Matteo Messina Denaro e i misteri del “terzo livello”

Il capo della Procura della repubblica di Palermo Maurizio De Lucia parla di Matteo Messina Denaro e della sua cattura

StrettoWeb

Abbiamo smantellato la Cupola, arrestando tutti i capimandamento. Ma ciò che emerge dalle nostre indagini è proprio il fatto che uno dei primi obiettivi di Cosa nostra per tornare a essere forte è ridarsi il vertice. Non c’è riuscita perché fino adesso le nostre indagini lo hanno sempre impedito“. E’ quanto dichiarato dal capo della Procura della repubblica di Palermo Maurizio De Lucia in un’intervista a Famiglia Cristiana.

Il procuratore parla in particolare della cattura di Matteo Messina Denaro, svelando particolari inediti. Il boss di Castelvetrano si porta dentro molti segreti sui rapporti di Cosa Nostra con il cosiddetto “terzo livello“? “Del terzo livello non parlo, perché queste cose, come diceva Falcone, vanno portate nei processi. Ma non c’è dubbio che la mafia ha avuto relazioni esterne e che Messina Denaro è a conoscenza di una serie di accadimenti a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 – compresi gli attentati di Firenze, Roma e Milano – di cui noi sappiamo ancora poco. Ma anche di alcuni rapporti di natura economica e politica che riguardano gli anni più recenti; le nostre attività di indagine, a prescindere da lui, sono orientate su questi settori“.

Questo tipo di indagine si può realizzare “solo mettendo insieme le nostre tecniche del passato – come i pedinamenti, e soprattutto la conoscenza delle famiglie mafiose e i rapporti tra le cosche, – nel nostro caso i legami “storici” tra la famiglia Bonafede e la famiglia Messina Denaro – e le acquisizioni tecnologiche di cui disponiamo oggi. È una guerra parallela, perché sia noi che loro mettiamo in campo gli strumenti il più sofisticati possibile. I mafiosi fanno affari utilizzando le piattaforme criptate, comunicano con sistemi che carabinieri, polizia e Guardia di finanza spesso fanno fatica a “bucare” e noi adoperiamo gli strumenti più avanzati che la tecnologia ci offre, come il malware trojan, un virus informatico che si insinua in cellulari e pc. Naturalmente con la differenza che, mentre noi dobbiamo rispettare le regole, loro questo problema non ce l’hanno“.

Il terzo livello

Fu Giovanni Falcone a coniare l’espressione “terzo livello” nel 1982. Nel 1982, in una relazione scritta con Giuliano Turone per un seminario del Csm, “Tecniche di indagine in materia di mafia”, il giudice usò questa espressione per indicare reati che “miravano a salvaguardare i perpetuarsi del sistema mafioso“, “si pensi ad esempio all’omicidio di un uomo politico, o di un altro rappresentante delle pubbliche istituzioni, considerati pericolosi per l’assetto di potere mafioso”.

I media e i magistrati dell’Antimafia dagli anni ’90 alla Trattativa, però. ne snaturarono il senso. Tanto che lo stesso Falcone ne contestò l’uso. Con quell’espressione, infatti, si tendeva poi a riferirsi alla “cupola” intesa come anti-stato, collegata a poteri politici economici o massonici. Secondo Falcone, dunque, questo terzo livello esisteva “solo nella fantasia degli scrittori”.

Condividi