Ponte Morandi, “la storia che insegna”: 5 anni fa la strage ma non fermiamo il progresso

Il 14 agosto 2018, 43 persone hanno perso la vita sul Morandi di Genova. Piangiamo le vite spezzate e combattiamo, anche per loro, contro il sistema che non funziona e lasciamo stare i ponti

StrettoWeb

Esodo di Ferragosto: la gente si prepara a partire, bagaglio più o meno grande, qualche giorno fuori città per raggiungere le proprie famiglie o, semplicemente, per rilassarsi. C’è anche, però, chi in vacanza ci è già stato e chi, le ferie, non sappiano neanche cosa siano. Ci sono quindi lavoratori, turnisti, gente comune con impegni e commissioni che, come sempre, conduce la propria normale, meravigliosa, vita. Per 43 di loro la vita si è fermata alle 11:36 di 5 anni fa, il 14 agosto del 2018, con il crollo dell’intero sistema della pila 9 del Viadotto Polcevera a Genova, meglio conosciuto come Ponte Morandi. 43 persone, nelle loro vetture, sono cadute giù da quel ponte che ha ceduto in un istante sotto la pioggia battente: un attimo prima ci sei, un attimo dopo è tutto finito.

Le immagini del ponte distrutto, la disperazione delle famiglie, lo shock dei superstiti, sono ancora vivide nella nostra memoria. Persone, tra cui tre bambini e una donna incinta, sono volate verso il basso per poi andare in alto, lassù: un luogo che avrebbero dovuto raggiungere molto, ma molto più tardi ma che è ora la loro “casa” per sempre. Insieme alle 43 vittime, 566 residenti della zona, troppo vicini al viadotto, sono stati allontanati dalle loro abitazioni e, molti dei palazzi, per problemi di sicurezza, vennero demoliti. Una città che, in un secondo, ha cambiato faccia.

Il ponte Morandi, o viadotto Polcevera, non esiste più. Una strage che, di certo, si sarebbe potuta evitare: progettato  e inaugurato nel 1967 dall’ingegnere Riccardo Morandi, da cui prende poi il nome “ufficioso”, il ponte ha goduto di una certa “salute strutturale” sotto la gestione pubblica per ben 17 anni. Nel 1999 la famiglia Benetton (quella dei maglioncini colorati insomma) ottiene la concessione del viadotto: l’inizio della fine è in atto. Nei 19 anni di gestione privata, le operazioni di manutenzione sarebbero state ridotte al minimo indispensabile.

Molti infatti, tra cittadini e politici, hanno sollevato critiche circa lo stato di degrado dell’infrastruttura e i problemi riguardanti il sistema di sostegno con tiranti in cemento precompresso. La manutenzione era affidata alla società Autostrade per l’Italia, sempre sotto la gestione Benetton, ma per le migliorie venivano spesi solo 23 mila euro l’anno, una cifra irrisoria per un’opera che costituiva il tratto conclusivo dell’autostrada italiana A10. 58 sono gli imputati che, a seguito del crollo, si trovano sotto processo per responsabilità penale. Un iter lungo 5 anni e che, ancora, non vede la fine: la sentenza di primo grado, probabilmente, arriverà nel 2024.

Oggi piangiamo le 43 vittime del Ponte Morandi, piangiamo con le loro famiglie che non possono più abbracciare i loro cari, piangiamo un sistema di gestione corrotto e malato che intasca soldi sulla pelle degli altri. Ma ricordare le vittime di una tragedia simile, onorarle e incazzarsi per quanto accaduto non deve, mai e poi mai, fermare il progresso. Il crollo di un ponte, che sia il Morandi di Genova o l’Ortiano 2 di Longobucco, non implica che dovremmo smettere di costruirli. Piuttosto, sappiamo bene che “la storia insegna”: i due viadotti appena citati sono crollati per mancanza di manutenzione che hanno portato a cedimenti strutturali. Impariamo allora a costruire ponti che non facciano la stessa fine e che, ogni anno, grazie ai giusti finanziamenti, siano oggetto di ispezione e di migliorie.

Quanto è stupido lottare CONTRO la realizzazione di un’infrastruttura come il Ponte sullo Stretto solo perché ci sono stati degli errori? Il costo degli sbagli commessi in quell’occasione è stato troppo alto, quello delle vite umane, ma l’ingiustizia che hanno subìto dovrebbe spingere tutti, ognuno di noi, a PRETENDERE una gestione delle opere pubbliche che sia trasparente e, soprattutto, sicura. Non ciarlate a sproposito, non ripetete sempre lo stesso ritornello “prima di fare il Ponte bisogna fare le strade, le ferrovie, i collegamenti aerei e comprare i sottomarini”.

Qualche riga più indietro infatti, ho scritto che il ponte Morandi costituiva il tratto finale di un’autostrada: questo dovrebbe bastare a farvi capire che costruire un ponte significa anche realizzare i collegamenti necessari per percorrerlo. Oggi, 14 agosto, ricordiamo le 43 anime che sono volate giù dal Morandi di Genova e promettiamo, in cuor nostro, di ribellarci a un sistema che non ci tutela e non a un ponte perché, dopotutto, i ponti li costruiscono gli uomini, non spuntano da soli come funghi.

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