Da Nick Scali a Ballarino, così la politica ha ucciso la Reggina

Nella desolante tristezza di un Granillo con 800 spettatori per La Fenice Amaranto, quest'inizio di 2024 certifica la fine del calcio a Reggio Calabria

StrettoWeb

Da un lato ci sono i fatti, dall’altro il rumore di chi si arrampica sugli specchi: qualcuno lo fa per mero interesse (c’è chi s’è sempre occupato solo di calcio minore e nei Dilettanti ci sguazza), altri per fanatismo religioso (difenderebbero anche Matteo Messina Denaro se diventasse il capo della Reggina), altri ancora per appartenenza politica (questa società l’ha scelta il Pd quindi noi soldatini del vecchio Pci dobbiamo tifare per loro per ordine di partito). Sta di fatto che gli allocchi impegnati a difendere l’indifendibile, cioè le performance de “La Fenice Amaranto”, sono sempre di meno.

Oggi pomeriggio allo stadio Granillo per la partita tra la Fenice e il Portici c’erano soltanto 800 spettatori: è il record negativo della storia ultracentenaria del calcio a Reggio Calabria, escluse le partite a porte chiuse o con restrizioni. Mai la principale squadra di calcio della città aveva avuto questo tipo di seguito così blando in 110 anni di storia, mai. Neanche sotto la pioggia. E se qualcuno sparla di “giorno infrasettimanale“, per favore, silenziatelo subito. Ancora una volta con la forza dei fatti.

Se la Fenice Amaranto fosse stata in lotta per la promozione con il Trapani, oggi al Granillo ci sarebbero state almeno 5 mila persone. E sarebbe stato sempre un mercoledì pomeriggio. Quando la Reggina ha entusiasmato il pubblico, il Granillo si è riempito in qualsiasi orario di qualsiasi giorno. E anche la domenica al Granillo quando gioca la Fenice non ci vanno neanche gli abbonati: contro il San Luca domenica scorsa erano poco più di mille, e scommettiamo che nella prossima gara casalinga con la Gioiese (che gioca con i ragazzini delle giovanili) saranno più o meno come oggi? Chissà se almeno quella riusciranno a vincerla… Il problema non è il giorno, ma lo scempio che il pubblico è costretto ad assistere quando volge gli occhi al campo. Perché il calcio è uno spettacolo, e se ci sono grandi protagonisti che fanno un bello show la gente è disposta a pagare grandi cifre per vederli; se invece i protagonisti sono cugini e nipoti, per guardarli a fatica ci andranno i parenti. E infatti al Granillo per la Fenice non ci va più neanche chi – illuso – ad inizio anno aveva acquistato l’abbonamento e adesso ha realizzato di aver buttato quel denaro.

Il primo posto è lontano 25 punti, che sono 28 sul campo vista la vittoria ottenuta a tavolino con il Sant’Agata di Militello che aveva espugnato il Granillo come Trapani, Siracusa e Real Casalnuovo. Neanche Juve, Milan e Inter vincevano con tale facilità in questo campo fino a 15 anni fa. I pareggi con Vibonese, San Luca e Portici completano il quadro di una squadra che al Granillo ha vinto soltanto 4 volte su 11 partite conquistando 15 punti: nella classifica casalinga è in zona playout.

Il fallimento della Fenice Amaranto

Altro fatto che smentisce gli allocchi di inizio stagione: il girone di ritorno è iniziato peggio di quello di andata. Gennaio molto peggio di settembre: due punti adesso nelle prime tre partite (San Luca, Siracusa e Portici senza neanche una vittoria), nonostante due in casa contro avversarie di bassissima classifica e nessun turno infrasettimanale aggiuntivo rispetto alle altre. A settembre, invece, con le partite da recuperare a metà settimana, una squadra costruita con i saldi tra gli svincolati da pochi giorni e sconosciuta all’allenatore, per giunta con due trasferte su tre, i punti arrivati erano stati quattro grazie alla fortunosa (e immeritata) vittoria di Portici al novantesimo dopo una partita a prendere pallonate, subire pali e traverse ma comunque nessun gol. Oggi invece il Portici al Granillo ne ha fatti due, uno su papera clamorosa del nipote di Brunetti, il “lusso per la categoria” osannato e celebrato due settimane fa per aver realizzato un gol come se avesse vinto il Pallone d’Oro soltanto come presunta ripicca contro quei cattivoni dei giornalisti che avevano soltanto raccontato i fatti. La verità.

