Qualche giorno fa ho avuto la gradita visita di Al Bano, il grande cantante pugliese. Il personaggio, come scriverò di qui a poco, è un mio amico. Si era d’accordo che venisse a trovarmi il 27 agosto, il giorno prima del concerto che avrebbe tenuto a Reggio Calabria. Non so per quale ragione organizzativa l’evento è stato spostato di qualche settimana, ma lui, avendo ormai organizzato il viaggio, ha confermato per quella data l’arrivo a Stalettì, dove, durante l’estate da molto tempo abito. Confesso di avere apprezzato molto il gesto che rivela il segno di un legame forte tra noi che il tempo non ha scalfito. Visto che la notizia della visita che intendevo mantenere segreta, si è diffusa in un baleno, destando nel paesino una curiosità febbrile, vorrei spiegare come nasce questo legame.
Ho conosciuto personalmente Al Bano nel tempo ormai lontano in cui ho svolto il ruolo di presidente della regione Calabria. Dunque negli anni 2005-2010. Il rapporto tra noi ha avuto origine da un suo gesto di non comune solidarietà nei confronti di un bimbo della mia regione gravemente malato. Devo aggiungere che, già prima di fare la conoscenza diretta di Al Bano, apprezzavo il timbro della sua voce ed ascoltavo volentieri le sue belle canzoni che s’iscrivono di diritto nel solco della melodia tradizionale italiana, che tutti abbiamo canticchiato, giovani e vecchi. “Libertà”, “Ci sarà”, “Nel sole”, “Felicità”. Canzoni costituite rigorosamente da parole e musica, lontane anni luce dall’odierna monotonia vocale dei rapper. I quali contrabbandano la mancanza di estro con una moda d’avanguardia.
Torniamo adesso al racconto della nostra conoscenza. In quegli anni ormai lontani un bambino calabrese di Spezzano Albanese, Riccardino Pio D’avanzo, affetto dalla “Sindrome di West” doveva essere ricoverato con una certa urgenza in una clinica specializzata della Florida. Si trattava di una malattia grave, con la coda, in caso di successo, di una lunga convalescenza in America. La famiglia del piccolo, che non navigava nell’oro, non aveva la disponibilità economica per fronteggiare una prova sotto ogni aspetto difficile. La regione mise a disposizione tutte le risorse comprese nello specifico articolo di bilancio. Ne parlai in giunta ma, per quanto la cifra non fosse per ampiezza irrilevante, non copriva le spese che la famiglia si accingeva ad affrontare. La mamma del bimbo, una giovane e intrepida donna, non si perse d’animo. Oltre a mobilitare il leader dei diritti civili, Franco Corbelli, si ricordò, come ebbe successivamente l’occasione di raccontarmi, che aveva sempre apprezzato Al Bano e le sue canzoni, che era stata emotivamente coinvolta dalla storia d’amore tra il cantante e Romina e dalla tragedia che successivamente aveva segnato in profondità le loro vite. “Nessuno più di lui” – mi disse – “può comprendere quanto vale la vita di un figlio”. Affrontò dunque il cantante del cuore alla fine di uno spettacolo, con il piglio di una madre disperata ma indomita. Al Bano sposò la causa con determinazione. Ci sentimmo in quell’occasione un paio di volte nell’intento di unire le forze economiche per risolvere il caso.
Organizzammo un suo concerto a Catanzaro. Spiegai diffusamente sulla stampa l’esclusivo obiettivo di solidarietà che l’evento si prefiggeva. Confesso che la risposta del pubblico, richiamato dal fascino del cantante ma anche dallo slancio solidale dell’iniziativa, fu straordinaria. Una digressione. A noi calabresi vengono in genere attribuiti alcuni difetti. Negli ultimi decenni siamo stati addirittura sopraffatti da stereotipi avvilenti. Possediamo però un pregio innegabile che s’iscrive nella difficile storia della nostra regione. Quando si tratta di aiutare chi è in difficoltà – si tratti di una barca di migranti o di un bimbo morente – non ci tiriamo indietro. Riccardino, dopo una lunga convalescenza, fu restituito alla vita. Ricordo che al suo arrivo dagli Stati Uniti, con Al Bano ci recammo a trovarlo nel suo piccolo paese, accolti da una famiglia in lacrime. Da qui nacque tra me e il cantante un legame forte. Certe esperienze lasciano il segno. Quando ogni tanto passa da Roma spesso m’invita a colazione all’hotel Hilton, dove abitualmente alloggia.
Due o tre anni fa mi invitò ad accompagnarlo dal Papa, al cui cospetto avrebbe dovuto cantare ma il covid s’incaricò di cancellare l’evento. In questi nostri incontri si parla di tutto, di politica, dei personaggi che ha conosciuto, talvolta, ma solo raramente, della tragedia che ha colpito la sua famiglia. Allo scoppio della guerra in Ucraina, gli ho chiesto del suo rapporto con Putin che sapevo ottimo. Al Bano, il quale, com’è noto, è assai popolare in Russia, mi ha risposto che lo aveva pubblicamente criticato per questo conflitto insensato.
L’incontro di questi giorni a Stalettì, un mucchio di case adagiate sulla collina, con un mare sottostante carico, lungo l’arco dei secoli, di naufraghi e di profughi, doveva restare segreto, ma, per giungere a casa mia in campagna, è stato costretto ad attraversare in macchina la piazzetta del paese, dove il suo inconfondibile cappello non è passato inosservato. Durante la cena il mio telefono, quello di Maria, mia moglie e di Eugenio, un mio amico storico che lo aveva accompagnato da Lametia a Stalettì, hanno preso a squillare ininterrottamente. Molte persone amiche ci hanno imposto in forma, come dire, perentoria (come si usa, appunto, tra amici) di accompagnare il cantante in piazza. Rito a cui, con il consenso di Al Bano, non abbiamo saputo e voluto sottrarci. Dopo cena, anche se era tardi, abbiamo trovato il paese gremito e plaudente, guidato dal sindaco che ha indirizzato all’ospite un saluto di benvenuto. Al cantante è stato consegnato, quasi di prepotenza, un microfono e una pedana sulla quale sono salite anche due scatenate Romine del luogo. Una bionda ed una bruna. A questo punto tutte le persone presenti, trascinate dall’inconfondibile voce del cantante, in un tripudio di cellulari che ritraevano la scena, hanno cominciato a cantare. Meglio, abbiamo cantato tutti, nessuno escluso. Data la massiccia presenza delle persone sulla piazza è stato molto complicato risalire in macchina per tornare a casa, ma alla fine, con l’aiuto di due vigili, ce l’abbiamo fatta.
La mattina dopo, sempre scortati da molte persone, in cerca di selfie e di dediche, siamo riusciti a salire su di una barca, da dove Al Bano ha potuto ammirare da lontano Copanello, Pietragrande, il Blanca e Caminia. Su quest’ultima, incantevole spiaggia abbiamo fatto colazione all’aperto al ristorante “Panaja”. Siamo tornati a casa a pomeriggio inoltrato. Il tempo di riposare un poco in una stanza di casa, dove il ramo di un rigoglioso albero di alloro preme da tempo alla finestra per entrare. Quindi entusiasta del luogo, dove aveva trascorso solo 24 ore della sua vita randagia, è ripartito con l’intesa di ritornare. Credo che manterrà l’impegno. L’uomo, da come lo conosco, non è solo generoso, è anche di parola.