Filippo Mazzù: dalla Sampdoria al Palermo, ma con la Reggina nel cuore. E un grande rimpianto…

Filippo Mazzù, professionista nato e cresciuto a Reggio Calabria, dopo gli anni alla Reggina, e i sei mesi alla Sampdoria, è passato al Palermo

StrettoWeb

Per me è “Fil” o, scherzosamente, “Mazzù”. Quando l’ho conosciuto la prima volta andava ancora a scuola, ma scriveva già da qualche anno. Passai a prenderlo da lì un sabato mattina e poi dritti alla casa di Reggionelpallone, creatura di Ferdinando Ielasi, ex addetto stampa della Reggina. Era un sabato, il mio primo sabato “immerso” nelle partite del calcio dilettantistico reggino. Così conobbi Filippo Mazzù. Siamo molto simili, e lo capimmo subito. Poca voglia di stare al centro dell’attenzione, equilibrio, riservatezza. E poi quella comune voglia di emergere e il sogno di diventare giornalisti, di scrivere, di raccontare storie, di vivere emozioni.

Filippo Mazzù, reggino di Campo Calabro, da venerdì è passato al Palermo. Lavora nel mondo digital, curando gli aspetti legati a Marketing e Comunicazione per squadre di calcio. Dopo quattro anni e mezzo di Reggina, e qualche mese alla Sampdoria, ha cominciato una nuova avventura. Sempre in Serie B, più vicino a casa, dall’altra parte dello Stretto, nel mondo che da un po’ di tempo è a tutti gli effetti sotto il dominio del City Group. E’ arrivato venerdì, nel pomeriggio, poi firma ed esordio col botto, col 3-0 al Bari nell’anticipo del venerdì. Il primo pensiero, però, è sempre Reggio Calabria e la Reggina, quella Reggina da cui tutto è iniziato.

Filippo Mazzù e l’inizio della sua storia con la Reggina

Tutto ha inizio nel febbraio del 2019. Erano i primi giorni del mese, Filippo è immerso negli esami universitari (possiede una Laurea Triennale in Scienze dell’Informazione, Comunicazione Pubblica e Tecniche Giornalistiche ed è iscritto alla LUMSA in Marketing e Digital Communication), ma riceve una chiamata. Era Peppe Praticò, addetto stampa di allora e attualmente alla Fenice Amaranto: “possiamo incontrarci?”. Detto, fatto. Arriva la proposta: è arrivata una nuova proprietà (Gallo), vuole ampliare l’area comunicazione, Filippo è il prescelto per dare una mano. Ha gli occhi lucidi, non ci crede. “Per me va bene, accetto pure gratis”. Filippo è entusiasta ed eccitato, gli dicono di attendere: “parla coi tuoi prima, poi fammi sapere”. Lui torna a casa, ci sono i suoi: “vado a lavorare per la Reggina”. E subito la chiamata per accordarsi. Senza esitazione. Il sogno di una vita che si avvera.

L’ufficialità viene data il 14 febbraio del 2019. La sera si giocava Reggina-Potenza. “Ero in Università, ma vengo tempestato di chiamate e messaggi. Mi fa piacere, lì scopro – da dentro – la forza mediatica che ha una notizia nel mondo del calcio”, dice Filippo a StrettoWeb. Da lì è un susseguirsi di emozioni. In quella stagione arrivano i playoff, un entusiasmo ritrovato, i 15 mila contro il Monopoli, il gran gol di Ungaro e poi la splendida stagione successiva, con Toscano e la promozione in Serie B.

Passano i mesi, ma Filippo ancora non realizza. La squadra vince e diverte, il Granillo è pieno, lui si emoziona: “io mi emoziono, più che per un beniamino che conosci di persona, per la passione popolare che c’è dietro uno sport come il calcio. Mi emoziono guardando la gente che si emoziona”. E c’è una partita in cui non capisce più nulla: “guardavo la Curva Sud con gli occhi gonfi, avevo il computer davanti ma non sapevo che fare”.

Foto StrettoWeb / Salvatore Dato

Intanto Filippo, che inizialmente era entrato per dedicarsi maggiormente al settore giovanile, scopre quanto fosse necessario avere una persona totalmente dedicata alla comunicazione sui social, in pratica il social media manager. Lo nota, lo fa presente, e dalla società capiscono la potenza che un brand come la Reggina potesse avere. “E così, tra gli studi che abbinavo, ma anche da auto-didatta, ho avviato questo percorso. E mi ha dato grande soddisfazione”.

Il più grande rimpianto: non aver mai esultato alla promozione in Serie B

Ma è lì che arriva anche il suo più grande rimpianto. La stagione di Toscano, con i gol di Denis e Corazza, è bellissima, ma surreale. Arriva il Covid, tutto si ferma, la promozione della Reggina – meritatissima – arriva però a giugno, non in campo, ma d’ufficio. “Il più grande rammarico, che non riuscirò mai digerire, è non aver mai potuto esultare per la promozione dalla C alla B. Stavamo facendo una cavalcata incredibile. Quando sei a +8 sul Bari inizi a fantasticare su quello che potrà succede all’ultimo minuto dell’ultima giornata. Poi quell’ultima giornata non arrivò e l’urlo è tutt’ora rimasto strozzato in gola”.

