Il “miracolo” del Porto di Palermo: quando la “visione” prevale sul contingente

Quanto realizzato nel porto di Palermo dimostra che, anche dalle nostre parti, è possibile fare presto e bene

StrettoWeb

Una settimana fa, Palermo ha vissuto un momento che è stato definito, giustamente, storico. Per una città che da decenni non vede un intervento di risanamento urbanistico che vada al di là della pavimentazione di una piazza, vedersi restituire 40.000 mq di area urbana non è poco. Se poi si guarda alla qualità dell’intervento, la premessa non può certo definirsi esagerata.

Si tratta della riqualificazione del molo trapezoidale, area che, fino a qualche anno fa, era giusto definire “off limits” pur trovandosi praticamente al centro della città storica. Di giorno sede di piccole attività commerciali e di grande degrado, di notte sede di prostituzione e squallore. Oggi l’area, liberata da edificazioni abusive, silos vuoti ed attrezzature inutilizzate, si presenta aperta alla città e totalmente fruibile.

Le  nuove costruzioni sono armonizzate e perfettamente inserite in un contesto dove il mare fa da sfondo su tre lati. Il quarto, che guarda la città, è dominato da un’area verde che valorizza i ruderi del vecchio Castello a Mare. Tutto attorno, uno specchio d’acqua di 8.500 metri quadrati al centro del quale è stata installata la fontana “danzante” più grande d’Europa.

Come è possibile che tutto questo avvenga in una città dove non si riesce neanche a raccogliere l’immondizia? Dove per realizzare un semplice collettore fognario non bastano 15 anni? Dove i cittadini passano più tempo in macchina di quelli di Roma, Milano, Città del Messico? Eppure, è successo, quindi, è possibile.

Ed è possibile anche individuare, con nome e cognome, l’artefice di tutto questo: Pasqualino Monti. Un personaggio che ormai, a Palermo, per notorietà ed ammirazione, fa concorrenza a Santa Rosalia. Non ha ancora salvato la città dalla peste, ma una parte non indifferente di essa dal degrado, si: quella di competenza dell’Autorità di Sistema Portuale del mare di Sicilia Occidentale, che presiede da qualche anno.

Non soltanto il molo trapezoidale, ma tutto il “waterfront” di Palermo appare un’altra cosa rispetto a quello che si parava davanti agli occhi del sottoscritto e dei suoi coetanei soltanto una trentina di anni fa. Con l’avvento di Monti, l’Autorità Portuale sta portando a termine un efficace processo di rinnovamento di tutto quello che ricade sotto la sua giurisdizione e che, al di là dell’area portuale vera e propria, divide la città dal mare. On soltanto per armonizzare la fascia costiera con l’area urbana, ma anche per migliorare ed adeguare ai tempi la funzionalità del porto, mediante interventi meno appariscenti ma altrettanto importanti.

Si pensi, per fare un banale esempio, al dragaggio che ha portato i fondali da 9 a 12 metri ed il contemporaneo adeguamento delle banchine alle normative più moderne, consentendo l’attracco delle più grandi navi da crociera. Un intervento che ha reso possibile l’arrivo a Palermo di 930.000 crocieristi nel 2023, vale a dire più di quelli che si sono contati nell’intera Sicilia nel 2019 (ultimo anni prima del Covid): arrivi che sono destinati ad aumentare (si supererà il milione nel 2024), grazie agli accordi già stipulati con le principali compagnie di navi da crociera per 30 (diconsi: trenta!) anni.

Lo stesso molo trapezoidale inaugurato venerdì 13 ottobre, oltre a restituire alla città spazi urbani belli ed ampi, è, ad oggi, l’unica struttura portuale siciliana in grado di consentire l’attracco di 14 megayacht da 80 metri, i cui ospiti potranno godere del “Marina Yachting” qui realizzato.

Ma torniamo alla domanda: come diavolo ha fatto, costui? La risposta l’ha data egli stesso a chi scrive in una conversazione visibile on line sul canale Youtube In Progress, già nel gennaio 2021. Ed è di una semplicità disarmante.

