Qualcuno si chiede addirittura “cosa ci possa essere di bello nella Varia? Io non lo capisco”. Qualche altro si è arrabbiato perchè si farà il prossimo anno, “perdendo il significato“. E la Calabria si risveglia così, a fine agosto, a discutere e polemizzare persino dei propri gioielli migliori che dovrebbero unire tutti i calabresi in un’appartenenza comune, in uno spirito di orgoglio territoriale purtroppo illusorio nella terra degli individualismi ed egoismi personali. Fatto sta che ieri la Varia di Palmi è stato un successone, con oltre 150 mila presenze per una celebrazione storica che è patrimonio dell’UNESCO e che dovrebbe inorgoglire tutti i calabresi, siano religiosi o laici, per quello che rappresenta dal punto di vista storico e identitario. E invece no. I visitatori che sono accorsi nella cittadina della Costa Viola sarebbero “folli” perchè “che senso ha fare tutti quei disagi per una sfilata di dieci minuti?”. Qualcuno ciancia che nel 2023 sarebbe ridicolo “seguire una statua”, ignorando anche cosa sia la Varia. Che non è – appunto – una statua.
E menomale che dopo la pandemia avremmo dovuto diventare migliori! Non citiamo a caso la pandemia, perchè la tradizione della Varia di Palmi nasce proprio da una delle più gravi epidemie della storia nell’area dello Stretto di Messina, di cui la Varia è simbolo di identità comune. La tradizione della Varia di Palmi, infatti, è strettamente legata alla Città di Messina. Furono proprio i palmesi ad accogliere i messinesi in difficoltà e ad aiutare, con i loro marinai, Messina nelle fasi più difficili dell’epidemia di peste dilagata in città nel 1575 dopo l’arrivo di una nave proveniente dalla battaglia di Lepanto. A Messina morirono oltre 40 mila persone, più dell’80% della popolazione della città in quegli anni, e quando l’epidemia finì la città peloritana decise di ringraziare Palmi donando alle autorità ecclesiali uno dei capelli che – per tradizione – sarebbero appartenuti alla Madonna e portati nella Città dello Stretto da alcuni pellegrini nel 42 d.C.. Nasce così, nel 1582, l’antichissima devozione di Palmi per la Maria Santissima della Sacra Lettera, santa patrona anche di Messina, rinforzata dalla circostanza – forse leggendaria – che durante il trasporto del capello sacro in un reliquiario a bordo di un vascello circondato da moltissime barche vestite a festa, una tempesta colpì il basso Tirreno proprio nel tratto tra Messina e Palmi ma miracolosamente non provocò alcuna vittima né feriti tra le numerose persone a bordo delle imbarcazioni.
Nel corso dei secoli, le celebrazioni della Varia di Palmi sono state falcidiate da incidenti, epidemie, guerre e altri problemi di natura organizzativa. Negli ultimi 36 anni, l’evento si è tenuto soltanto 11 volte negli anni 1987, 1990, 1996, 2000, 2005, 2008, 2013, 2014, 2016, 2019 e 2023 appunto. Dopo l’evento del 2013 la Varia di Palmi è stata inserita nella lista del patrimonio orale e immateriale dell’umanità UNESCO. Da quell’anno e prima di ieri, la festa si era celebrata soltanto tre volte nel 2014, nel 2016 e nel 2019, sempre con un crescendo di presenze dovuto alla grande risonanza dell’appuntamento. Non c’è mai stata una regola precisa sulla periodicità della festa: non c’è scritto da nessuna parte che si debba celebrare una volta ogni due anni, ogni quattro anni o ogni cinque anni. Inizialmente si faceva ogni anno, poi ha funzionato a singhiozzo soltanto per problemi organizzativi. Riteniamo in ogni caso assurde le polemiche per la decisione di ripetere le celebrazioni il prossimo anno: dovremmo andarne tutti orgogliosi ed entusiasti, magari riuscissimo a ripristinare l’usanza tradizionale di ripetere la Varia ogni anno, così come tutte le altre feste patronali di tutte le altre città! Perchè a Reggio la Madonna della Consolazione si celebra ogni anno? Perchè a Scilla San Rocco si celebra ogni anno? Perchè a Messina la Madonna della Lettera si celebra ogni anno? E a Catania Sant’Agata, e a Palermo Santa Rosalia? Perchè soltanto Palmi non potrebbe celebrare la propria festa patronale ogni anno come tutte le altre comunità?
