Urge immediatamente una riforma previdenziale

Pensioni, nell’ultima legge di bilancio è contenuto pochissimo nel capitolo previdenziale

StrettoWeb

Nell’ultima legge di bilancio è contenuto pochissimo nel capitolo previdenziale. Alla fine del passaggio parlamentare sulle pensioni saranno approvate per il solo 2024 il proseguimento di “Quota 103” costituita da 41 anni di contributi sommati ai 42 anni di età, ma con calcolo tutto effettuato con il metodo contributivo e con un aumento delle finestre d’uscita, peggiorata l’Ape Sociale destinata a lavoratori con almeno 63 anni di età e 5 mesi che svolgono lavori usuranti e per Opzione Donna, già stravolta l’anno passato è stato aumentato il requisito dell’età anagrafica portandolo a 61 anni con sconto di un anno per un figlio e di due anni per due figli destinata però solamente a caregiver, invalide almeno al 74% e coloro le quali hanno perso il lavoro o siano occupate in un’azienda in crisi. Troppo poco per poter dire di aver modificato la troppo rigida legge Fornero che resta la legge di riferimento in Italia e che permette il pensionamento a 67 anni di età oppure in alternativa accedere alla pensione anticipata che necessita per gli uomini di 42 anni e 10 mesi e per le donne di 41 anni e 10 mesi a cui bisogna aggiungere i tre mesi di finestra.

Il Governo più volte per bocca della presidente Meloni ha affermato che quest’anno a causa di esigenze di bilancio non è stato possibile intervenire sulla previdenza in materia strutturale ma che è intenzione dell’esecutivo approvare la riforma che tutti i cittadini italiani aspettano, entro il termine della legislatura. Siamo già in ritardo è bisogna immediatamente all’inizio del prossimo anno intervenire perché altrimenti come anche affermato dalla stessa Meloni il problema previdenziale se non si fa nulla rischia di diventare nei prossimi decenni una boma sociale.

Il primo intervento da attuare è la separazione tra previdenza ed assistenza. Non è possibile far gravare sulla previdenza istituti come la cassa integrazione, il reddito di cittadinanza, gli assegni sociali, le integrazioni al minimo della pensione. Queste sono voci, che pur importantissime, devono gravare sulla fiscalità generale e non possono essere imputate alla previdenza. Questo della separazione è un discorso che si fa da oltre vent’anni e forti sono le resistenze ma se si operasse questa separazione si evincerebbe che il costo della previdenza in Italia non è del 16,7% il secondo più alto in Europa dopo la Grecia, ma scenderebbe al 12,8% in linea con gli altri Paesi europei.

Altro provvedimento da attuare è quello dei 41 anni per tutti uomini e donne indipendentemente dall’età e senza penalizzazioni. Ritengo che 41 anni di lavoro effettivamente svolti siano più che sufficienti per poter andare in pensione. Oltretutto il costo per l’Erario negli anni andrebbe progressivamente a diminuire perché in questi ultimi anni le persone cominciano ad entrare nel mondo del lavoro sempre più tardi a causa di percorsi universitari o purtroppo per carriere frammentarie e di conseguenza nei prossimi anni saranno sempre meno le persone che riusciranno ad avere 41 anni di contributi.

Concedere poi un’amplissima flessibilità che parta dai 62 anni di età ed arrivi fino a 70 anni con lievi penalizzazioni ed incentivazioni a partire dai 65 anni. Permettere già dai 62 anni a chi lo volesse, subendo una penalizzazione, di uscire dal mondo del lavoro e allo stesso tempo concedere incentivazioni a chi per scelta volesse rimanere oltre l’età ordinamentale di pensionamento. Il costo per l’erario sarebbe molto basso perché l’esborso che si avrebbe per chi decidesse di uscire prima dal mondo del lavoro sarebbe compensato, almeno in parte, da chi invece rimanesse qualche anno in più usufruendo per meno anni dell’assegno previdenziale. In questo modo il lavoratore sarebbe posto al centro della questione. Sarebbe, cioè, lui a scegliere in piena libertà quando e se lasciare il mondo del lavoro in maniera autonoma superando le rigidità imposte dall’attuale legge Fornero. Uniche limitazioni avere almeno 62 anni di età, 20 anni di contribuzione e una pensione di almeno 1,5 volte il trattamento minimo.

Dare poi una forte implementazione alla previdenza complementare che di fatto sarà la seconda gamba del sistema previdenziale concedendo detrazioni fino al 50% di quanto versato e riducendo anche i costi per il riscatto della laurea che hanno ormai raggiunto cifre spropositate. Aumentare coefficienti di trasformazione per implementare gli assegni previdenziali che con l’introduzione del sistema contributivo già dall’anno 1996 si stanno riducendo progressivamente di anno in anno e che rischiano, se non si interviene, di essere al limite della povertà.

Sono primi, interessanti, punti di partenza per affrontare tutti insieme fin dall’inizio del 2024 questo delicatissimo problema dando risposte certe e durature ai cittadini ed al tempo stesso non mandare all’aria i conti dell’Inps che, se non si interviene, a causa della denatalità e del progressivo invecchiamento della popolazione rischia di non essere più in grado di pagare a tutti le pensioni.

 

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