e c’è bisogno di più rigore. La scuola deve prepararli ad affrontare le prove della vita, deve mettere i ragazzi nelle condizioni di confrontarsi con la complessità.  È fondamentale una classe dirigente competente e preparata. Se una scuola non ha il giusto rigore e la giusta attenzione ai percorsi formativi, poi rischia di gettare le basi per una classe dirigente che non è adeguata. E la scuola non si può deresponsabilizzare di fronte alle evidenti condizioni di arretratezza del Sud Italia rispetto al resto del Paese: i problemi nascono proprio lì, negli anni della formazione”.

Qualcuno sostiene che siccome ci sono meridionali che eccellono ovunque nel mondo, questi dati sarebbero falsi o comunque fuorvianti. Che ne pensa?

Guardi, in realtà il fatto che i meridionali debbano andare altrove nel mondo per eccellere è proprio la conferma e la dimostrazione che quei dati sono realistici e che la scuola del Sud non funziona bene. Noi siamo sempre abituati a sfuggire ai problemi e quindi ogni volta che se ne pone uno, ci arrampichiamo sugli specchi. Se la scuola del Sud fosse adeguata, vivremmo in contesti in cui nessuno per eccellere dovrebbe emigrare fuori. Nessuno dovrebbe fare le valigie controvoglia per realizzarsi. Ognuno potrebbe soddisfare le proprie ambizioni in questo territorio. Invece il fatto che chi vuole primeggiare è costretto ad emigrare, è l’ennesima conferma che i dati Invalsi sono assolutamente realistici: di fatto attestano una diffusa ignoranza sulle competenze basilari. Il problema non è di quelli che se ne vanno, che spesso sono i migliori già nelle scuole, sono quelli che già da bambini hanno stimoli sociali e culturali nelle famiglie. Il problema è quello di chi rimane e finisce a diventare un NEET, uno che non studia e non lavora, alimentando sacche di povertà e precariato purtroppo sempre più grandi e diffuse. Nelle ultime generazioni è più diffusa l’usanza di bere alcol che leggere libri. Le eccellenze ci sono ma sono un’eccezione, ci sono ragazzi che hanno la fortuna di avere stimoli culturali già in famiglia e quindi non provengono da una povertà educativa perché già dai primi anni di vita sono stati adeguatamente istruiti a leggere, a informarsi, a guardare i telegiornali. Con loro e per loro tutto è più facile, ma nei casi sociali più penalizzati e svantaggiati l’unica occasione culturale è la scuola ed è lì che la scuola deve fare uno sforzo maggiore”.

E’ possibile che le prove Invalsi vengano sottostimate al Sud rispetto al Nord?

Non lo so, non credo, ammesso che fosse sarebbe comunque un problema della scuola del Sud, una responsabilità di quegli istituti e di quegli insegnanti che non dispongono esercizi propedeutici in tal senso e che non preparano gli studenti ad effettuare questi test con la giusta serietà e attenzione. L’unico problema di Invalsi è che è un test per il monitoraggio delle competenze di base degli studenti che non ha ancora una ricaduta diretta sulla valutazione dei ragazzi, quindi a volte può capitare – ma questo sia al Nord che al Sud – che gli studenti non lo prendano troppo sul serio perché sono consapevoli che il risultato di quel test non inciderà direttamente sul loro processo valutativo, e alcuni docenti proprio per questo motivo non li stimolano ad affrontarlo con serietà. Ma ammesso che sia questo il problema, significherebbe comunque che al Nord c’è un approccio di maggior serietà rispetto al Sud, e quindi torniamo sempre alla scuola a due velocità che è un fatto oggettivo sotto gli occhi di tutti, a prescindere da Invalsi. Nessuno può negare o nascondere questo problema. Io credo così tanto alla bontà di Invalsi che dovrebbe essere inserito tra gli standard di valutazione degli studenti: in quel caso anche questo alibi verrebbe meno. Ogni anno quando escono i dati del monitoraggio, come accaduto ieri appunto, i giornali ne parlano e tutti fanno i titoloni sulle difficoltà della scuola del Sud, ma dopo la notizia da prima pagina di un giorno tutto finisce lì. Nessuno affronta il problema come avete fatto voi in modo intelligente ieri e mi auguro continuate a stimolare le istituzioni competenti in tal senso, perché si tratta di un problema sociale, serio, grave, drammatico”.

Cosa si potrebbe fare per invertire la rotta e migliorare la situazione?

