Tony Catanoso, l’Indiana Pipps di Reggio Calabria volato nel porto di Tremestieri: 82 anni di storia incredibile | INTERVISTA

Intervista a Tony Catanoso, l'uomo di 82 anni che ieri è precipitato con il suo furgone nel fondale del porto di Tremestieri salvandosi magistralmente. E' di Reggio Calabria, nipote di San Gaetano Catanoso, e nella vita è scampato alla rivoluzione khomeinista, ha evitato una strage per il crollo del Castello Aragonese di Reggio e ha costruito Disneyland Paris

StrettoWeb

Quando arriva nella redazione di StrettoWeb ha un taglio pronunciato sulla testa: “questo se lo è fatto ieri a Tremestieri, immagino”. “Neanche per scherzo – risponde sincero – ho sbattuto ieri sera non appena sono arrivato a casa del mio amico Saverio“. Saverio è l’ing. Spinelli, 73 anni, imprenditore poliedrico ed editore di StrettoWeb, e queste parole sono di Tony Catanoso, 82 anni, l’Indiana Pipps di Reggio Calabria. Ieri mattina Tony è precipitato con il suo furgone nel fondale del porto di Tremestieri, a Messina, e ha rischiato di morire nel modo più incredibile dopo una vita in cui è scampato alla rivoluzione khomeinista dell’Iran, ad un incidente stradale salvato da un ragazzino afghano e persino al crollo del Castello Aragonese di Reggio Calabria.

Certo non si può dire che ho avuto una vita piatta, ma tra le mie tante avventure quella di ieri è stata la più eclatante, perchè è stato tutto così veloce, tutto così particolare” confida Tony ai microfoni di StrettoWeb. Per non farsi mancare nulla, è anche il nipote di San Gaetano Catanoso. E ha costruito Disneyland Paris. Oggi trasporta carri armati e armi ad altissima tecnologia. Ma andiamo con ordine e partiamo dall’incidente di ieri mattina a Tremestieri, l’avventura “più eclatante” dell’Indiana Pipps reggino.

Erano le 06:30 e in riva allo Stretto era ancora buio pesto quando Tony Catanoso arriva agli imbarchi di Tremestieri dopo aver lavorato tutta la notte per i suoi trasporti speciali al porto di Augusta. Deve raggiungere Reggio Calabria, la sua città, e quindi sale sul traghetto. O almeno ci prova: abbassa il finestrino (particolare da ricordare bene nel prosieguo del racconto) e mostra il biglietto ai marittimi, che però lo bloccano: “deve tornare alla biglietteria per obliterarlo“. “Ok, e dov’è la biglietteria?”. “Lì, guardi: vada indietro e poi sempre dritto“. Tony va indietro e poi sempre dritto, a tutta velocità. Ma accanto alla strada per la biglietteria, attaccato e parallelo, c’è lo scivolo numero 1 del porto di Tremestieri che non è in sicurezza: non è bloccato, non è isolato, non è segnalato. Così Tony vola in mare dentro il suo furgone lanciato a tutta velocità verso quella che pensa essere la biglietteria, così veloce che dopo il decollo dallo scivolo compie un salto di almeno dieci metri dal pontile di attracco dei traghetti fino al mare.

In quel momento sul molo si scatena il panico, ma Tony nonostante i suoi 82 anni riesce a mantenere il sangue freddo: aspetta che l’acqua entri dentro la macchina, inizia a nuotare sgusciando via dal finestrino e si mette in salvo. Immediatamente allertate, le autorità giungono rapidamente sul posto e Tony viene visitato dai soccorritori del 118: sta bene, è totalmente illeso e non c’è bisogno neanche di portarlo in Ospedale. Certo, che peccato per il furgone: aveva oltre 1.140.000 chilometri, “tutti percorsi con me a bordo” dice Tony con lo spirito di oggi. Ma ieri se l’è vista davvero brutta. Il mezzo è stato poi recuperato con l’intervento dei Vigili del Fuoco, evidenziando una implosione del parabrezza, segno della forte pressione esercitata dall’acqua; circostanza che fa comprendere meglio quanto sia stata determinante la prontezza di riflessi del guidatore nel decidere di fuggire dal finestrino, perché nessuna forza umana avrebbe mai potuto consentire l’apertura dello sportello.

La Capitaneria ha avviato un’inchiesta per determinare le cause esatte dell’incidente e valutare eventuali responsabilità rispetto alla mancanza di segnali e barriere di sicurezza. Oggi Tony racconta quei momenti con grande dovizia di particolari.

Messina, l'intervento dei sommozzatori sul furgone precipitato nel porto di Tremestieri

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Cos’è successo precisamente in quel momento?

