Sandro Santoro a Reggio Calabria (e non solo) non ha bisogno di presentazioni: il dirigente sportivo oggi 57enne è stato una grandissima bandiera della Viola Basket, con cui ha giocato per 12 stagioni consecutive dal 1988 al 2000 raggiungendo lo straordinario traguardo di 337 presenze in casacca neroarancio (secondo di tutti i tempi nella Viola dopo Tolotti). Con la Viola, Santoro è stato protagonista di tre promozioni in Serie A1 (1989, 1992 e 1999), ha raggiunto quattro volte i quarti di finale dei play-off scudetto (1990, 1993, 1994 e 2000) e tutti i record di piazzamento nella regular season (la Viola è arrivata 6ª in classifica nel 1993 e 7ª nel 1990, 1994 e 2000, i migliori risultati della storia).
Con la Viola ha giocato 21 partite in Coppa Korać, dove poi la squadra reggina è arrivata agli Ottavi di Finale nel 2001 con Santoro direttore sportivo. E’ rimasto nella dirigenza del club, dopo il ritiro da cestista, fino al 2007 e adesso, da marzo 2022, è general manager della gloriosa Pallacanestro Cantù (tre scudetti, due euroleghe, due intercontinentali) che da due anni prova a tornare in A1 e dove è in corso un progetto importante che a Santoro piacerebbe venisse rilanciato anche a Reggio.
Quando gli chiediamo qual è il ricordo più bello della sua lunghissima esperienza in riva allo Stretto, Sandro Santoro chiarisce subito che non c’è un ricordo specifico “ma è qualcosa che mi accompagna sempre dal primo giorno in cui sono arrivato a Reggio Calabria, sentirmi reggino tutti i giorni. Quindi non un ricordo ma qualcosa che vivo ogni giorno”. Il suo forte senso di appartenenza alla comunità reggina lo accompagna quotidianamente ed emerge in ogni sillaba della nostra chiacchierata.
Ha seguito le ultime vicende dello sport a Reggio? Che idea si è fatto sulla Reggina?
“Ho vissuto e seguito con grande dispiacere quanto accaduto fin dai primi momenti. Per chiunque conosca le regole dello sport, in particolare quelle del professionismo, sanno bene che quando l’organo di controllo federale comunica le scadenze e gli adempimenti c’è poco da fare. Giustizia sportiva e giustizia ordinaria viaggiano su binari paralleli che difficilmente si intersecano e senza che questo condizioni le loro decisioni. Ci sono tanti precedenti a riguardo e quindi, da subito, ho temuto il peggio che poi si è verificato. I diversi gradi di giudizio possono alimentare la speranza ma quell’adempimento andava fatto punto e basta. Resta comunque la grande amarezza per lo sport reggino e per tutti quei tifosi che guardano alla Reggina come un punto di riferimento della loro vita sociale. Quando ho smesso di giocare e sono diventato dirigente sportivo ho pensato di dover imparare da grandi uomini che hanno fatto diventare lo sport reggino un fenomeno di rilevanza internazionale. In uno di questi giorni il Giudice Peppino Viola mi disse “ciò che deve possedere un proprietario di una società sportiva è proprio la consapevolezza di essere proprietario di qualcosa che non è suo. Questo al 90% consente di poter fare la scelta giusta soprattutto nei contesti complicati”. Se Saladini avesse avuto questa percezione, che parte da una cultura sportiva che doveva costruirsi dall’attimo in cui è diventato proprietario della Reggina, le cose sarebbero andate in modo diverso e nell’interesse di tutta la città città, compreso il suo ovviamente. Se avesse preso spunto dall’amore incondizionato di Massimo Taibi e di tutti coloro che assieme a lui si sono sacrificati in un momento surreale, oggi si potrebbe raccontare un’altra grande storia di sport”.
Come pensa che lo sport potrà rilanciarsi in questa città?
“Penso che le tempistiche, vista l’attesa dei vari gradi di giudizio, possano aver condizionato molto le scelte del Sindaco ff Brunetti che sono certo abbia agito nella più genuina buona fede. Alla fine, al di là delle potenzialità economiche del nuovo soggetto proprietario La Fenice Amaranto, era importante ripartire per non precludersi la possibilità di iscriversi al nuovo campionato. Tutto questo, però, non credo sia sufficiente per sviluppare un progetto di più largo respiro che consenta alla Reggina di tornare ai livelli che gli competono. Nello sport creare un bando per decidere a chi assegnare un nuovo corso è qualcosa che esclude naturalmente ciò che nello sport invece deve includere e allargarsi. Lo pensavo ieri ma lo penso ancor di più oggi che, proprio per le tempistiche così ristrette, non si sia sfruttata l’occasione di premiare l’orgoglio ferito di una città che attraverso lo sport, storicamente, ha avuto la sua rivincita soprattutto come comunità. Il sogno che ogni reggino deve avere è che, un giorno, debba essere protagonista. Personalmente, proprio perché mi sento reggino, bisogna pensare e strutturare in modo diverso la vita sportiva della città attraverso la creazione di una Public Company dove tutti debbano partecipare, dalle istituzioni che detengono la proprietà degli impianti alla gente appassionata, tifosi, aziende e professionisti di ogni genere o categoria. Questo significherebbe dare merito alla città e alle persone ritrovando e amplificando il valore più alto dell’identità reggina. In poche parole, “lo sport ai reggini” per creare uno tra i progetti sportivi più importanti della storia che consentirebbe di arrivare a regime in 5 anni e, perché no, includendo il basket e gli altri sport”.
Quindi, una proprietà diffusa.
“Proprio così, una proprietà diffusa con potenzialità che pochi padri padroni possono pareggiare in termini di seguito e potenzialità economiche. Sono a Cantù e proprio questa strategia ha consentito all’attuale progetto sportivo di continuare a vivere e progettare una nuova arena da più di 40 milioni di euro, stimolando l’interesse di soggetti imprenditoriali locali e americani di importanza rilevante. Questo conferma che prima ci deve essere il progetto e poi arrivano anche gli investitori ma con un particolare importante: a decidere è la città, non si accetta tutto quello che capita per sopravvivere”.
E la situazione della Viola?
“La situazione della Viola è collegata alla situazione complessiva dello sport cittadino anche se mi sembra che qualcosa si muova. Ma ribadisco che, per me, resta tutto collegato alla realizzazione di un progetto di più largo respiro che deve sfruttare ciò che c’è e con l’aggiunta di persone lungimiranti che hanno la piena consapevolezza dell’importanza che può avere lo sport per una città e per la sua comunità. Lo sport deve essere considerato sempre come una tra le leve di sviluppo che hanno impatto su tutte le attività economiche, come ad esempio può essere quello turistico a cui si collega in modo del tutto naturale”.
Hai un rammarico rispetto alla tua esperienza a Reggio?
“No, non ho rammarichi. Tutto quello che ho vissuto a Reggio Calabria, di positivo e negativo, rappresenta in totale una parte di vita che non ha prezzo. Piuttosto credo che il rammarico lo avrei se non riuscissi a vedere un grande progetto sportivo diventare realtà per la città e la sua gente. Non c’è da convincere nessuno, bisogna mettersi a lavorare per crearlo perché dalle nostre parti abbiamo sempre trasformato le difficoltà in opportunità e perché tempo fa qualcuno disse che “qui non si muore mai” e mai accadrà, garantito. Tempo al tempo…”