Innanzitutto prendere atto del problema. Non è cosa scontata e banale: lo dicevate in base alle reazioni dell’articolo di ieri che c’è una difesa ad oltranza del sistema scolastico del Sud rispetto a chi si permette di far notare i problemi. Il primo passo è prendere atto che i problemi ci sono. E che sono così tanto gravi che è necessaria una vera e propria riforma scolastica, una riforma intendo in termini didattico-metodologici che si può fare in autonomia in ogni classe, in ogni istituto, in ogni Regione. Serve un grande programma di formazione del personale docente per una metodologia d’insegnamento che sia completamente diversa e innovativa rispetto a quanto fatto fin qui. Condivido a tal proposito l’appello di StrettoWeb ad una scuola che sia più rigorosa e meritocratica, come avete scritto ieri. Si può fare soltanto rivoluzionando il metodo e dando valutazioni più rigorose. E poi bisogna lavorare su tutto il contesto, non solo sulla scuola. Ci dobbiamo preparare ad una vera e propria rivoluzione sistemica che preveda centri di aggregazione culturale, librerie, musei che sappiano coinvolgere i ragazzi. Ci dobbiamo preparare affinché tutti quanti indistintamente acquisiscano le competenze ed è necessaria una vera e propria rivoluzione didattica, pedagogica e formativa. Ai ragazzi oggi servono competenze trasversali, devono imparare ad imparare, questo lo predico da sempre, acquisendo la giusta flessibilità. Non bisogna insegnargli una data ma un metodo. Io non voglio demonizzare la scuola del Sud: io vengo dalla scuola del Sud e proprio perchè la conosco bene e ci tengo molto, mi batto affinché si possa migliorare. Come stiamo cercando di fare con la Regione”.

Quali iniziative avete intrapreso in tal senso in tal senso?

Sin da primo giorno del mio insediamento ho pensato di dare una particolare attenzione alla scuola, che è un mondo che conosco particolarmente bene perché è il mio mondo, vengo da lì, lì sono cresciuta e ho lavorato sempre fino a quest’esperienza in cui il governatore Occhiuto mi ha chiesto di entrare a far parte della sua Giunta. Abbiamo già fatto molto, ma c’è ancora tantissimo da fare e soprattutto si tratta di processi a lungo termine che possono portare i primi risultati solo dopo anni. D’intesa con l’Ufficio Scolastico Regionale della Calabria, vogliamo migliorare le competenze degli studenti intervenendo proprio in quelle aree geografiche e in quelle scuole dove gli esiti Invalsi hanno evidenziato lacune in italiano e in matematica.  Saranno oltre 7 i milioni di euro che investiremo in ben 70 istituti scolastici della Calabria, un primo campione che poi vogliamo aumentare, in un processo rivoluzionario per il sistema scolastico volto proprio a rendere innovativo il metodo di insegnamento. Saranno oltre 200 ore annue extra di percorsi formativi di rinforzo di italiano e matematica per ogni annualità a cura degli stessi docenti curriculari dei ragazzi. Saranno coinvolte le università della Calabria a cui sarà affidata la formazione del personale docente, un gruppo di ricercatori universitari, entrerà in gioco anche l’Università Bocconi, monitorerà in itinere, attraverso apposita piattaforma su cui i docenti caricheranno ogni bimestre i dati aggregati, i risultati degli studenti per verificare l’efficacia degli interventi formativi.  Il protocollo che sottoscriveremo con l’USR, per la prima volta nella storia della Calabria, istituzionalizzerà la consapevolezza che le prove Invalsi non potranno essere sottovalutate in quanto fotografano quei livelli di base degli studenti da cui dobbiamo partire con azioni mirate. Prevedremo, infatti, che ogni istituto curi la simulazione delle prove, accompagni cioè gli studenti con esercitazioni, affinché possano sostenere i test con maggiore sicurezza, oltre che con maggiore preparazione.

Un’altra battaglia che stiamo percorrendo come regione è quella contro le pluriclassi, che stanno danneggiando la qualità dell’apprendimento. Le nuove linee guida del dimensionamento scolastico salvaguarderanno le aree interne con maggiori condizioni di disagio. Nei nostri criteri c’è quello di garantire le autonomie scolastiche dove c’è più disagio, nelle zone interne, per tutelare i livelli di apprendimento degli studenti. Il problema c’è e va affrontato, non si può attribuire sempre la colpa agli altri. Fino ad oggi nessuno si è mosso, nessuno si è mai posto il problema, come se non esistesse o non ci dovesse preoccupare. E’ certamente più facile sminuire l’Invalsi anziché affrontare la realtà, ma sono solo alibi, escamotage per non darsi da fare. Noi, invece, il problema ce lo vogliamo porre. Siamo consapevoli della sua gravità e per questo per la prima volta abbiamo deciso di coinvolgere l’USR, i dirigenti, i docenti e gli studenti. Non vogliamo limitarci a vedere una volta l’anno i titoloni dei giornali sulla scuola del Sud fanalino di coda e poi tornare alla quotidianità come se niente fosse, lasciando i ragazzi ad alimentarsi di ignoranza. Vogliamo un futuro diverso, virtuoso e brillante in cui la scuola del Sud abbia gli stessi standard del resto del Paese”.

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