Terremoto 1908, 115 anni fa l’apocalisse che devastò Reggio Calabria e Messina

Una fredda mattinata di Dicembre; un forte sisma, preceduto da un grande boato, scosse violentemente tutta l’area dello Stretto. Una scossa del 7° grado sulla scala Richter distrusse completamente Reggio e Messina

StrettoWeb

Prof. Saverio Verduci- 28 Dicembre del 1908, erano le 05.21 del mattino! Una fredda mattinata di Dicembre; un forte sisma, preceduto da un grande boato, scosse violentemente tutta l’area dello Stretto. Una scossa del 7° grado sulla scala Richter distrusse completamente Reggio e Messina. I sismografi evidenziarono fin dal primo momento, la grande intensità delle scosse senza consentire agli specialisti di individuare con certezza la specifica localizzazione. Si potevano solo immaginare i danni provocati da un sisma di quella intensità. Gli addetti all’osservatorio Ximeniano di Firenze annotarono: “Stamani alle 05:21 negli strumenti dell’Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione: Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave“. Tutte le coste subirono l’effetto devastante del sisma, seguito sfortunatamente anche da un violentissimo maremoto che rase quasi al suolo interi paesi litoranei tra cui anche Lazzaro. La drammatica notizia di quell’evento catastrofico, giunse a Roma nella serata del 28 stesso a mezzo telegramma inviato dalla città di Nicotera poiché sullo Stretto i collegamenti di comunicazione erano definitivamente interrotti. Riunito d’urgenza il Consiglio Dei Ministri, il Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, esaminò la situazione ed emanò di concerto le prime direttive del Governo.

La comunicazione del terremoto al Senato del Regno

Ecco quanto è stato comunicato al Senato del Regno in una relazione datata 1909 in merito alla violenza del terremoto: “Un attimo della potenza degli elementi ha flagellato due nobilissime province – nobilissime e care – abbattendo molti secoli di opere e di civiltà. Non è soltanto una sventura della gente italiana; è una sventura della umanità, sicché il grido pietoso scoppiava al di qua e al di là delle Alpi e dei mari, fondendo e confondendo, in una gara di sacrificio e di fratellanza, ogni persona, ogni classe, ogni nazionalità. È la pietà dei vivi che tenta la rivincita dell’umanità sulle violenze della terra. Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro, né preciso il concetto della grande sventura, né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere. Sappiamo che il danno è immenso, e che grandi e immediate provvidenze sono necessarie”. Ed ecco infine quanto riporta in una relazione Mario Baratta, geografo e sismologo giunto in riva allo Stretto, relativamente al territorio calabro e al territorio di Lazzaro in particolare: “il maremoto si presentò come una colossale ondata, che molti rassomigliarono ad una grande muraglia con varie lingue, la quale in alcuni punti si inoltrò per 250 metri circa. Altezza media dell’acqua 10 mt. Tutto il paese inferiore, che si distendeva lungo la Provinciale, più che dal terremoto è stato raso al suolo dalla violenza del maremoto, che quivi ha prodotto quasi gli stessi effetti osservati a Pellaro”.

Importante testimonianza

Un’altra importante testimonianza relativa agli effetti devastanti causati da questa grave sciagura ci viene dal penalista Gildo Ursini il quale riferisce che non appena giunto nell’area di Capo D’Armi, il paese si presentò ai suoi occhi come un grande deserto causato dalla violenza del maremoto che aveva lasciato, nel ritiro delle sue onde, macerie, morte e desolazione e somigliando similmente ad una palude abbandonata. Gravissimo fu il bilancio delle vittime di questa grave calamità che come segno del destino, avverso e malvagio, colpì così duramente il nostro territorio: 120.000 morti in totale tra le due sponde. Un numero esorbitante se rapportato alla popolazione del tempo. L’esercito immediatamente ordinò alle sue truppe di dirigersi nell’area del disastro; allo stesso tempo la Marina ordinò alla sua flotta navale che si trovava nelle acque della Sardegna di dirigersi verso le acque dello Stretto. I primi soccorsi giunsero il 29 Dicembre con una squadra navale russa in navigazione sullo Ionio e una squadriglia di navi inglesi.