Pasqualino Monti ci ha raccontato, infatti, di essersi semplicemente dotato di una “squadra” adeguata. Già allora aveva portato i dipendenti dell’Autorità Portuale da 36 ad 81 persone, con l’obiettivo, oggi raggiunto, di superare le 100 unità. Tutti ragazzi siciliani scelti, ci ha detto, tramite concorsi “seri, molto seri” (minuto 32:00 del filmato). In grado di programmare, progettare, appaltare e “mettere a terra” le opere che oggi vediamo realizzate e quelle che si realizzeranno, nell’ambito di una precisa programmazione.

Le Opere Pubbliche si fanno, infatti, solo se hai progetti da mettere in cantiere, altrimenti non puoi ottenere i finanziamenti necessari che, a differenza di quanto si crede, ci sono, ed in abbondanza. Purtroppo, come sanno benissimo gli addetti ai lavori, tali fondi vengono in gran parte restituiti al mittente proprio per incapacità progettuale. Per poi essere magari dirottati al nord, dove le amministrazioni locali sono un po’ meglio attrezzate, con il fantastico risultato di arricchire chi sta meglio (e pensare che c’è poi chi si meraviglia dell’aumento incessante del divario sud-nord).

Si può fare, quindi. Anche a Palermo, anche in Sicilia, anche nel sud. A condizione di avere, come abbiamo visto, la “squadra” giusta, fatta da personale tecnico ed amministrativo dotato delle necessarie competenze. Tutto qua, fin troppo semplice.

Ma allora domandiamoci: come mai altrove non si riesce a farlo? O meglio: perché le amministrazioni pubbliche non sono in grado di selezionare il proprio personale, soprattutto quello tecnico, con criteri “seri, molto seri”?

La politica, quella peggiore, che ha ormai fatto di questo Paese un enorme raccomandificio, non ha alcun interesse ad anteporre la qualità al consenso: per questo le Amministrazioni pubbliche non hanno “squadre” adatte, o se le hanno, non sono capaci di portare al termine il loro compito. In un quadro politico dove l’orizzonte temporale è limitato alla prossima scadenza elettorale, che mediamente è collocata entro qualche mese, anche il posto di istruttore tecnico, per non parlare dei dirigenti, è divenuto preziosa merce di scambio.

Ma lo è anche l’assegnazione degli incarichi di progettazione “esterni” che sono spesso “fiduciari” o vengono comunque gestiti dal personale di cui sopra, che ha molti meriti politici ma pochi tecnici. Incarichi che spesso producono progetti scadenti, che se non vengono scartati all’atto dell’assegnazione del finanziamento, comportano enormi problemi al momento dell’esecuzione delle opere: è la principale causa delle tante incompiute che si vedono in giro.

Evidentemente, all’Autorità portuale palermitana tutto questo non è successo: al di là delle affermazioni del suo Presidente, i fatti ci dimostrano, ormai inequivocabilmente, che la “squadra” è stata scelta valorizzando la qualità, e che la asserita serietà nella selezione non è il solito proclama dei tanti politici che vantano trasparenza e competenza, per poi privilegiare gli amici degli amici.

Una metodologia virtuosa che non poteva essere attuata senza uno slancio, un programma, una prospettiva che andasse al di là del contingente: una “visione” lungimirante.

Se chi ci governa riuscisse a guardare oltre le convenienze immediate, comprenderebbe che le ricadute positive di un’opera pubblica realizzata presto e bene, sono foriere di un consenso molto più importante del favore personale, accompagnato dallo sviluppo del territorio e da nuove opportunità per cittadini e classe dirigente. Un ragionamento semplice, ma che sfugge ormai da molti lustri ai nostri amministratori pubblici.

Per qualche complicata congiunzione astrale, ogni tanto, qualcuno riesce a sottrarsi a questo destino. E realizza cose che non riescono a nessuno: cose normali. Si, perché, in fondo, interventi come quelli realizzati nel porto di Palermo, che appaiono veri e propri miracoli, altrove sono la normalità. Posti dove la “visione” prevale sugli angusti interessi dell’immediato.

Condividi