Come farla franca dopo un omicidio: il fallimento della giustizia italiana

Dalla Strage di Erba al Killer della Riviera dei Cedri: quando la giustizia italiana se ne lava le mani come Ponzio Pilato

StrettoWeb

Esiste un film horror, dal titolo “The Purge”, dove una volta all’anno la gente può dare sfogo ai suoi istinti bestiali: mi hai rigato la macchina? Ti ammazzo. Mi hai licenziato? Ti ammazzo. Mi hai rubato la merendina alle elementari? Ti ammazzo. The Purge, ovvero “la purga”, è l’idea geniale che ha partorito un governo capitalista e malato che concede la libertà, nel giorno di Halloween, di fare fuori quelli che ci stanno sulle scatole. Che sia per una multa o perché hai abusato di mia figlia, poco importa: il torto è stato commesso e tu devi pagarne le conseguenze.

Il film, visto sul divano, mette una certa inquietudine; ti trovi lì, con la copertina sulle gambe, che rifletti su quando hai mandato a quel paese il benzinaio sotto casa perché ha chiuso il self-service e hai dovuto pagare la benzina 2 centesimi in più. E pensi: ora questo viene e mi ammazza. Poi però il film finisce, chiudi la TV e vai a dormire. E tiri ovviamente un sospiro di sollievo: meno male che è solo finzione.

Il giorno dopo ti svegli, riaccendi la TV sul telegiornale, e senti di un ex che ha ucciso la fidanzatina perché l’aveva lasciato. Di una madre che si getta dal balcone con la figlia e il cane perché era depressa. Di un serial killer che torna in libertà vigilata e prova ad ammazzare un tipo perché gli gira così. Di una coppia, condannata all’ergastolo per una strage e che ora sono innocenti. E allora pensi alla sera prima, a quando quel film horror tanto film non è perché la purga, in Italia, c’è veramente.

E a concederla, come in quella pellicola di discreto livello, sono il governo e la giustizia italiana che, incuranti, danno pene a casaccio e poi ritrattano. E allora, ancora una volta, pensi: quasi quasi, il benzinaio, lo uccido io prima che lo faccia lui. Tanto, male che va, mi faccio un paio di anni in carcere, servito e riverito alla spese dello Stato, prendo parte ad un progetto di reinserimento dove imparo l’arte del cucito a mano e poi riesco. E poi ancora, se qualcun altro, mi fa incazzare, lo accoppo. E così in loop.

La premessa è ridicola, ma la questione è seria: possibile che si possa essere indagati, processati e condannati e poi, come per magia, tutto svanisce in un colpo? Possibile che la giustizia sia amministrata da Topo Gigio? Eppure, Topo Gigio, il giudice allo Zecchino d’Oro lo sapeva fare e pure bene. Ma andiamo con ordine per capire quell’enorme falla che si è aperta nel sistema giudiziario italiano, sottotitolo “come farla franca con un omicidio” (giusto per rimanere in tema TV).

La strage di Erba, tutto quello che non va

Partiamo dal caso più eclatante, balzato in questi giorni agli onori della cronaca nera: i coniugi Bazzi, i paffutelli Rosa e Olindo condannati all’ergastolo per la Strage di Erba, potrebbero essere innocenti. Tant’è che la Corte d’Appello di Brescia ha deciso per il processo di revisione per il 1 marzo 2024. Dopo 17 anni dall’omicidio plurimo consumato l’11 dicembre 2006 in cui hanno perso la vita Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la nonna Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini a colpi di spranga e coltello, dopo una confessione dei coniugi, dopo un processo e l’ergastolo, le carte vengono ribaltate.

Di certo, non pretendo che a scontare la pena siano delle persone che non hanno commesso il reato ma, lasciatemelo dire, siamo passati dal disprezzare la coppia morbosamente attaccata e che rideva dietro le sbarre, che avrebbe confessato solo per la promessa di avere una cella matrimoniale (?), a due poveri cristi, un po’ limitati (non sono stata io a dirlo ma la perizia psichiatrica) che sono stati costretti a confessare una strage. E allora, io ribatto: potrei anche avere un livello culturale basso, potrei anche essere un operaio “alla buona”, ma col cavolo che confesso e mi faccio l’ergastolo per dormire con mio marito!