Non appena mi sono reso conto che ero in acqua e che il mezzo stava affondando, ho visto che il finestrino era aperto e in quel finestrino aperto ho intravisto una via d’uscita. Mentre il furgone affondava a un metro e mezzo di profondità ho preso la decisione: o esco, o muoio. Siccome il mio senso di sopravvivere era abbastanza forte, ho deciso di sopravvivere. Mi sono buttato nuotando attraverso il finestrino e sono andato su a galla. Dopodiché mi sono avviato verso il pontile a nuoto, con persone che mi stimolavano ad andare verso di loro. Mi hanno afferrato per tirarmi sulla terraferma, tra l’altro creandomi più problemi che altro perchè mi stavano spezzando un braccio (ride ndr), tanta era la voglia di sollevarmi e di prendermi. Mi hanno preso sù, mi hanno spogliato come un verme, mi sono ritrovato con due stufe attaccate e con indumenti che non so di chi fossero e in quel momento ho realizzato che ero salvo. Vorrei ringraziare in modo molto sentito tutto il personale del porto, la Guardia Costiera, i Carabinieri, i soccorritori del 118: con me sono stati tutti davvero eccezionali, si sono attivati nel migliore dei modi“.

Cosa le hanno detto dopo l’incidente?

Intanto mi hanno fatto i complimenti perchè sono riuscito a salvarmi da solo; poi un responsabile del porto mi ha detto che ho fatto un casino e che per loro è stato un bene perchè finalmente adesso dopo la mia esperienza metteranno in sicurezza quello scivolo. Non c’erano né barriere né persone per avvisare della presenza dello scivolo, non era affatto in sicurezza“.

Ma come ha fatto a mettersi in salvo in quel momento? Pochi giorni fa sul lago di Como in una circostanza analoga sono morti due ragazzi giovanissimi…

Ho avuto la circostanza fortunata che il finestrino fosse tutto abbassato da prima del tuffo. Quando poi hanno tirato su il furgone fuori dal mare, il finestrino era chiuso perchè con il contatto dell’acqua nei circuiti elettrici della macchina, il finestrino si era chiuso. Se avessi atteso soltanto pochi istanti di più, sarei rimasto intrappolato dentro e senza nulla da poter fare. Lo sportello non si poteva aprire in alcun caso per la pressione dell’acqua proveniente da fuori: anche soltanto provare ad aprirlo sarebbe stato uno spreco di tempo e di forze. In quei casi è una delle cose peggiori da fare. L’unica cosa da fare in questi casi è quella di cercare di abbassare il finestrino, far entrare l’acqua per compensare lo squilibrio dovuto alla pressione, e poi una volta che il veicolo si riempie di acqua dentro, uscire nuotando. Il consiglio che posso dare a chiunque dovesse trovarsi in questa situazione, è di non farsi prendere dal panico. Io sono riuscito a rimanere calmo, il problema di queste situazioni è quello di non riuscire a controllarsi. Per salvarsi da condizioni così estreme serve concentrazione, e usare alcune accortezze: sganciare subito la cintura, abbassare il finestrino e uscire da lì una volta che l’acqua riempie il mezzo e lo consente“.

Ma quella di Tony Catanoso è una storia eccezionale a prescindere dall’incidente di ieri. Lui è nato a Reggio Calabria, dove ha studiato ed è diventato geometra. Poi si è iscritto all’Università di Messina ma è troppo attratto dal mondo del lavoro per completare gli studi e a 22 anni parte per Trento, dove lavora in un’azienda che lanciava razzi con il nitrato d’argento per stimolare la pioggia in caso di siccità. Proprio a Trento si sposa giovanissimo, poi si trasferisce a Torino dove lavora nel settore edile. Intanto a Reggio Calabria ha lasciato la famiglia: lo zio diretto della mamma era proprio San Gaetano Catanoso.

Sì, sono il pronipote del Santo. L’ho conosciuto, andavo a trovarlo spesso in quella piccola… capanna, così possiamo definirla, dove stava allora lì dove oggi sorge il Santuario. Ci sono tanti aneddoti su mio zio: ad esempio quando è morto il fratello, in modo improvviso colpito da un infarto, c’era la madre superiora che non sapeva come dirglielo. Non appena entra nella sua stanza per dirglielo, è lui ad anticiparla. ‘Lo so, lo so, mio fratello ci ha lasciati’. Una volta mentre costruivano il santuario, una notte sono entrati nel cantiere e hanno rubato tutto il ferro: non avrebbero più potuto costruirlo. Lui disse ‘evidentemente qualcuno aveva più bisogno di noi’. Il pomeriggio successivo si presentarono due giovani e portarono tutti i soldi del valore del ferro rubato. Quando io andavo a trovarlo, lui mi diceva che dovevo aiutarlo economicamente per gli orfani, per i poveri che accudiva. Era una persona così lui“.

