Reggio Calabria, Ventura: “spari sulla mia auto perché scrivo dei rom, ma la responsabilità politica è del Comune”

"La vigilanza generica radiocollegata, che mi era già stata assegnata prima dell’atto subito, è stata rafforzata", ha spiegato Francesco Ventura dopo l'intimidazione subita

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Rompo il silenzio stampa autoimpostomi all’indomani dell’atto intimidatorio che ho subito. Un silenzio iniziale che ho adottato non per timore, ma bensì per dare il tempo alle Autorità di adottare i provvedimenti ritenuti più opportuni per la tutela della mia famiglia e della mia persona. Confermo l’atto intimidatorio subito lo scorso martedì 24 ottobre, dove nottetempo cinque colpi d’arma da fuoco sono stati esplosi contro due automobili in uso mio ed al mio nucleo familiare. La vigilanza generica radiocollegata, che mi era già stata assegnata prima dell’atto subito, è stata rafforzata. Si tratta di un primo deterrente contro futuri atti, che vorrei fosse noto. Inoltre ringrazio il Sindacato dei Giornalisti per la solidarietà manifestata a seguito di questo vile gesto“. Così Francesco Ventura, il giornalista reggino

Mentre la responsabilità penale saranno gli Inquirenti ad appurarla, imputo al Comune di Reggio Calabria la piena responsabilità politica per quanto accaduto. Se come sospetto la causa scatenante di questo vile gesto è il mio scrivere di criminalità organizzata rom, i miei servizi sono conseguenza dell’ignavia di Palazzo San Giorgio su questo tema e con esso delle mie vicissitudini personali, consumatesi al Rione Marconi e che si trascinano irrisolte da marzo 2013“, chiosa Ventura.

Se non fossi stato lasciato solo e costretto a difendermi, io giornalista formatosi tra le pagine culturali, non mi sarei mai cimentato per così a lungo e così a fondo in cronaca nera. Essa è appannaggio di firme ben più prestigiose e capaci della mia, firme di professionisti innanzi ai quali so di dover cedere il passo, per come d’altronde l’ho sempre ceduto”, racconta ancora Ventura.

I fatti

La lunga e accorata battaglia di Francesco Ventura contro il racket delle case popolari a Reggio Calabria, gestito dai rom al Rione Marconi, affonda le sue radici nel lontano 2013. All’epoca Ventura, studente universitario ventenne, fu sbattuto fuori da casa assieme alla sua famiglia. Una casa assegnatagli legittimamente nel 2003. Si trattava di un alloggio popolare destinato alle forze dell’ordine, categoria della quale il padre di Francesco faceva parte. Non solo. La famiglia aveva anche acquistato l’alloggio divenendone di fatto proprietaria. Dopo aver versato la caparre e firmato il contratto di acquisto, “aspettavamo che il rogito venisse effettuato“, scrisse all’epoca Ventura.

Mio padre è un pensionato della polizia penitenziaria, dopo anni di risparmi e sacrifici pensavamo di acquistare casa nostra. Così non si è rivelato possibile. Da quando è uscito il primo bando nel 2011 per l’acquisto degli appartamenti, siamo stati vittime di atti intimidatori, ci facevano trovare proiettili nella cassetta della posta. Tutto quello che sto dicendo è documentato dalle denunce fatte nel corso degli eventi“, scrisse all’epoca Ventura.

‘Ndrangheta Foederati

Cos’è cambiato da allora? Poco o nulla, sebbene Francesco Ventura stia battendo i pugni da tempo per trovare almeno parte di quella giustizia e di quella considerazione da parte delle istituzioni che la sua famiglia attende da tempo. Nel frattempo, nel 2016, il giornalista reggino ha pubblicato il saggio “Ndrangheta Foederati”, in cui ipotizza l’avvenuta affiliazione di rom nelle cosche “tradizionali” di ‘ndrangheta. Un fenomeno, secondo Ventura, sottovalutato.

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