Il fastidio di pensare – Le terre di nessuno

L’Italia assomiglia a certi Stati che da fuori non li tocca nessuno, ma dentro di zone d’ombra ne nascondono parecchie

StrettoWeb

Quando Giovanni Porzio, illustre giornalista, alcuni anni fa ha raccolto in un libro le memorie di inviato di una vita in paesi ai margini le ha intitolate, significativamente, “Cronache dalle terre di nessuno”. Si tratta di paesi dove lo Stato si è dissolto ma in una situazione di anarchia creatasi con lo sfacelo governativo contrariamente a quella che è da sempre l’idea della filosofia socialista non ne è nata una armonia sociale ma piuttosto ne è venuto a galla, tragicamente, una forma di primitivismo brutale e violento dove a contendersi il potere sono i gruppi dei più forti creando stati di tensione e una guerriglia permanente. Noi che viviamo nel mondo “ordinato” queste cose le leggiamo da lontano e con un sospiro di sollievo: nascere nel Medio Oriente, o in certe zone dell’Africa o dell’Asia deve essere una gran brutta cosa, anche per chi della politica non gliene frega niente e vorrebbe solo lavorare e farsi i fatti suoi. Da noi un governo c’è, e non importa l’orientamento e lo squallore morale. Insomma, ci possiamo preoccupare di tante cose: lavoro nero, tasse esagerate, corruzione, ma perlomeno non dobbiamo avere paura che quello che si è costruito resti in piedi fino a domani: uno Stato, per quanto sgangherato, c’è.

Poi però a leggere tante cose ci viene da ragionare: l’Italia assomiglia a certi Stati che da fuori non li tocca nessuno, ma dentro di zone d’ombra ne nascondono parecchie. Dove appunto le terre di nessuno ci sono, eccome. Provate a farvi una passeggiata a Secondigliano, o in certe zone periferiche delle metropoli del Sud, o in certi comuni della nostra provincia dove è già difficile eleggere un sindaco che concluda un mandato. Lì la legge non è decisa dal codice civile o da quello penale; lì c’è il dubbio che molte cose non si decidano nei posti giusti. E il fatto che i giornalisti che poi vadano a dare un’occhiata per controllare quello che gli altri non vogliono vedere siano regolarmente minacciati o, se troppo insistenti, si vedano messe le mani addosso, indica appunto che queste sono terre di nessuno. “Di nessuno”, come diceva Giovanni Porzio, naturalmente non vuole dire che non comandi proprio nessuno: vuole dire che, avendo lo Stato abdicato alla sua autorità, allora qualcun altro ha sentito di potersela prendere. E adesso di doverla difendere o con la minaccia o, se questa non dovesse bastare, facendo capire che si è anche disponibili a difenderla con prepotenza. Perché chi comanda deve fare capire che comanda davvero e l’autorità la sa esercitare. E naturalmente, come chi vive nelle terre di nessuno, le persone che soggiacciono a questa autorità spesso sono solo persone che vorrebbero vivere una vita tranquilla ma che non avendo uno Stato alle spalle a cui rivolgersi sono costrette a scegliere tra compromessi ed evitando i guai peggiori. Poi ogni tanto quando emergono storie come quelle di Caivano qualcuno si stupisce: queste cose anche nella civilissima Italia? Ma nascere in qualche borgata da quelle parti non è poi molto diverso che nascere in qualche paese del Darfur o della Somalia. Perché l’Italia, appunto, non è solo quell’Italia da cartolina con il Ponte Vecchio o il Colosseo che si vedono ammiccanti nelle guide turistiche o nei documentari, ma anche e soprattutto questi luoghi che nessuno vuole conoscere perché parlarne è fastidioso e quindi è meglio nasconderli sotto il tappeto finché c’entrano. E difatti terre di nessuno ce ne sono anche qui nel cuore di Reggio. Basta andare nel Rione Marconi dove qualche mese fa è stata minacciata la giornalista Emilia Condarelli che stava solo svolgendo un’inchiesta che dava fastidio.

Basta leggere che Cesare Minniti è stato picchiato e privato del suo telefonino perché probabilmente aveva ripreso qualcosa che non si doveva fare vedere e fare sapere. Si dirà che in ogni città esistono dei quartieri popolari con luoghi scomodi, quelli dove si gira la testa dall’altra parte. E il mestiere del giornalista è appunto questo, quando fatto bene: fare sapere quello che gli altri non vogliono che si sappia e fare vedere quello che gli altri vogliono nascondere. Quando è fatto bene, appunto, e che diventa un mestiere scomodo e, in assenza di uno Stato, anche pericoloso, ma che non debba diventare eroismo: perché a volte si deve fare nella terra di nessuno, quella che noi percorriamo a passo veloce anche quando è a qualche centinaio di metri da casa. E vogliamo appunto che qualcuno ci spieghi che cosa sta succedendo là dentro, cosa succede dietro lo squallore di quella spazzatura e cosa c’è da raccontare dietro quei muri di cemento invece di ascoltare solo quel silenzio che diventa la colpevolezza di chi ci vive. E perché magari un giorno quelle strade senza padrone un padrone, quello giusto, lo ritrovino.

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