Tragedia di Marcinelle: ecco perchè tanti italiani andarono a lavorare in Belgio

L’Italia offriva gli uomini e il Belgio il carbone, ecco lo scambio voluto dal governo De Gasperi

StrettoWeb

Comincio questo articolo con una nota autobiografica, di cui mi scuso. Nel 2005, appena proclamato presidente della regione Calabria, il mio primo atto istituzionale è stato un viaggio in Belgio. Mi sono infatti imbarcato su di un aereo con destinazione Marcinelle per ricollegarmi, a nome di tutti i calabresi, con i corregionali e gli altri italiani morti, l’otto agosto del 1956 nella miniera Bois du Cazier. Quel viaggio era un pensiero che mi martellava dentro da tanto tempo. Sono nato a Santa Severina, uno dei paesi vittima all’epoca della tragedia consumatasi in Belgio. Ricordo lo strazio dei parenti che contagiò l’intera comunità. All’epoca un lutto era ancora un lutto. Si svolgeva privo della gestualità e degli applausi del nostro tempo. Conteneva ancora una sacralità austera ed era il silenzio a testimoniare l’immedesimazione profonda nel dolore degli altri. La cerimonia funebre – ricordo – fu scandita solo dalle parole della liturgia e dai gemiti sommessi dei parenti delle vittime.

Quel ricordo si rinnova di anno in anno anche perché c’è sempre qualche istituzione che rimanda a quella tragedia lontana. Devo aggiungere che quest’anno in particolare sono stati più numerosi i media italiani che, allo scoccare del 6 agosto, hanno evocato la tragedia.
Segnalo alcuni dati, di sicuro in buona parte sconosciuti alle giovani generazioni. Dei 262 operai periti nella miniera di carbone belga, 136 erano italiani, quasi tutti provenienti dal Mezzogiorno d’Italia. Per metà abruzzesi, moltissimi calabresi, di Reggio Calabria, Cosenza, San Giovanni in Fiore, Caccuri, Cerenzia, Castelsilano, Santa Severina, Rocca Bernarda, Savelli, Scandale, di tutta la Sila e dell’intero Marchesato di Crotone. La sciagura travolse alcuni contadini-operai, considerati, al momento della partenza, fortunati perché, benché lontano da casa, avevano trovato un lavoro.

Certo, erano andati a vivere in un paese straniero, sfidando quel particolare tipo d’esilio che rappresentava all’epoca l’emigrazione, ma sfidando anche una lingua che non conoscevano. Se è per questo, però non conoscendo neanche la propria, essendo in buona parte analfabeti, se ne facevano una ragione consolatoria. Ma perché si erano recati in quella miniera così lontana dalla propria terra? Nel dettaglio neanche loro lo sapevano. Anche se il motivo era semplice. Erano andati fin lassù perché il governo italiano, guidato da un uomo probo e lungimirante, come Alcide De Gasperi, aveva compiuto uno scambio, che oggi potrebbe apparire indecente. L’Italia offriva gli uomini e il Belgio il carbone. Purtroppo in quegli anni lontani il carbone era indispensabile all’Italia quanto il pane. Anzi, era il nostro pane nero. Serviva infatti alle fabbriche del Nord, le quali rase al suolo dai bombardamenti, erano state miracolosamente ricostruite.

Con quel carbone sarebbero state pronte a svolgere un ruolo decisivo nella costruzione del miracolo economico italiano. In quello scambio uomini-carbone, compiuto da De Gasperi, per quanto oggi possa apparire indigeribile per la logica del nostro tempo, risiedeva un concetto profondo di unità, ereditato dalla tradizione risorgimentale e trasfuso nella Costituzione italiana. Oggi in grande parte evaporato nella scadente società italiana di questa stagione. Faccio qui un’osservazione probabilmente discutibile. Come si sa, la nostra Carta è stata curata, sul piano filologico, da alcuni importanti uomini di cultura del tempo. Non contiene una sbavatura lessicale, nessun tono retorico. Tutti gli articoli sono scritti con sobrietà e proprietà di linguaggio. Se proprio s’intendesse trovare un barlume di retorica in quella Carta, dovremmo appuntare lo sguardo sulle prime parole e sulla stessa punteggiatura scolpite nell’articolo 5, “La Repubblica, una e indivisibile,”…… Una formula solenne usata solo in questa occasione. A dimostrazione di quanto i Costituenti ritenessero all’epoca l’unità il vero elemento sacro della convivenza degli italiani. Mi rendo però conto che ormai in questo nostro tempo e con questa classe di governo che si batte per l’autonomia differenziata, il più divisivo dei provvedimenti, l’unità è diventata un reperto da archivio storico

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