La Fenice non è cambiata da settembre ad ora: semplicemente è questa. E’ una squadra scarsa, lo era a settembre e lo è oggi così come lo sarà domani. Così scarsa da fare brutte figure persino nei Dilettanti. Il ritardo nella preparazione era solo un alibi: lo stanno dimostrando i fatti. Oggi non ci sono più le partite ravvicinate, il ritardo della preparazione e tutte le altre scuse utilizzate dalla dirigenza societaria per giustificare il proprio fallimento, tanto che adesso i risultati sono peggiori di quelli di inizio stagione.

Tutti i deliri del business plan

Nel business plan presentato al Comune a inizio settembre La Fenice Amaranto aveva sbandierato la promozione immediata in serie C con la vittoria di questo campionato (oltre a scuola calcio, squadra femminile e tante altre promesse poi non mantenute). Ma non solo. Aveva promesso anche l’immediata promozione in serie B con la vittoria della serie C 2024/2025. Sempre per questa stagione nei Dilettanti, La Fenice Amaranto aveva previsto un cammino trionfale al punto da immaginare una media di 10 mila spettatori a partita al Granillo (compresi, quindi, i turni infrasettimanali). Uno scenario talmente tanto inverosimile che su StrettoWeb lo avevamo scritto in tempi non sospetti: ci potevano credere soltanto gli allocchi.

E adesso lo dicono i fatti: siamo a febbraio e La Fenice Amaranto è settima in classifica con 34 punti in 21 partite frutto di 9 vittorie, 7 pareggi e 5 sconfitte, a -28 dal Trapani capolista, a -24 dal Siracusa secondo, a -16 dalla Vibonese terza e fuori dalla zona playoff. Un dato attenuato molto parzialmente soltanto dalla vittoria a tavolino con il Sant’Agata di Militello che ha ribaltato il risultato sul campo consentendo alla Fenice di essere quinta a 37 punti, proprio alla pari con il Sant’Agata, a +1 dal Real Casalnuovo e a +4 dal Licata prossimo avversario in trasferta, e a +5 dal Ragusa. Un fallimento totale.

Oggi c’è chi si illude che questa società vincerà il prossimo campionato: sono gli stessi allocchi che fino a poche settimane fa si illudevano che il girone di ritorno sarebbe andato meglio del girone d’andata; che avrebbero rinforzato la squadra sul mercato dove invece hanno soltanto abbattuto i costi perchè neanche quelli di prima si possono più permettere; e ancora sono gli stessi che a ottobre erano ancora convinti che questi personaggi avrebbero davvero potuto impensierire il Trapani, il Siracusa e la Vibonese per la lotta promozione.

Tuttavia è storia vecchia: sono le stesse identiche persone che per tutta l’estate hanno accusato StrettoWeb di scrivere fake news perchè preferivano credere ai comunicati farsa di Saladini, compreso quello in cui annunciava di avere rinnovato l’accordo con Inzaghi all’insaputa di Inzaghi. Sono gli stessi allocchi che parlavano di Saladini come “genio della finanza“, sono gli stessi che fino ad agosto davano per certa la riammissione in serie B perchè “me lo ha detto miocugino che è avvocato“. Sono gli stessi che adesso sparlano di Luca Gallo dopo che l’hanno osannato più della Madonna della Consolazione quando il sindaco Falcomatà, nel tripudio popolare, gli conferiva la cittadinanza onoraria. Sono gli stessi che senza vergogna un bel giorno, quando apriranno gli occhi e torneranno nella realtà, vomiteranno il peggior fango su Ballarino & company accusando StrettoWeb di essere stato troppo morbido e non avergli raccontato la verità per tempo. Non ci credete? Arriveranno a questo, esattamente come fanno oggi con i predecessori del catanese…

Chi ha ucciso la Reggina?

