Autonomia differenziata, ma cos’è? La guida facile per una legge difficile

Si parla di Lep, parametri, comma e pure Costituzione ma, in fin dei conti, in cosa consiste l'Autonomia differenziata (e perché possiamo stare tranquilli per un po')

StrettoWeb

Oggi ho avuto un’illuminazione: ho capito che, tra le mie tante qualità personali e professionali – si fa per ridere – ho scoperto, ahimè, di non essere molto brava nel prevedere il futuro. In tempi non sospetti, anche se abbastanza recenti, ho parlato di un problema che attanaglia la Calabria e i calabresi, quello di dover essere, a tutti i costi, autosufficienti.

Feci riferimento a una dichiarazione in cui si affermava che alla regione dovessero pensarci coloro che la abitano che, forse per diritto (o dovere?) di nascita, dovevano sobbarcarsi la fatica di risollevare da soli la questione meridionale. E ci scherzai su, dicendo che la Calabria era ancora parte di uno Stato che, ancora, non avevamo deciso di diventare la nuova Repubblica di San Marino o la Città del Vaticano.

A quanto pare, però, era solo questione di una manciata di giorni: appena due giorni fa, il 23 gennaio, il Senato ha approvato il ddl sull’Autonomia Differenziata, conosciuto anche come ddl Calderoli. Con 110 voti favorevoli, 64 contrari e 30 astenuti, l’iter legislativo passa ora alla Camera. E tutta la mia lunga dissertazione sul fatto di essere parte di uno Stato è andata a farsi benedire. Perché, come il nome stesso suggerisce, si parla di autonomia, una sorta di affrancamento delle regioni dal governo centrale. Forse, quindi, non avremo il Papa, ma i problemi ora dobbiamo sbrigarceli da soli per davvero. E non solo noi del Mezzogiorno, ma buona parte dell’Italia.

Le complicazioni del politichese

Bene o male, l’autonomia differenziata tiene banco e fa discutere: c’è chi la approva e chi la definisce una mazzata per la nostra bella penisola. I politici si accavallano tra di loro per dire la propria, per rassicurarci o per farci credere che saremo al pari del Terzo Mondo. Si parla di Lep, di Lea, di Costituzione, articoli, comma e chi più ne ha più ne metta. Ma per noi che non parliamo politichese e che non legiferiamo, la questione diventa un po’ più complicata.

Quindi, tra una Lilli Gruber e un Nicola Porro, tra una Bianca Berlinguer e il suo corteggiatore Mauro e un Marco Travaglio che ci ha accusati di voler dare la cittadinanza a degli assassini, in cosa consiste questa Autonomia Differenziata? Cerchiamo di capire insieme di cosa si parla e, soprattutto, perché non dobbiamo spaventarci, almeno non per il momento.

Una storia vecchia spacciata per nuova

Si potrebbe dedurre, visto il gran vociare di questi giorni, che quest’idea sia balenata in testa al Ministro Calderoli quando ancora la Lega si chiamava anche Nord. In realtà, il ddl approvato in Senato non è altro che un ampliamento della riforma del titolo V della Costituzione avvenuta 25 anni fa, nel 2001. All’epoca, sullo scranno da Primo Ministro, sedeva Giuliano Amato alla guida di una coalizione di centrosinistra: si decise quindi una prima, timida, autonomia stabilendo che le Regioni potessero avere voce in capitolo su alcuni settori normativi e, volendo, erano libere di chiedere “ulteriori forme  e condizioni particolari di autonomia”.

Ma cos’è l’Autonomia Differenziata?

L’Autonomia Differenziata è un disegno di legge presentato dal ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, che prevede, appunto, maggiore autonomia per le regioni a statuto ordinario, ovvero quelle regioni la cui potestà legislativa è limitata al dettaglio, quindi subordinate allo Stato.