Ma torniamo alla vita di Tony Catanoso: dopo Torino, a meno di 30 anni va in Algeria come direttore di alcuni importanti cantieri edili. Da lì si sposta in Iran, dove si trasferisce con tutta la famiglia e rimane a lungo tanto che vive tutto il periodo della rivoluzione khomeinista.

Di quel periodo ho ricordi fantastici, molto emozionanti. I rivoluzionari mi fermavano per strada e mi chiedevano se ero americano: volevano ammazzarli tutti. Io gli dicevo che ero italiano e mi lasciavano andare: amavano gli italiani, noi eravamo stati i primi ad accorrere ad aiutarli quando c’era stato il terremoto a Tabas, nel 1978. Fu una scossa di magnitudo 7.8, le cronache parlano di 25 mila morti. Nel nostro campo venne personalmente Farah Diba, la moglie dello Scià di Persia Reza Pahlavi, per ringraziarci pubblicamente. Questo incontro venne pubblicizzato da tutti i media e da quel momento tutti gli iraniani iniziarono ad amare noi italiani. In quella fase ho anche salvato un pilota americano: l’ho ospitato in casa, l’ho nascosto per una settimana. Lui che era stato pilota in Corea, era terrorizzato: i rivoluzionari volevano uccidere tutti gli americani e gli inglesi“.

E agli italiani non hanno mai fatto nulla?

Verso la fine della rivoluzione nel 1979 un giorno hanno iniziato a lanciare pietre contro casa nostra, allora ho deciso di mettere tutta la famiglia sul fuoristrada e portarli all’aeroporto di Teheran. Era un’avventura: c’era mia moglie, c’erano i miei due figli, c’era persino mia suocera perchè da direttore dei cantieri avevo il privilegio di poter portare la famiglia sempre con me. Ho raggiunto l’aeroporto passando dalla città sacra di Qom, con il pericolo che ci fermassero. Per fortuna sono arrivato all’Aeroporto, dove c’erano centinaia di persone che bivaccavano in attesa di un aereo che li portasse via. Erano tutti terrorizzati: non c’erano più voli, non c’erano compagnie né nulla. Si aspettava un volo italiano, l’unico che avrebbe potuto atterrare in Iran in quei giorni, per riportare tutti a Roma (fossero italiani o stranieri). In Iran c’era solo terrore, ma io ho fatto partire tutta la famiglia e sono rimasto: stavamo costruendo una pista per gli F16 americani e non potevo lasciare il lavoro a metà“.

Tony rimane a lungo in Medio Oriente. “Nel 1982 in Iraq abbiamo costruito un impianto che sembrava di fertilizzanti invece era di armi chimiche; poi non dimenticherò mai un episodio in Iran quando sono stato abbagliato dal sole mentre facevo una salita con il fuoristrada e sono uscito di strada con due ruote rimanendo in bilico sulla vallata. Dal nulla è spuntato un ragazzo afghano che mi ha iniziato a gridare ‘Sandr, Sandr’ che in afghano significa pietra. Questo ragazzino ha aperto lo sportello, ha riequilibrato il fuoristrada con pietre e massi, mi ha fatto uscire e poi piano piano abbiamo recuperato il mezzo. Mi ha salvato la vita: io l’ho portato al campo e l’ho fatto assumere. Da quel momento quel ragazzo mi è stato sempre fedele, ha avuto una vicinanza immensa a me e a tutta la mia famiglia, lo ricordo con il cuore. E’ stato accanto a me, a mia moglie e ai miei due figli: mi ha seguito dappertutto nel mio lavoro finchè non c’è stata l’invasione russa ed è dovuto partire per la guerra. Mentre andava via, per chilometri e chilometri camminando nel deserto si girava e mi salutava. Non lo dimenticherò mai. Non so che fine abbia fatto, potrebbe essere morto nella guerra“.

Dopo queste esperienze, Tony si sposta negli Emirati Arabi quando Dubai era una città ancora sconosciuta. “Quello era un mondo fantastico: i miei figli hanno studiato lì, hanno fatto le scuole da padre Eusebio, un missionario di cui ho una stima immensa. Dubai in quegli anni era una città a misura d’uomo, con i suoi vecchi souk, con gli abitanti che erano pescatori umani, portavano tonnellate di pesce sulla banchisa e quasi te lo regalavano. Poi sono arrivati gli europei e hanno approfittato della straordinaria gentilezza e bontà di quelle popolazioni arabe: la sera prima di partire per l’Europa, andavano a fare scorte di oro rifornendosi nelle gioiellerie dei souk dando assegni a vuoto consapevoli che poi sarebbero scomparsi. Questa è stata la nostra civiltà. Loro invece venivano, ti offrivano i tappeti, te li lasciavano per mesi e poi tornavano: se li volevi li compravi, altrimenti se li riprendevano con il sorriso“.

