Quando lessi che era stata invitata Paola Cortellesi a tenere il discorso per inaugurare l’anno accademico della Luiss la prima cosa che mi chiesi era se in questo paese la penuria di intellettuali seri fosse davvero così drammatica da doversi rivolgere a un’attrice per questo compito. E infatti continuo a non arrendermi e a voler pensare che, al di là di quelli che schiamazzano dietro le telecamere, continua ad esserci in questo paese un mondo intellettuale che silenziosamente e dignitosamente porta avanti un messaggio culturale serio e responsabile e che si poteva cercare lì prima di affidare il microfono a una ex cabarettista.
E lei infatti nell’aula magna del prestigioso ateneo ha parlato di Biancaneve che faceva la colf ai sette nani, e quando lo ho saputo ho pensato che avesse tenuto, lei che si era creata una fama nel mondo artistico come comica prima di volerla nobilitare toccando i temi sensibili della retorica sempreverde del dopoguerra e del political correct dell’applauso dovuto, a uno sketch, senza pensare al dove si trovasse in quel momento. E la cosa mi aveva fatto sorridere, ma fino a un certo punto: che i comici si mettano a disquisire negli atenei non è che sia il massimo, e non perché non ami questa nobilissima arte, che anzi adoro profondamente, ma perché credo che ogni cosa debba stare al suo posto, e credo che le aule universitarie non siano fatte per gli sketch, ma ormai mi sono rassegnato al fatto che anche queste sono state investite e travolte dalla decadenza dei nostri tempi.
Aule ridotte a platee da avanspettacolo
In un’epoca in cui le lauree si prendono schiacciando tasti dietro un computer o si regalano alla star mediatica di turno perché magari scrive belle canzoni anche se poi è un semianalfabeta, ci sta anche bene che le aule siano ridotte a platee da avanspettacolo, bastava solo aspettare. Sennonché poi mi è stato detto che la Cortellesi era seria, e che in quella conferenza credeva davvero di tenere una lectio magistralis: una via di mezzo tra una lezione di sociologia culturale e di psicologia archetipa, tra Jung e Bettelheim. E forse allora sarebbe stato meglio vedere davvero tutto come uno sketch. Ma in fondo ce lo meritiamo: quando si invitano a parlare persone di incerta cultura il cui unico titolo, come avrebbe detto Guy Debord, è essere famosi, non ci si può aspettare nulla di meglio che un susseguirsi di sciocchezze. Subito sui giornali intellettuali e giornalisti si sono messi a ridacchiare e a spiegare indignati come in realtà quella fiaba, anche ad analizzarla dietro le categorie del femminismo, mostra come a perderci semmai sono i maschi, e l’illustre attrice per difendere le sue idee preconfezionate poteva anche sforzarsi di cercare un esempio migliore.
S’è spiegato, ad esempio, che tra Biancaneve che pulisce casa e i nani condannati al lavoro in miniera forse è andata meglio alla prima (e forse se si analizzasse più in profondità il tipo di società dove è nato il cosiddetto “maschilismo”magari le femministe avrebbero meno da mugugnare). E comunque Biancaneve fuggiva dalla matrigna, altro che patriarcato, ed è stata semmai salvata proprio da un maschio. Ed infine finisce di fare la casalinga e va a fare la bella vita con un uomo facoltoso, sempre che poi non si voglia anche pensare di denunciare il principe che la bacia senza neanche il suo consenso come un possibile stupratore (ma, poveri noi, è stato proposto anche questo).
Provocazioni stupide
Mi stupisco di come persone colte e intelligenti possano perdere tempo a rispondere a provocazioni così stupide. Anche nella diversità delle opinioni le imbecillità di solito sono lasciate a se stesse senza neanche perder tempo a rispondere: se si dovesse analizzare e rispondere ogni fesseria che si sente, al di là del pulpito da cui viene detta, gli intellettuali non avrebbero tempo neanche di mangiare e di dormire, e soprattutto di pensare alle cose serie. Se non accadesse, appunto, che le cretinate, lasciate a se stesse, hanno un enorme potere fertilizzante. In realtà, inquadrando il fenomeno in maniera più generale, quello di Paola Cortellesi è solo l’ultimo rigurgito di quell’ondata emotiva sostenuta da una comunicazione di massa sregolata in cui un episodio di cronaca, certamente odioso e ripugnante, sarebbe stato causato da una società patriarcale e finanche da una violenza insita nel maschio in maniera genetica che la usa contro la donna. E questa ubriacatura collettiva, sostenuta da una stampa oziosa e irresponsabile, ha riempito talmente le teste di alcune star da platea che hanno lanciato messaggi del tipo “sono uomo quindi colpevole” “chiedo scusa di essere uomo” e imbecillità simili.
Società malata dove la famiglia si è dissolta
In realtà noi dubitiamo fortemente dell’esistenza, parlando in generale, dell’esistenza nell’Occidente attuale di una società patriarcale, ma crediamo anzi che quella occidentale sia proprio una forma ormai consolidata della società descritta ormai cinquant’anni fa da Deleuze e Guattari: una società malata dove la famiglia si è dissolta e ne è subentrato un individualismo sfrenato che vuol vedere davanti solo diritti e si infastidisce di fronte ai doveri, di genitori senza autorità e di egoismi che hanno trasformato l’individuo in una “macchina desiderante”. E semmai è proprio questa incapacità di sapere vedere i propri limiti in una dimensione etica a scatenare la violenza. Ma ormai l’Occidente è in preda a una corrente autolesionista che lo ha afferrato e lo sta corrodendo e svuotando in tutti i suoi gangli, ma non si ferma perché percorre questa strada distruttiva con la gioia masochista di chi si bea del proprio decadimento. Ed è impegnato nel progetto grandioso di ridisegnarsi secondo categorie vuote e antistoriche che lo faranno crollare.
Da un cabaret a un’aula universitaria dicendo sempre le stesse sciocchezze
Paola Cortellesi, che segue la corrente, ha fatto il suo monologo dietro il microfono come da sempre era abituata a fare: l’unica differenza è che era cambiato lo sfondo e l’uditorio. Da un cabaret a un’aula universitaria dicendo sempre le stesse sciocchezze. Una differenza che ha trasformato quelle parole da comiche in tragiche non per il loro significato ma proprio perché indicano il modo in cui si sta spegnendo l’Occidente, che pretende di essere preso sul serio solo perché racconta facezie con la faccia compassata.