L’insospettabile

Ma c’è la Serie B, c’è Menez, ci sono due stagioni altalenanti. E c’è un insospettabile. “Il giocatore più pazzo, divertente e allegro di questi quattro anni e mezzo? Lakicevic. Un one man show, si prestava e sapeva fare gruppo, con il suo modo di fare. A Sarnano ogni sera era un’emozione diversa. In 15 giorni di ritiro, con allenamento doppio, la fatica, lui riusciva ad allietare 60 persone”.

L’emozione più bella e il ricordo più brutto

E’ il momento dei ricordi, belli e brutti. Il più bello dei quattro anni e mezzo di Filippo in amaranto? Facile. “Beh, l’emozione più bella è al gol di Canotto in Reggina-Ascoli. Ero giù, gli ultimi dieci minuti scendo sempre giù, a bordo campo, per qualche contenuto da raccontare in presa diretta. Spesso ci incontravamo con Taibi. Lui è fuori fase quando ci sono le partite. E’ difficile tenergli testa. Nel recupero comincia a dire quanto manca. Noi ci troviamo lì, nella vetrata. E quando segna Canotto… beh, io, nei minuti successivi, ricordo solo schiaffi – in senso buono – e abbracci. Quelle persone che ho visto in quei secondi non le ho più riviste, c’era chiunque. Ricordo gente che si aggrappava alle vetrate. Il ricordo più bello”.

 

E il più brutto? “Maggio-Giugno 2022, quando Gallo esce di scena e si fa sempre più buio. Siamo morti. A Brescia avevamo la sensazione che fosse l’ultima partita della Reggina. E non riesco a paragonarla neanche a quella di Sudtirol, che poi è stata davvero l’ultima. Anche perché, nonostante tutto, non avevi il sentore che potesse essere davvero l’ultima”.

Taibi, i riti scaramantici e Inzaghi

Taibi, dicevamo. Come viveva lui il finale di partita, nessuno. “Gli ultimi minuti preferiva non guardarli. Si nascondeva sotto la Tribuna, camminando, in ansia. E mi chiamava al telefono: ‘Filippo, quanto manca?’ ‘E’ dentro?’ ‘E’ fuori?’. ‘Chi ha segnato?’. Ci teneva alla Reggina. Faceva gruppo. Oltre alla cena con lo staff faceva di tutto per organizzarla anche coi dipendenti”.

E a proposito di cena, c’è quella – scaramantica, rito sacro – del venerdì sera con Toscano e lo staff. “Era sempre al solito locale, al solito posto del locale, seduti allo stesso modo. Poi un giorno il locale chiude e perdiamo a Cava de’ Tirreni. Così il mister comincia a chiamare il proprietario del ristorante e scherzando gli dice: ‘aprici, per favore, solo per noi, mangiamo anche a terra”‘.

Filippo, entrando nel mondo del calcio, scopre quanto questo è scaramantico. “A qualche ‘rito’ ho partecipato pure io. Per esempio a Perugia, quando vinciamo nel recupero per 1-3 a causa dei due errori di Gori, lo scorso anno. Fu la trasferta più fredda dell’anno, ma noi arriviamo, parcheggiamo l’auto in un punto e poi facciamo il giro delle sette chiese. Ce le giriamo tutte, chiedendo la grazia. Che poi arriva, perché vinciamo per 1-3 dopo tanto tempo e anche un bel po’ di fortuna”.

Alla guida della squadra, lo scorso anno, c’era Inzaghi. Un vortice d’entusiasmo anche in società. Filippo precisa: “umanamente mi è dispiaciuto per Stellone. E’ una persona competente, uno che come pochi riusciva a fare gruppo. Poi però leggi Inzaghi e dici: ‘ora che facciamo?’. Una mezza esperienza l’abbiamo avuta con Menez e Denis. Menez aveva un respiro internazionale. Con Inzaghi però saltiamo subito dalla sedia e diciamo: ‘ok, sta per arrivare una persona in cui non esiste posto della terra in cui non sia conosciuto, dobbiamo unire la sua storia a quella della Reggina'”.

Di Inzaghi posso dire che è una persona super umile, un gran lavoratore con uno staff fantastico e super qualificato. Non conosceva giorno e notte. Una cosa che mi ha colpito? La sua incapacità di dire ‘no’, alle persone che lo fermano per strada e gli avanzano una richiesta. A Roma, all’Aeroporto, lui voleva prendere un caffè, e si creavano due file, una per il caffè e una per lui, e quella per lui era più lunga. Ma non solo a Roma, bensì anche a Milano. Chi si avvicinava a lui aveva già il cellulare pronto a scattare la foto”.

La lunghissima chiacchierata con Filippo fatta l’1 febbraio (solitamente, le nostre telefonate non durano mai meno di un’ora e mezza), si conclude con sue precisazioni: “senza Ferdinando non sarebbe arrivata la Reggina e senza Peppe non sarei qui. Poi, Pippo Sapienza, la sua esperienza e come viveva le trasferte”.

Foto di Salvatore Dato / StrettoWeb

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