Inoltre le celebrazioni di Palmi, seppur ovviamente sempre ispirate alla religione cattolica che a queste latitudini è identità comune e condivisa anche per i non credenti, coinvolgono direttamente tutti i cittadini proprio per la composizione del carro alto 16 metri, trasportato a spalla da 250 bbuttaturi, con a bordo numerosi figuranti che rappresentano la Madonna, il Padreterno, gli Apostoli e gli angeli. Si tratta di persone, tra cui la più importante (l’animella) è una bambina, in carne ed ossa ed è proprio questo a rendere così speciale questa celebrazione tale da averne fatto un patrimonio UNESCO.
E noi ci mettiamo a discutere anche su cosa ci sia di bello? Poi, però, quando andiamo fuori, rimaniamo stupiti dalla bellezza di analoghe manifestazioni nel resto d’Italia e del mondo. Che bello il palio di Siena, che bella la Macchina di Santa Rosa di Viterbo, che bella la Discesa dei candelieri di Sassari, la Festa dei Gigli di Nola, o il Pallio della Carriera di Carpineto Romano, o i riti della Settimana santa di Sulmona famosi in tutto il mondo! Altrove, ovviamente, sono astuti e abili a trasformare queste tradizioni storiche anche in un’attrazione per visitatori che riempiono le relative città determinando un enorme indotto sociale, economico e culturale. Anche Palmi lo sta facendo abilmente: quest’anno ha spalmato una serie di grandi eventi per tutto il mese di Agosto accogliendo un milione di visitatori e generando un grande indotto economico, innescando quel circuito virtuoso della promozione turistica. E noi ci permettiamo di criticarli?
E’ proprio vero che siamo dei nani. Abituati a volare basso. Lo scriveva persino il grande Nicola Giunta:
‘Nta ‘stu paisi ‘nc’esti sulu ‘a piria,
‘a strufuttenza fissa, a ‘grandi bboria;
n’ta ‘stu paisi cunta sulu a ‘mbiria,
pirciò non sunnu tutti chi cicoria…
Erba nana ed amara, erba pirduta:
senza mâ provi, ‘a ggiùrichi â viruta;
e cca, sarbu a carcunu di ll’affritti,
su’ tutti storti ammanicati ddritti!
Nani su’ iddi e vonnu a tutti nani;
nci vannu terra terra, peri e mmani;
e, pâ malignità bbrutta e superba,
cca non crisci chi erba, erba, erba…
Arburi?… Si ccarcunu ‘ndi sciurisci,
‘nci minunu petrati non mmi crisci…
Arburi, nenti!, comu all’âtri baandi,
ch’unu s’asciala chi mmì viri randi!…
Ambatula tu fai.. Rresti cu ‘ngagghiu…
Si senti sempri chi ‘nc’è fetu d’agghiu…
Cca ‘a fortuna non varda a ccu’ s’annaca,
ma passa ammenzu all’erba mi ‘nci caca…
Paisi d’erba i ventu’ e non di pianti:
va facitila a ‘n culu tutti quanti!
Si ‘nc’esti ‘nu cartellu aundi rici:
“Sti ‘ggenti tra di iddi su’ nnimici!”
Nimici i cui? Oh, frabbica di storti!
Sunnu sulu nimici da so’ sorti !
Nimici d’iddi stessi pi ppuntiggiu,
e i cchiù fissa dû mundu sunnu a Rriggiu!