“C’era una volta”: la storia del lavoratore con gli scarponi sporchi

Questa è la storia di un lavoratore e dei suoi scarponi lerci: la moglie si lamenta dello sporco a terra, ma ora gli stivali sono riposti in un cassetto pieno di dolore

StrettoWeb

Oggi vi voglio raccontare una storia, a tratti surreale, a tratti macabra. Non è una fiaba, ma possiamo comunque iniziare con “c’era una volta”. C’era una volta quindi, un lavoratore (useremo l’aggettivo maschile ma ogni genere può identificarsi nel soggetto) che, alzatosi dal letto, si dirige in cucina a prendersi un caffè. Siamo nel 2023, quindi è necessario essere realisti: la moka la preparano in pochi, quindi il lavoratore prende una capsula e la infila nella macchina del caffè. Poche gocce, bello forte, perché deve riprendersi dal sonno e prepararsi, appunto, per il lavoro. Una doccia veloce, la tuta da operaio, gli scarponi ormai sporchi e incalcinati, indossati sul ciglio della porta perché poi la moglie si lamenta del pavimento di casa macchiato.

Il lavoratore si prepara: potrebbe essere notte, ma anche alle sei del mattino non può fare rumore perché altrimenti il figlio minore, nella culla, potrebbe svegliarsi e piangere. E se il piccolo piange, la figlia maggiore potrebbe anche lei destarsi e innervosirsi. E non va bene perché la bambina, tra poche ore, dovrà andare al campo estivo e ha bisogno di tutte le sue energie per affrontare la giornata. Il lavoratore spia dalle fessura della porta i figli, è il suo modo di dire che gli vuole bene e che fa tutto questo per loro, affinché abbiano da mangiare, vestiti puliti, scarpette comode, libri, giochi e un’infanzia serena.

Il lavoratore scende al piano terra, si mette in macchina e si dirige al cantiere. Stanno costruendo un nuovo tratto di strada, o un palazzo altissimo o aggiustando un tratto della ferrovia del paese, questo poco importa. Il suo lavoro richiede tanta forza, sacrificio e spirito di adattamento. Soprattutto se, ai piani alti, ti dicono di sottostare a certe regole che regole non sono, perché nel contratto che ha firmato non esistevano: come non esiste la paga minima, l’orario prestabilito, i guanti e il casco da protezione, le norme di sicurezza. Il lavoratore però, in buonafede e con la paura di non poter pagare l’ultima bolletta della luce in tempo, si avvia e si fa coraggio, ripetendosi: “queste cose succedono agli altri, mica a me”.

Oggi il nostro lavoratore sale su un’impalcatura. La ditta centrale ha detto che è troppo presto per occuparsi già del tetto dell’edificio, ma il capocantiere ha fretta di finire e di accaparrarsi un altro appalto. I caschi sono 14, ma gli operai sono 15: uno di questi dovrà salire senza protezioni. Pazienza, pensa il lavoratore, e infilandosi solo i guanti sale sull’impalcatura. Intanto sono già le otto di mattina, è luglio e fa caldo. Fa troppo caldo per lavorare, ma lui non può arrendersi: tra poco sarà il suo sesto anniversario di matrimonio e ha promesso alla moglie che l’avrebbe portata in un ristorante chic. Anche se lui, di chic, non ha proprio nulla: i calli alle mani, l’abbronzatura da muratore, la pelle ruvida. Ma si sa, per la madre dei propri figli si fa questo e altro.

Fa caldo sotto questo sole, la bocca è asciutta. Il sudore gronda sulla fronte e la testa brucia, un po’ d’acqua buttata sul capo potrebbe aiutarlo a riprendersi: e con la bottiglietta d’acqua si fa la doccia. Ma il sole batte forte, più del martello, e la testa bagnata comincia a girare. Afferra la ringhiera dell’impalcatura perché tutto si muove e anche le sue gambe sembrano ballare il twist. Un piede, a mo’ di tip tap, si dimena un po’ troppo: imperterrito continua a ballare, e fuoriesce. In un attimo, le bollette della luce, l’anniversario, il piccolo nella culla e la figlia che deve andare al campo estivo non sono più un problema. Come un uccello preso in pieno dal colpo della carabina, cade a terra a peso morto. Ma lui il casco non ce l’ha, neanche la corda di sicurezza. Restano solo i guanti, una testa fracassata e gli scarponi incalcinati: almeno la moglie del lavoratore non potrà più lamentarsi dei pavimenti sporchi. Gli stivali sono ora chiusi in un cassetto e, mai più, calpesteranno quel pavimento di casa lindo e pinto.

Condividi