La verità è che la Reggina è morta uccisa dai colpi della stessa mala politica che ha ucciso la città. Era di tutti, la Reggina. Era della destra e della sinistra, dei miliardari e dei barboni, dei primari d’ospedale e dei netturbini. Era un elemento d’identità prezioso e unico che univa un intero popolo dietro lo stesso vessillo, la stessa bandiera dalla storia gloriosa e dal colore amaranto. Era, appunto, perchè oggi non c’è più. L’inizio della fine è stato in quella maledetta estate del 2015, quando era ancora Reggina Calcio del grande Lillo Foti che l’aveva appena salvata sul campo con il contributo determinante (e gratuito) di Belardi, Aronica e Cirillo vincendo due volte il derby dello Stretto contro il Messina nello spareggio playout: 1-0 al Granillo con gol di Insigne su assist di Zibert, 0-1 al San Filippo con gol di Balistreri su assist di Zibert. L’allenatore era Giacomo Tedesco. Che festa quel pomeriggio al San Filippo! Per molti l’ultima vera gioia.

Foto di Paolo Furrer / StrettoWeb

Salvata la squadra bisognava salvare la società, e Lillo Foti fa i salti mortali: vola in Australia, coagula un gruppo di imprenditori molto facoltosi originari di Reggio e provincia guidati da Nick Scali per dare continuità ad un progetto aziendale e sportivo che non era più sostenibile da solo. Sembra tutto fatto quando il Sindaco Falcomatà commentando l’arrivo di Nick Scali in città dice “non vogliamo nuovi Manenti“, soltanto perchè lui era estraneo a quell’operazione. E allora Nick Scali convoca i giornalisti in uno studio legale con l’avvocato Fiumanò nei pressi di piazza Sant’Anna e dà il benservito: “io ho lavorato per una vita, ho fatto una fortuna senza mai avere alcun tipo di problema, figuriamoci se vengo contro la volontà del primo cittadino a cercarmi guai a Reggio Calabria. Grazie mille e buona fortuna“. E’ il 23 giugno 2015.

Lillo Foti non demorde, fa i salti mortali per trovare altre soluzioni. Vola a Roma, gli viene l’ulcera. Letteralmente. Il dolore è improvviso, forte, lancinante. Il Presidente sviene, cade e si rompe alcune costole. Finisce in ospedale, apre gli occhi e il primo pensiero è salvare la Reggina: coinvolge le figlie, fa l’impossibile. La prima scadenza federale è saltata ma c’è ancora tempo, Foti promette a Tavecchio una soluzione per iscrivere la squadra. E’ questione di giorni. Tavecchio una sera chiama Falcomatà per capire come vanno le cose e il Sindaco affossa definitivamente la Reggina. Tentenna, cincischia e soprattutto non comunica a Foti di aver ricevuto quella telefonata. Così Tavecchio nel giro di poche ore dispone lo svincolo e la Reggina Calcio non esiste più.

Un calvario e poi la fine

La ripartenza con Praticò è un calvario: non c’è il nome, non c’è il marchio, non c’è la storia nè l’identità. E non ci sarà per quattro lunghi anni, quando si materializza un nuovo fallimento dopo stagioni costellate di brutte figure. L’umiliazione di Roccella, la vittoria della Leonfortese al Granillo, i sei gol del Matera, le 13 sconfitte di Agenore Maurizi, le partite fuori sede per i problemi del Granillo, i calciatori che si rifiutano di scendere in campo e convocano la conferenza stampa poi annullata per il bonifico di Gallo. Il resto è storia recente. Il catanese dopo il romano e il lametino, la farsa del business plan e la scelta di Brunetti per il club guidato dal parente del consigliere comunale del suo stesso partito, e con Bandecchi siamo di nuovo a “non vogliamo nuovi Manentidopo otto anni. Così hanno ucciso il calcio a Reggio, in piena coerenza con l’azione di distruzione della città.

Meglio dieci anni di serie D” diceva Brunetti quest’estate.

Qualcuno aveva provato ad aprirvi gli occhi.

Adesso godetevelo tutto questo decennio nei Dilettanti. E’ soltanto appena iniziato…

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