Pnrr, allarmi e timori. Ma era tutto cosi’ prevedibile…

Le ferrovie definanziate si faranno lo stesso, ma sono a rischio gli interventi affidati agli Enti Locali

StrettoWeb

Per il PNRR si moltiplicano allarmi e timori. Nel 2021 si è spesa soltanto una parte molto piccola di quanto si sarebbe dovuto spendere, cronoprogramma alla mano: soltanto 1,2 miliardi sui 13,7 previsti!

Non è andato meglio l’anno successivo, se è vero che a marzo 2023 nell’ambito del programma europeo di “ripresa e resilienza”, i fondi assegnati all’Italia erano stati spesi, come riportato da “Il Sole 24 Ore”, soltanto per il 12 %: la metà di quanto previsto.

Pochi giorni fa, i Comuni, assegnatari, sempre a marzo scorso, di 34,1 miliardi di euro, (per il 44,9% destinati al Mezzogiorno) hanno fatto sentire la loro voce, dopo aver appreso che parte di quelle somme, nella nuova distribuzione delle risorse PNRR, sarebbero state revocate perché è impossibile completare i relativi interventi entro la data di scadenza del Piano: 30 giugno 2026. Il timore, non da poco, è di doversi rendere responsabili della mancata copertura di opere promesse ai cittadini, programmate, progettate e, in parte persino appaltate!

Tolte del tutto, invece, le risorse PNRR ad alcune opere pubbliche preannunciate in pompa magna, come il raddoppio Roma-Pescara e l’asse AC Messina-Catania-Palermo. La cosa ha suscitato più di un allarme, soprattutto per quanto riguarda quest’ultima opera, già appaltata interamente e con 3 lotti su 8 in cui già si lavora. Ma niente paura: i fondi tolti dal PNRR saranno rimpiazzati da altre risorse, già individuate. Resta da capire chi e perchè ha assegnato fondi che dovevano dare luogo ad opere in esercizio entro il 2026 quando gli stessi cronoprogrammi indicano il 2029.

In tutto questo, il governo sembra cercare una soluzione, spostando cabine di regia e prevedendo i necessari commissariamenti, sperando che serva a qualcosa. Eppure, non era difficile prevedere la crisi di abbondanza derivante dall’iniezione di oltre 230 miliardi di euro da spendere in meno di sei anni, in un sistema che restituisce regolarmente all’Europa, da decenni, buona parte dei fondi Europei ad esso destinati.

Tanto per fare un esempio, i Fondi di coesione per il 2014-20 sono stati spesi, fino a tutto il 2022, soltanto per un ammontare di 36 su 116 miliardi: una percentuale del 32%, ben al di sotto della media italiana, che è del 55% del programmato, contro una media europea del 69%.

Insomma, l’incapacità di spendere delle amministrazioni pubbliche italiane, mal si adatta ai termini troppo ravvicinati del PNRR, che richiederebbe strutture ad hoc con poteri di tipo commissariale in grado di velocizzare realmente l’attuazione dei procedimenti.

Uno sproposito, senza alcun dubbio, assegnare ai 36 per cento delle risorse del PNRR a Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane o altre amministrazioni locali.  Sapendo bene che questi ultimi, soprattutto a sud, arrancano persino quando si tratta di progettare un asilo nido o una pista ciclabile.

Ma sarebbe in grado il governo centrale di attivare le  necessarie strutture tecniche in grado di supportare una tale mole di spesa da “mettere a terra” come si suol dire? Ne dubitiamo. Se Comuni e regioni piangono, i vari Ministeri non ridono. Assumere e formare giovani tecnici per affidare loro questo compito, senza nessuna conoscenza della macchina amministrativa, in tempi così ristretti, è impensabile.

Bisognava muoversi molto, molto prima. E non doveva certo farlo l’attuale governo che, pur con tutti i suoi limiti, eredita una situazione a dir poco imbarazzante. Ma, a pensarci bene, neanche i vicini predecessori: il problema è vecchio come l’amministrazione pubblica italiana.

Affidare il successo del Piano, ovvero il riequilibrio fra le regioni del Bel Paese, proprio al sintomo più evidente di tale squilibrio, è stato un errore grave e, forse, epocale.

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