A metà degli anni ’80 Tony decide di tornare a Reggio e anche qui, per non farsi mancare nulla, diventa protagonista di una delle pagine più clamorose della storia della città. Tony Catanoso, infatti, era il direttore del cantiere del restauro del Castello Aragonese, ed è merito suo se nel drammatico crollo del 7 maggio 1986 non ci fu neanche un morto.

Avevo intuito da tempo quello che sarebbe successo e infatti lo dissi subito all’ing. Graniti, che coordinava i lavori progettati da due famosi architetti romani. Appena l’escavatore ha fatto una presa di sabbia, il primo giorno di lavori, io chiamai l’ing. Graniti e gli dissi che lì sarebbe crollato tutto. Lui mi ha risposto testualmente: ‘geometra, guardi che il progetto l’hanno fatto due famosi architetti’. E io gli dissi: ‘sì, lo so bene, ma qui cadrà tutto lo stesso’. Lui mi disse che si assumeva tutta la responsabilità e che avrei dovuto procedere con i lavori, e io ho eseguito l’ordine. Stavamo completando le sottomurazioni, e per precauzione avevo messo dei puntelli per vedere come reagiva il muro: le ho detto che ero già certo di come sarebbe andata a finire… Ho iniziato a sentire scricchiolii, ho visto le prime briciole di calce che cadevano e ho capito che il crollo era imminente. Mi sono preoccupato, ho ribadito che stava per cadere tutto. Avevo 13 operai sotto il muro: ho dato ordine di evacuazione immediata alle 10:50. Alle 11:05 è crollato il Castello con conseguenze incredibili: tutta Reggio si è riversata in strada convinta fosse un forte terremoto. Il Castello è crollato sul cantiere, ma non ci sono stati morti né feriti perchè io avevo evacuato tutti. L’ing. Graniti è stato onestissimo: ha detto ai Carabinieri che il geometra Catanoso lo aveva avvertito ma lui aveva voluto proseguire, così io non sono stato neanche inquisito mentre lui e i progettisti romani hanno passato i guai“.

Dopo quest’esperienza nella sua città, Tony parte di nuovo: una breve sosta a Milano dove si separa con la moglie Loredana che fino a quel momento l’aveva seguito ovunque e con cui è tuttora in ottimi rapporti, e poi va a Parigi dove dirige il cantiere dei lavori di Disneyland dal 1988 al 1992: “quello che ho imparato lì lavorando con gli americani è stato davvero eccezionale. Altro che lavori all’italiana…“.

Oggi Tony lavora per i trasporti eccezionali: collabora con un’azienda che gestisce i trasporti più complicati, specializzata nella mobilità di questi mezzi speciali da e verso i porti. Di solito trasporta carri armati, cannoni e altri prodotti sensibili. I suoi figli, Andrea e Laura, hanno avuto il suo impatto cosmopolita: Andrea ha studiato a Dubai, poi si è stabilizzato in Francia prima di andare a Bangkok in Thailandia, poi in Australia e adesso insegna all’Università in Svizzera. Una volta sua mamma è andato a trovarlo a Bangkok ma lui proprio in quei giorni ha trovato un posto di lavoro in Spagna, allora è partito mentre la madre decideva di fermarsi altri sei mesi in Thailandia. La figlia Laura oggi vive in Spagna, ma da giovane si era trasferita in Cile per poi tornare in Italia dopo essersi lasciata con il compagno cileno.

A proposito di compagni e compagne, le fotografie dell’incidente di ieri a Messina sono gentilmente concesse dalla signora Daisy Callau Rivero, che è l’attuale compagna di Tony Catanoso. “A tutte le donne che ho avuto dopo mia moglie ho sempre detto di non intromettersi nel rapporto con i miei figli, perchè le avrei anche potute amare tantissimo ma mai quanto i miei figli. E invece puntualmente è successo che si sono intromesse: appena hanno iniziato a criticare e commentare, le ho mandate via“.

Sulla vita di Tony Catanoso, l’Indiana Pipps di Reggio Calabria, nipote di San Gaetano e avventuriero giramondo finito con il furgone nel fondale del porto di Tremestieri ce ne sarebbero così tante da scrivere un libro. Che magari vedrà presto la luce proprio in riva allo Stretto…

Tony Catanoso
foto © StrettoWeb
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