Lasciata morire di stenti nel carcere di Torino, Corbelli (Diritti civili): “quella povera donna doveva assolutamente essere salvata”

Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli: "atroce quello che è accaduto. Ci vuole più umanità per affrontare la tragedia delle carceri”

StrettoWeb

“Quanto accaduto nel carcere di Torino, dove una giovane donna nigeriana, di 43 anni, madre di due bambini, è stata lasciata morire, mentre, da molti giorni, protestava gandhianamente con lo sciopero della fame, per gridare la sua innocenza(dalle accuse per droga che le venivano mosse), è qualcosa di aberrante, un fatto atroce, indegno di un Paese civile e di uno Stato di diritto. Quella donna si poteva e doveva assolutamente essere salvata. Ci vuole più umanità per affrontare la tragedia delle carceri”. E’ quanto afferma, in una nota, il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, da 30 anni impegnato sul dramma delle prigioni.

“Nessuno è intervenuto, purtroppo, per portare all’attenzione dell’opinione pubblica e delle Istituzioni questo caso. Si è saputo di questa povera donna (e del decesso, nelle stesse ore, di un’altra detenuta nel medesimo istituto di pena torinese) solo dopo la sua fine terribile che viene adesso classificata come morte per cause naturali. Cosa naturalmente non vera. Questa tristissima e drammatica vicenda conferma purtroppo come ancora oggi nelle carceri italiane la situazione sia tragica. Basti pensare all’impressionante numero di suicidi che si registrano ogni anno”, prosegue Corbelli.

“Posso dire che da quando 30 anni fa ho iniziato le mie battaglie sul dramma delle carceri con le prime manifestazioni a Roma e Napoli (finite su tutti i media e riprese anche dal New York Times che mi intervistò nel lontano febbraio 1995) non è purtroppo cambiato nulla. Per affrontare l’emergenza delle carceri ci vuole innanzitutto più umanità, considerando caso per caso tutti i drammi che ogni detenuto vive in una cella, in condizioni spesso disumane”.

“Ricordo infine, come, proprio un’altra giovane ragazza nigeriana, Kate Omoregbe, anche lei in carcere in Italia, che gridava la sua innocenza (anche lei per delle accuse di droga, che l’avevano fatta condannare e finire nel carcere di Castrovillari), 12 anni fa (settembre 2011) riuscii a salvare dalla lapidazione nel suo Paese, dov’era condannata per il suo rifiuto di sposare una persona anziana e di non volersi convertire, lei cristiana, alla religione musulmana, con una straordinaria mobilitazione che coinvolse il mondo intero, con 13mila firme raccolte, con una petizione straordinaria, in oltre 60 Paesi di tutti i cinque Continenti”.

La giovane nigeriana venne scarcerata e ottenne l’asilo politico in Italia. Una vicenda questa di cui si occupò la grande stampa italiana e anche alcuni media stranieri. Oggi sicuramente avremmo potuto fare la stessa cosa – conclude – con una grande campagna, per salvare questa povera, sfortunata donna”. Uno spaccato crudo, eppure troppo reale, che fotografa al meglio la situazione dei penitenziari italiani. La vicenda della donna nigeriana, lasciata morire di stenti, si associa ai tanto detenuti, colpevoli o meno che siano, che decidono di farla finita: l‘ultimo caso a Rossano, dove un lametino si è tolto la vita nella sua cella.

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