Un ricordo dello stimato cardiologo reggino Franco Romeo

Mi passò per la mente di coinvolgerlo direttamente nella Giunta regionale del tempo come assessore alla sanità, successivamente lo nominai consulente

StrettoWeb

Una settimana fa moriva Franco Romeo, un cardiologo interventista di fama internazionale e un amico vero, capace di slanci generosi. L’avevo conosciuto quando già svolgevo da qualche anno il ruolo di presidente della Calabria. Il rapporto divenne immediatamente intenso. Sapevo che era un grande medico e anche un grande organizzatore sanitario. Le due cose non sempre collimano. Lì per lì, dopo i primi approcci, mi passò per la mente di coinvolgerlo direttamente nell’esecutivo del tempo come assessore alla sanità. La fama di grande medico che gli aleggiava intorno, psicologicamente mi bloccava. L’idea di sottrarlo, costringendolo a un lavoro eminentemente politico, ai tanti pazienti che salvava con le sue valvole magiche, mi poneva un problema di coscienza. Insieme alla giunta decidemmo alla fine di nominarlo consulente sanitario.

Il cardiologo Romeo preparò il piano di emergenza – urgenza della Calabria

Franco Romeo preparò il piano di emergenza – urgenza che in un territorio con il 90% di collina e montagna non risulta un’operazione semplice. Lui vi si appassionò e confezionò un modello di cui andava fiero. Una volta alla Camera dei deputati, dove ci trovammo insieme in un convegno organizzato da Piera Amendola per ricordare Tina Anselmi, raccontò a tale proposito un episodio significativo. Al presidente di una grande regione che gli chiedeva un parere sulla stesura del proprio piano regionale, lui rispose con nonchalance: “Anche se le due regioni hanno un disegno orografico diverso le consiglio, per le grandi linee, di copiare quello calabrese”. Probabilmente suscitò stupore e, forse, scandalo. Entrambi formalmente repressi. Faccio qui una digressione. Quando una decina di anni dopo la mia esperienza politica, la compianta Iole Santelli diventò presidente di centrodestra della regione, mi volle incontrare, insieme ad un bravo assessore della sua giunta, per pregarmi di far da tramite con Franco Romeo nella speranza di convincerlo a svolgere anche con lei quel ruolo delicato al servizio della regione. Franco accettò senza farsi pregare.

Era legato alla Calabria

Il personaggio apparteneva a quel nucleo di giovani che, dopo il liceo, si era trasferito dal suo luogo di nascita per frequentare l’università che in passato non esisteva in Calabria. Questa categoria di calabresi rappresenta un esercito in parte ormai in pensione. Roma in particolare ma anche Milano, Torino e tante altre città pullulano di questi calabresi illustri. Guidati da un istinto felino che nel povero diventa non solo strumento di sopravvivenza ma anche una forma sussidiaria di talento, quei giovani sono partiti talvolta per non più tornare. Per una beffa del destino hanno finito per arricchire con il loro talento il territorio d’adozione e a impoverire quello di provenienza. Gli stereotipi che spesso soffiano sui calabresi hanno talvolta finito per aduggiare il sentimento del ritorno. Un fenomeno che non era riuscito a lambire Franco. Il quale ha sempre conservato un legame invincibile con la sua Calabria.

Vi tornava durante l’anno sempre per impegni professionali che provava un sottile piacere a svolgere dov’era nato. Ritornava in questi casi prepotente nella sua mente quel concetto del debito e insieme del risarcimento nei confronti di un territorio che aveva abbandonato in anni lontani. Inutile aggiungere che poi d’estate, in Calabria, si stabiliva per un mese intero. Qualche volta lo chiamavano da Roma per un intervento urgente ma la sera era di ritorno. Faceva i bagni a Scilla ad un tiro di schioppo dal paesino dov’era nato, Fiumara di Muro, che domina con i suoi tramonti rosati lo Stretto di Messina.

Professione d’avanguardia

Franco Romeo aveva scelto una professione d’avanguardia, che aveva a che fare con il cuore, non solo con quell’organo complesso mitizzato all’inizio degli anni ’70 dal cardiochirurgo Barnard, ma anche per tutto quello che il cuore, come sede simbolica della fede e della vita, riesce romanticamente ad evocare. Aveva raggiunto modelli non comuni d’eccellenza. Severo, nel solco della scuola d’un tempo, con i suoi allievi, era dolcissimo con i pazienti, attento a non turbarne psicologicamente gli equilibri. Quei rudimenti del cristianesimo appresi nella chiesa del suo paese e continuati in quella scuola di vita che era l’azione cattolica avevano dilatato nella sua psicologia un’immedesimazione profonda nella sofferenza del prossimo.

Era famoso e stimato dai suoi colleghi in tutto il mondo. Voglio in chiusura ricordare il giudizio di un suo collega tal fine illuminante. Qualche anno fa, in qualità di presidente della società italiana di cardiologia m’invitò a essere presente ad un convegno internazionale che si teneva alla Nuvola di Roma. Fra i tanti discorsi mi colpì uno pronunciato da un professore del ramo venuto dall’Australia che, cito a memoria, affermò: “ Ho inteso prendere parte a questo simposio per il quale ho fatto un viaggio che per la  sola andata dura 24 ore, non so se attratto in misura maggiore dalle qualità professionali o da quelle umane di Franco Romeo o forse in egual misura da entrambe. Ero seduto accanto a Fabrizio Criscuolo, anche lui di origine calabrese e amico di Franco. Ci siamo subito girati a guardarci in viso, le gote erano all’improvviso diventate rosse come capita quando il nostro corpo è attraversato da un incontenibile fiotto di orgoglio.

Condividi