Il Re ha visitato i luoghi della distruzione

Il 30 giunsero a visitare questi luoghi Re Vittorio Emanuele e il Ministro dei Lavori Pubblici Pietro Bertolini. Il Re ritenne opportuno indirizzare il 5 gennaio 1909 un proprio ordine del giorno di elogio al personale italiano e straniero, sempre impegnato con grave sacrificio nell’adempimento dei compiti assegnati: “All’Esercito ed all’Armata, Nella terribile sciagura che ha colpito una vasta plaga della nostra Italia, distruggendo due grandi città e numerosi paesi della Calabria e della Sicilia, una volta di più ho potuto personalmente constatare il nobile slancio dell’esercito e dell’armata, che accomunando i loro sforzi a quelli dei valorosi ufficiali ed equipaggi delle navi estere, compirono opera di sublime pietà strappando dalle rovinanti macerie, anche con atti di vero eroismo, gli infelici sepolti, curando i feriti, ricoverando e provvedendo all’assistenza ai superstiti. Al recente ricordo del miserando spettacolo, che mi ha profondamente commosso, erompe dall’animo mio e vi perdura vivissimo il sentimento di ammirazione che rivolgo all’esercito ed all’armata. Il mio pensiero riconoscente corre pure spontaneamente agli ammiragli, agli ufficiali ed agli equipaggi delle navi russe, inglesi, germaniche e francesi che, mirabile esempio di solidarietà umana, recarono tanto generoso contributo di mente e di opera”.

La notizia fa il giro del Mondo

La notizia dell’immane catastrofe, con tutto il suo carico di morte, nel giro di appena qualche giorno fece il giro del mondo! Ebbe subito vita una grande gara di solidarietà alla quale parteciparono numerosi stati europei che inviarono in riva allo Stretto i loro aiuti. Tra le prime squadre di soccorso che giunsero a Reggio vi fu quella proveniente da Cosenza, guidata dall’esponente socialista Pietro Mancini (padre di Giacomo) che dichiarò: «Le descrizioni dei giornali di Reggio e dintorni sono al di sotto del vero. Nessuna parola, la più esagerata, può darvene l’idea. Bisogna avere visto. Immaginate tutto ciò che vi può essere di più triste, di più desolante. Immaginate una città abbattuta totalmente, degli inebetiti per le vie, dei cadaveri in putrefazione ad ogni angolo di via, e voi avrete un’idea approssimativa di che cos’è Reggio, la bella città che fu». E ancora i giornali scrissero: “Oramai non v’è dubbio che, se a Reggio fossero giunti pronti i soccorsi, a quest’ora non si sarebbero dovute deplorare tante vittime”. Immagini di morte, di desolazione, di disperazione, di macerie e di distruzione vengono riportate fedelmente in tutti i documenti che sono conservati negli archivi e tutte evidenziano la drammaticità della violenta forza della natura che si scagliò contro l’uomo.

Lo studio di alcuni documenti cartografici

Dallo studio di alcuni documenti cartografici conservati presso L’Archivio di Stato di Reggio Calabria (ASRC) è possibile identificare il nucleo urbano di Lazzaro negli anni pre-sisma. Infatti il nucleo urbano del paese, si estendeva nella porzione di territorio della Strada Provinciale (oggi Via Ex Provinciale – Lungomare Ottaviano Augusto) compreso tra il Torrente Oliveto e il Torrente San Vincenzo. Ancora oggi di quelle abitazioni resta solo l’ultima fila di case a monte; proprio al di sotto di queste si estendeva la restante parte delle abitazioni alla quale seguivano i giardini con i pozzi e le vasche utilizzate per l’irrigazione e poi la spiaggia con il mare. Relativamente al Comune di Motta San Giovanni, dallo studio di alcuni documenti d’archivio conservati sempre presso l’ASRC è possibile apprendere che il Comune è censito tra quelli che hanno subito il 50% dei danni relativi all’intero abitato e ciò è facilmente comprensibile in virtù del fatto che la zona più colpita fu proprio la zona costiera nella frazione di Lazzaro dove l’evento tellurico fu accompagnato dalla forza distruttrice del maremoto.

La popolazione comunale contava allora 3714 abitanti; di cui 1259 a Lazzaro dove i morti furono 174 e i feriti 400, a Motta su 2455 abitanti si contarono 87 vittime e 200 feriti. Dopo breve tempo, con l’ausilio di alcuni plotoni dell’esercito stanziati sul territorio comunale, iniziarono gli interventi di recupero e seppellimento dei cadaveri, di sgombero delle macerie, la lenta costruzione dei primi alloggi temporanei e solo dopo, molto dopo, fu avviato il processo di ricostruzione.

La ricostruzione: dalle baracche alle prime case

La fase operativa della ricostruzione fu molto lenta. A redigere il primo piano per la città di Reggio Calabria fu l’ing. Pietro De Nava. Tale piano venne approvato con Delibera del Regio Decreto nel 1911 e prevedeva una evoluzione urbanistica del vecchio Progetto Mori, nel cui centro urbano si sviluppava una scacchiera con vie rettilinee che si snodavano sull’asse principale costituito dal Corso Garibaldi. Per far fronte ai più immediati fabbisogni della popolazione si diede avvio alla costruzione di baracche di legno che sostituirono o si aggiunsero alle tendopoli. Sorsero quindi quartieri provvisori denominati americano, lombardo, svizzero, tedesco, ecc. in segno di riconoscenza verso i paesi che con i loro aiuti ne agevolarono la realizzazione; un quartiere fu intestato anche alla regina Elena. I lavori non procedettero speditamente, dando origine a nuove polemiche contro il Governo e a nuovi corsivi dei giornali, tra cui anche quelli pubblicati dalla “Domenica del Corriere” che uscì nel febbraio 1909, lamentando lentezze burocratiche e illustrando la sua edizione con una delle prestigiose tavole di Achille Beltrame. La maggioranza delle baracche furono abitate per decenni prima che il processo di vera e propria ricostruzione fosse completato.

