Alviero Martini nei guai: azienda commissariata per caporalato | GALLERY

Si legge negli atti della Procura milanese: "massimizzati i profitti facendo ricorso a manovalanza in nero e clandestina"

  • Foto Ansa
  • Foto Ansa
  • Foto Ansa
  • Foto Ansa
/
StrettoWeb

Guai per l’azienda d’alta moda Alviero Martini spa, specializzata in borse ed accessori: a seguito di indagini condotte dai carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro e dal Pm Paolo Storari, il Tribunale di Milano ha commissariato la compagnia. Le ragioni, secondo quanto riportato dal provvedimento, sono da ricondurre all’incapacità “di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo”. 

La morte di un operaio in nero

Un’accusa di caporalato molto pesante, che si è fatta strada a seguito della morte di un operaio del Bangladesh, di soli 26 anni, rimasto schiacciato da un macchinario all’interno del capannone di produzione a Trezzano sul Naviglio. Accadeva a maggio del 2023 e l’azienda, per nascondere il suo status in nero, avrebbe “inviato il modello telematico di assunzione al Centro per l’impiego e agli enti contributivi e assicurativi Inps ed Inail” il giorno seguente. Secondo gli accertamenti, l’impresa non ha “mai effettuato ispezioni o audit sulla filiera produttiva per appurare le reali condizioni lavorative” e “le capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”.

Sfruttamento per massimizzare i profitti

La casa di moda avrebbe affidato “mediante contratto di appalto con divieto di sub-appalto senza preventiva autorizzazione, l’intera produzione a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi”. Ma le aziende appaltatrici avrebbero solo sulla carta la capacità produttiva richiesta, pertanto “possono competere sul mercato solo esternalizzando le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere a loro volta i costi grazie all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento”. L’alta moda da un lato, lo sfruttamento dall’altro.

Le indagini hanno, infatti, appurato che la compagnia avrebbe fatto ricorso allo sfruttamento consentendo “di realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo, con il classico sistema ‘a strozzo’, l’opificio cinese che produce effettivamente i manufatti ad abbattere i costi da lavoro  facendo ricorso a manovalanza ‘in nero’ e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché non rispettando i Contratti Collettivi Nazionali Lavoro di settore riguardo retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie”.

Le testimonianze degli operai

Tante le testimonianze al vaglio dei giudici Roia, Rispoli e Cucciniello, nelle indagini condotte dal Pm Storari. “Vengo pagato 1,25 euro a tomaia – ha raccontato uno dei dipendenti – durante la settimana dormo sopra la ditta al piano primo presso locali adibiti a dormitorio (…) in una giornata lavorativa produco circa 20 paia di scarpe (…) percepisco un bonifico mensile di circa 600 euro che ci paga il titolare che produce tomaie relative all’azienda Alviero Martini”. I lavoratori, dunque, percepivano paghe al di sotto della soglia di povertà e condividevano “micro camere, completamente abusive, con chiazze di muffa e con impianti elettrici di fortuna”. Un altro operaio ha aggiunto: “percepisco 50 centesimi ogni fibbia rifinita (…) non sono mai stato visitato dal medico dell’azienda”.

La società si difende

“Con riferimento alla notizia di stampa riferita alla nostra società, l’Alviero Martini comunica di essersi messa tempestivamente a disposizione delle autorità preposte, non essendo peraltro indagati né la Società né i propri rappresentanti, al fine di garantire e implementare da parte di tutti i suoi fornitori, il rispetto delle norme in materia di tutela del lavoro”. Lo scrive Alviero Martini spa in un comunicato.

“Si ribadisce in ogni caso che tutti i rapporti di fornitura della Società sono disciplinati da un preciso codice etico a tutela del lavoro e dei lavoratori al cui rispetto ogni fornitore è vincolato. Laddove emergessero attività illecite effettuate da soggetti terzi, introdotte a insaputa della Società nella filiera produttiva, assolutamente contrari ai valori aziendali, si riserva di intervenire nei modi e nelle sedi più opportune, al fine di tutelare i lavoratori in primis e l’azienda stessa”.

Condividi