Quella di Calderoli, nonostante sia il suo sogno proibito da sempre, non è altro che un incentivo di maggiori poteri agli enti locali più vicini ai cittadini. Con l’introduzione dell’autonomia, il potere statale non verrebbe abolito in toto però, ma limitato: le regioni, in questo caso, avrebbero potere decisionale ed autonomia di gestione su alcune macroaree. Non rientrano, pertanto, quelle a statuto speciale, ovvero Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige (province autonome di Trento e Bolzano). In poche parole, la regione potrà decidere per sé su un sacco di cose.

Ma perché è differenziata?

Comprendiamo ora l’aggettivo affiancato a questa autonomia,  “differenziata”: per quanto il termine possa ricordarci l’immondizia, non si tratta di carta straccia ma comunque entra in gioco un certo “grado di separazione”. La legge non prevede un’autonomia tout-court ma è in capo alle regioni la possibilità di aderire o meno. Ad esempio, se una regione non vuole avere più autonomie, può decidere di passare la mano, dire “io sto bene così” e tanti saluti. Se, invece, una Regione decide di acquisire più autonomia può chiedere al governo il quale, dopo attenta analisi, potrà decidere o meno se approvare la richiesta in base alla legge che viene approvata proprio in questi giorni.

Regioni autonome (ma senza esagerare)

Il disegno di legge però, non prevede piena libertà altrimenti la Meloni andrebbe a casa e vivremmo in una sorta di Regione-Stato. Sono state individuate, infatti, 23 materie su cui le regioni potranno legiferare, tra cui sanità, istruzione, commercio estero, sport, ambiente, trasporti, energia e cultura (questo è il punto in cui potrebbe cominciare un leggero mal di testa, ma non perdiamo la concentrazione e andiamo avanti ndr.).

Una volta definite le 23 aree su cui le regioni avranno potere decisionale, la regione interessata ad acquisire più autonomia dovrà comunque fare i conti con quanto stabilisce il governo: quest’ultimo, infatti, potrà decidere o meno se accettare la richiesta che, necessariamente, dovrà ricadere nelle macroaree citate. Si passa quindi ai “paletti”, quei confini necessari che, in teoria, dovrebbero impedire che il Nord diventi ancora più nord, quindi più ricco, e che il Sud non finisca direttamente in bancarotta.

Scendono in campo i Lep

Entrano quindi in gioco i cosiddetti Lep, tirati in ballo dai politici di centrodestra del Sud per “giustificare” il loro voto a favore. I Lep, acronimo di Livelli essenziali delle prestazioni, sono servizi garantiti a prescindere al cittadino: le decisioni potranno sì essere prese dalle regioni ma dovranno sempre rispettare questi famosi paletti che sono assicurati su tutto il territorio nazionale. I Lep, infatti, sono previsti dalla Costituzione e fissati dal governo centrale. Come a dire, ok l’autonomia ma non facciamo i pazzerelli.

Perché, al momento, non dobbiamo preoccuparci (o forse sì)

Definita l’Autonomia differenziata e i Lep, ecco che si arriva al nocciolo della questione; se, da un lato, i Lep mettono un freno al potere della regione, dall’altro resta una grande incognita: i parametri dei Livelli essenziali di prestazione, nonostante il ddl sia già passato al Senato, non sono ancora stati definiti. Il governo, ad eccezione della sanità, non ha ancora stabilito i confini entro i quali le regioni potranno muoversi liberamente. A tal proposito, il ddl Calderoli contiene una delega al governo chiamato a definirli entro 24 mesi dall’entrata in vigore dell’Autonomia Differenziata.

Quindi, per quanto se ne parli, probabilmente fino al 2026 nessun governatore potrà fare qualcosa di diverso rispetto ad oggi. Ma definire i Lep significa anche apportare delle modifiche nei finanziamenti e, più generalmente, negli introiti alle casse dello Stato. Qualunque sia il futuro di questa nuova legge, una cosa sembra essere certa: alla Calabria dovranno davvero pensarci i calabresi.

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