La nostra civiltà ha fatto un passo avanti, un vero progresso, un piccolo passo per l’uomo ma un grande passo per l’umanità. L’ha fatto con la morte di Indi per asfissia decretata da un’Alta (si fa per dire) corte inglese: l’umanità ha così riconosciuto il diritto sommo dello Stato di dare la morte anche al più indifeso e innocente degli esseri umani. Per la verità dobbiamo ricordare il precedente del Monte Taigeto dove pare che Sparta rendesse giustizia ai bambini deformi, disabili, malati, dandogli una vita migliore nell’Ade.
Ho sentito un noto giornalista, italiano, coprire di ridicolo il nostro governo – che si era offerto di continuare le cure, sia pur palliative, per tenere in vita la bimba – e giustificare il magistrato inglese che, per Indi, ha decretato la morte per asfissia perché era la legge a imporglielo; è vero che i giudici inglesi, davanti alla ‘statute law’, alla legge scritta, perdono il potere che gli attribuisce la ‘common law’, cioè addirittura di fare la legge stabilendo il ‘precedente: come sono diversi dai loro colleghi italiani che, quando vogliono, giungono addirittura a fare la legge di mano e di testa propria! Un comportamento che avevo sentito elogiare da questo stesso giornalista quando l’interpretazione ‘evolutiva’ della legge, largamente praticata dai magistrati italiani cambiando nella sostanza la legge che essi dovrebbero applicare, soddisfaceva le sue vedute progressiste.
Comunque, sulla base di un giudizio di equità, il giudice inglese avrebbe potuto benissimo accogliere la richiesta dei genitori di Indi di proseguire le terapie perché se lo stato ha il diritto di negare le sue cure certamente non ha quello di negare il diritto dei genitori ad autodeterminarsi; se non lo ha fatto, non è tanto in ossequio alla legge quanto per supina acquiescenza alla mentalità che si sta facendo prevalente e che, tutto sommato, non è altro che una mentalità utilitaristica: le regole che ormai si seguono son quelle della medicina economica che fa a meno del giuramento di Ippocrate; non si fa che parlare del diritto di aborto come del necessario orpello della dignità della donna perché ormai si vede nella maternità la condizione più degradante del suo essere, l’attentato più grave alla sua libertà e si considera l’aborto non più che un metodo contraccettivo tra gli altri.
Non si fa che parlare di eutanasia e di suicidio assistito; non si fa che parlare di Marco Cappato facendo propaganda alle sue ambizioni senatoriali e pubblicità alla sua compagnia di aspiranti assistenti al suicidio. Non vorremmo pensare che la nostra civiltà riconosca nella ‘necrofilia’ il suo sentimento più vitale e la sua aspirazione più alta.