Mister Eriksson non molla: “non siamo ancora arrivati ai 90 minuti”

Le Iene ci fanno commuovere: Svennis continua a giocare la partita più importante, quella della vita oltre la malattia. E c'è anche un profondo legame con la Reggina...

StrettoWeb

Una rivelazione che, forse, nessuno si aspettava: Sven-Göran Eriksson, ex stella del calcio svedese, ha da poco dichiarato di avere un tumore al pancreas. Una diagnosi difficile da affrontare, soprattutto se il cancro è stato dichiarato inoperabile e le aspettative di vita sono, nella migliore delle ipotesi, di un anno. Svennis, dopo la dichiarazione shock, non ha comunque smesso di vivere: nonostante la “sentenza di morte” è riuscito comunque a rimboccarsi le maniche e, da mister qual è, non si è dato ancora per vinto.

L’ex allenatore di Roma e Lazio, oltre che CT della nazionale inglese, è stato raggiunto in Svezia dalla iena Nicolò De Devitiis che ha trascorso una giornata insieme a lui. Amico de Le Iene dal lontano 1998, dove l’inviato Peppe Quintale lo sfidava con riti propiziatori durante le partite della Lazio, Svennis ha alle spalle una carriera calcistica di tutto rispetto: è l’unico allenatore, infatti, ad avere conquistato il double, ovvero l’accoppiata scudetto-coppa nazionale nello stesso anno in tre paesi diversi, Svezia, Portogallo e Italia. Tra le sue imprese più leggendarie, ricordiamo la conquista dello scudetto della Lazio nel 2000 contro la Reggina, vinto dopo aver superato la Juve nell’ultima giornata di campionato.

Ma Eriksson è soprattutto un campione fuori dal campo: pacato, col sorriso sulle labbra, accoglie l’inviato delle Iene nella sua villa immersa nel magico panorama ghiacciato della Svezia. Tutto, intorno a lui, parla della sua più grande passione, il calcio: ha ricordi disseminati per casa, decine di foto abbelliscono le pareti e la scrivania del suo studio. Un posto speciale è riservato a delle scarpette da calcio nare, quelle con cui ha calciato il suo primo pallone da piccolo.

Dopo una sbirciatina nella sua cabina armadio, tra cimeli sportivi e casacche di campioni, i due si dirigono in cucina dove, per far sentire il calore dell’Italia nei confronti di Svennis, De Viitis decide di preparargli una bella carbonara. E mentre la Iena cerca di prenderlo per la gola, l’allenatore comincia ad aprirsi: dopo una battuta sulla Roma – “Mourinho non ha bisogno dei miei consigli” – e dopo aver ricordato i suoi 7 titoli con la Lazio, il mister confessa che è ormai da un anno, da quando ha scoperto di avere il tumore, che ha dovuto appendere gli scarpini (e la sua maestria) al chiodo.

“Non posso più farlo” – confessa – “devo fare controlli ogni due settimane ma per ora va tutto bene, non è peggiorato”. Il ricordo va quindi a Gianluca Vialli, che soffriva dello stesso male, ma Eriksson non è lì per compatirsi e si fa solo scappare un “grande” per celebrarlo. Durante la preparazione della carbonara, svela il segreto del suo successo e dei calciatori, ora allenatori di fama mondiale, che ha seguito: “mostrare rispetto, trattare la gente bene e creare un gruppo forte”. Il trucco sta tutto qui, nella relazione e nel capire gli altri: e solo un uomo straordinario come Svennis, dall’animo gentile e dalla forza di un leone, può calarsi in questo ruolo, vincendo ancora una volta.

La carbonara è bella che servita e il discorso, ovviamente, torna sempre al calcio celando, però, una lezione di vita: “preferisco allenare, non ero tanto forte come giocatore” sottolineando l’umiltà del vero campione. Un’umiltà impressa anche nella differenza tra il calcio di ieri e quello di oggi: “ora il calcio è migliore, è più forte”, dice Erikkson, ma commenta la scelta di Mancini di lasciare la nazionale con “i soldi parlano”. Lui, però, i suoi ideali, li segue ancora: sono gli stessi che, per oltre 40 anni ha applicato in campo ed ora nella vita, soprattutto dopo la diagnosi.

“Sono svenuto in cucina, ho fatto dei controlli e ho scoperto di avere un tumore che dal pancreas si è spostato verso altri organi. Non si può curare “– afferma Svennis – ma non voglio neanche diventare matto”. Il mister ha, infatti, deciso di giocare questa partita, la più importante, con lo spirito di chi ha ancora tanto da dare: “io non penso tanto al mio tumore, io voglio continuare a vivere ma non nella miseria mentale. La vita fuori è bella“.

Un uomo di altri tempi, deciso a giocare tutti quei 90 minuti e, se possibile, anche i supplementari e fino ad arrivare ai rigori. E una forza così, un uomo che ha fatto la storia del calcio, non può che essere travolto da messaggi di affetto e solidarietà. De Vitiis gli piazza davanti un pc dove scorrono piccoli spezzoni di tifosi laziali che lo ringraziano, gli fanno gli auguri, lo spronano a non mollare.

Erikkson è visibilmente commosso, gli occhi azzurri diventano lucidi soprattutto quando, dai cori della curva si passa ai suoi piccoli studenti, le stelle del calcio italiano e internazionale che hanno militato nella “sua” Lazio: Mancini, Vieri, Sensini, Nedved, Nesta, Stankovic, Conceicao, e tanti altri che con poche parole, ma incredibile affetto, hanno saputo far arrivare il loro caloroso in bocca al lupo fino alla gelida Svezia, scaldando il cuore del mister. L’abbraccio del mondo intero che si racchiude in quello sincero di De Vitiis che lo intima, come tutti, a non mollare mai.

Particolarmente toccante è l’augurio di Simone Inzaghi, altro storico allenatore della Lazio, che esordisce con un aneddoto: “quel giorno nel rigore calciato a cucchiaio contro la Reggina ti abbiamo fatto arrabbiare tanto mister”. Un mezzo sorriso per ricordare lo “scavetto” di Inzaghi, la rabbia di Mancini, allora vice, e il povero Eriksson che l’ha dovuto mettere a posto. Ma tutto è finito lì e, insieme, il 14 maggio 2000, hanno potuto celebrare la conquista dello scudetto battendo proprio la squadra calabrese per 3 -0.

Sulla sfondo, oltre alla voce fuoricampo di De Vitiis, le immagini di quella vittoria di campionato, dove le bandiere biancocelesti e quelle amaranto si sovrastano in un tripudio di fumogeni e cori da stadio. Un’immagine bellissima, nonostante la Reggina abbia perso, perché ricorda quanto, negli anni, il team calabrese ha dato, pur non esistendo più oggi, e quanto è stata amata e riconosciuta a livello nazionale e mondiale. E, poi, c’è da dirlo, per quanto calabresi sconfitti, siamo comunque orgogliosi che la maglia amaranto sia legata ai ricordi di Mister Sven, l’uomo perbene del calcio.

E come tutti i suoi allievi, come tutti i tifosi di Lazio e del calcio in generale, come tutti i semplici appassionati che si sono ritrovati a guardare una partita alla TV, non possiamo altro che unirci al coro più bello di sempre, quello della solidarietà nei confronti di Svennis. Forza Mister, non mollare: i 90 minuti non sono ancora finiti!

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