Errore giuridico o mediatico?

Che le indagini si siano svolte in modo affrettato, forse per paura di non trovare un colpevole, è assolutamente vero: ma possibile che basti così poco per ribaltare una sentenza d’ergastolo? Il dubbio resta sempre e soltanto uno: la macchina della giustizia italiana è così facilmente suscettibile? Siamo davvero costretti a vivere in un Paese dove il sistema giudiziario è così fallace da prendere una cantonata così grossa o da ripensarci sulla base di informazioni fornite, principalmente, da una televisione? Ma la documentazione, i filmati, le registrazioni, i tabulati, i fascicoli delle perizie e delle testimonianze, qualcuno li ha letti? Domande che resteranno senza risposta, come quelle che riguardano il prossimo caso.

Il Killer della Riviera dei Cedri

C’era una volta, negli anni ’90, un uomo di nome Francesco Passalacqua, definito un po’ strano, che viveva a Scalea, in provincia di Cosenza. Responsabile di qualche furtarello e qualche rissa, Passalacqua è passato alla storia come il serial killer della Riviera dei Cedri dove, tra 1992 e il 1997 ha commesso 4 omicidi. Il primo, ai danni dell’autotrasportatore Mario Montaspro, a cui ha fracassato la testa con il blocco di cemento che serve per piantare gli ombrelloni.

Nel ’97 si trasferisce quindi nel paesino di Verbicaro; la gente lo pensa musone e antisociale, ma Passalacqua è ben altro: è un omicida seriale che prima soffoca il pastore Salvatore Belmonte, gli sottrae la pistola e ammazza prima Francesco Picarelli, un altro pastore, e infine il pensionato Vito Resia. Per farla breve, il serial killer viene catturato, viene definito sempre un po’ strano ma capace di intere e volere, e viene condannato a una pena di 24 anni più un ergastolo, che diventa definitiva nel 2001.

Licenza di uccidere: il James Bond calabrese

Fin qui tutto bene, Passalacqua ha ucciso e deve pagare, ma il serial killer è solo un po’ strano, tutto sommato è una brava persona. In carcere si comporta bene, quindi sai che facciamo? Gli diamo la semilibertà vigilata, lo infiliamo in una canonica in Emilia Romagna e ci facciamo il segno della croce, sperando che si trova un hobby. Passalacqua, ovviamente, l’hobby ce l’ha già ed è quello di uccidere: manco il tempo di mettere piede in comunità che esce e prova ad ammazzare a coltellate un agricoltore 65enne.

Ci sarebbe tanto da dire su questa vicenda, ma sorge spontaneo solo un timido “perché?”. Inserito nella lista dei serial killer più pericolosi dal XIX secolo ad oggi, dopo l’omicidio di 4 persone commessi con brutalità e coscienza, la legge lo ha spedito in comunità che manco quelli di San Patrignano hanno tutta sta libertà di uscire. Invece Passalacqua non solo è uscito, ma aveva anche un coltello.

Com’è possibile che un elemento così pericoloso, alla maniera del Mostro di Firenze, possa uscire da un carcere quando le sbarre della cella dovrebbero essere l’unica cosa visibile ai suoi occhi per il resto della vita? Nessuno controllava l’omicida? Qualcuno ha effettuato una perquisizione? Passalacqua è scappato e nessuno se n’è accorto?

Anche in questo caso, gli interrogativi sono tanti e, purtroppo, non trovano risposta, almeno non da parte mia. Ma io scrivo su un giornale, non faccio il magistrato, non sono giudice e non scrivo le leggi: mi chiedo solo, arrivati a questo punto, se questi fasulli amministratori di giustizia, ogni tanto, guardino il loro riflesso allo specchio e, sommessamente, dicano a se stessi: “stavolta mi sa che abbiamo fatta ‘na cazzata”.

Condividi