Relativamente al territorio comunale di Motta San Giovanni le dinamiche furono approssimativamente le stesse. Un paese quasi totalmente in stato di degrado e abbandono; un paese di “legno” quello che viene descritto in alcuni atti d’archivio del 1909; nel centro abitato di Lazzaro risultano essere state costruite soltanto poche baracche rispetto al numero previsto di baracche stesse mentre a Motta ne fu costruita soltanto una. Una lentezza atavica quella della costruzione dei baraccamenti che portò nuovamente i giornali del tempo a riaprire le polemiche relative al quadro operativo dei soccorsi nell’area devastata dello Stretto.

In attesa del Piano Regolatore Comunale stilato soltanto nel 1916, le forze dell’esercito inviate sul nostro territorio si occuparono di assistere la popolazione e cominciare ad edificare quindi le prime baracche che furono consegnate al Comune nel 1910, a quasi un anno di distanza dall’evento calamitoso. Le baracche furono costruite nello spazio relativo all’attuale Corso Italia, nelle adiacenze del Torrente Saetta, nel terreno di proprietà del Commendatore Spinelli quasi a ricoprire l’intera area urbana della moderna Lazzaro. Gli altri punti del territorio dove venne avviata la costruzione di baracche furono: Fornace, Casalotto, S. Elia, Riace, Paolia, Cambareri e Lavandara. Relativamente a Motta furono realizzate baracche in contrada Leina, in contrada Crozza e in contrada S. Antonio. Con il Real Decreto 15 Luglio 1909 n° 542, che estende a tutti i Comuni della Calabria e dei Circondari di Messina, le norme tecniche ed igieniche e fissa le aree per le nuove edificazioni, vennero emanate le nuove direttive per l’edificazione di nuovi fabbricati. Tale strumento legislativo indica come aree assolutamente non edificabili, per il nostro Comune, relativamente alla frazione di Lazzaro, una vasta area dell’abitato compreso tra la fascia costiera e il mare di Lazzaro. Il primo Piano Regolatore Comunale, redatto dagli ing. De Stefano e Cama fu stilato in data 25 Maggio 1916 e indicò le zone sulle quali costruire le prime abitazioni. Il primo nucleo di abitazioni in muratura fu costruito a partire dagli anni ’20 nei luoghi dove erano state edificate le baracche con strade parallele ed ortogonali.

Il processo di ricostruzione avviato sull’intero territorio comunale fu lentissimo; tra i primi edifici ad essere costruita ci fu sicuramente la Chiesa di Santa Maria delle Grazie che precedentemente sorgeva nella proprietà Maropati, nel vecchio paese di Lazzaro. I lavori di riedificazione iniziarono nel 1928 e furono ultimati nel 1930 circa, seguirono poi, tutta una serie di strutture sorte sulla prospicente piazza della chiesa. Nella vecchia chiesa della Madonna delle Grazie che, come detto sorgeva a Lazzaro Vecchio, vi era anche custodita la statua stessa della Madonna delle Grazie che miracolosamente venne restituita dalle acque marine e che, per molto tempo, fu custodita nella Cappella dell’Addolorata sempre a Lazzaro Vecchio. Con la costruzione del nuovo edificio di culto intitolato sempre alla Madonna delle Grazie, nel nuovo paese di Lazzaro, venne realizzata una nuova statua di culto; la data di realizzazione di tale statua è il 1911 come riportato dall’iscrizione incisa ai piedi della statua stessa: “A te Maria Madre di Grazie – Il popolo di Lazzaro scampato dal terremoto – 2 Luglio 1911”.

Il processo di riedificazione del territorio comunale durò tuttavia molti anni, dai primi anni del ’20, fino ai primi anni ’80, ridisegnando così il volto moderno del nostro paese. Storia, cultura e tradizioni non hanno mai dimenticato l’evento calamitoso che con grande brutalità e forza si è imposto prepotentemente nella storia sociale dei nostri territori. E così tornano alla mente alcune storie raccontante da tante persone, che oggi non ci sono più, che hanno vissuto direttamente quell’evento e che nel tempo si sono fatte portavoce di quei terribili giorni in cui la natura mostrava tutta la sua forza contro l’uomo.

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