Troppa ipocrisia sulla tragedia del cantiere edile di Firenze. E sul Ponte sullo Stretto…

Invece di richiedere impossibili restrizioni al subappalto, occorrerebbe pensare a ispezioni e controlli

StrettoWeb

La notizia del tragico crollo di Firenze è di quelle che non vorremmo mai sentire ma che, purtroppo, si verificano con troppa frequenza in Italia. Andare a lavorare per pochi euro, come succede agli operai edili, e non tornare a casa è inaccettabile. Giusto, quindi, indignarsi, chiedere che si individuino al più presto le cause di quanto è successo, punire i colpevoli e fare di tutto affinchè la tragedia non si ripeta.

Quello che ci propongono in questi giorni gli organi di informazione, però, non ci fa ben sperare: una serie di interventi indignati, deduzioni anticipate e, in qualche caso, sentenze inappellabili che lasciano quanto meno perplessi. Convincendoci che a pronunciarsi su quanto accaduto sia gente che, con tutta probabilità, non ha mai messo piede in un cantiere. E non ha mai avuto a che fare con le normative che ne regolano lo svolgimento in piena sicurezza.

Innanzitutto dobbiamo ricordare che quello di Firenze non è il cantiere di un’opera pubblica, ma riguarda un’opera privata, gestita da un’impresa ed appaltata ad altre imprese sulla base di accordi e contratti privati. Tuttavia, non facciamo altro che sentire, dal giorno del disastro, riferimenti indignati sul nuovo Codice dei Contratti Pubblici che, per definizione, interessa le Opere Pubbliche. Una normativa che, in questo caso, c’entra solo perché introdotta a metà dell’anno scorso dal governo in carica.

Subappalti

A scatenarsi, infatti, come vuole una consolidata abitudine italiana, sono gli esponenti politici di opposizione, oltre a quelli sindacali, che hanno subito individuato il colpevole di ogni male nel subappalto. Sottolineando che il costruendo supermercato in cui è avvenuto il crollo viene realizzato con notevole ricorso a subappalti (sembra che ne siano stati siglati una trentina) e che con il nuovo Codice dei contratti Pubblici questo strumento di esecuzione dei lavori edili sia stato totalmente liberalizzato. Dimenticando, incredibilmente, che lo strumento del subappalto, in quel cantiere come in tutti i lavori privati, può essere utilizzato in maniera del tutto legittima, secondo le norme del Codice Civile.

Anche passando al campo delle Opere Pubbliche, che certo non sono esenti da tragedie, se il nuovo Codice ha allargato le maglie sui subappalti non lo ha fatto per un capriccio del governo in carica, in un impeto di liberalismo, ma per una precisa esigenza: quella di adeguarsi alle direttive dell’Unione europea. Strano ma vero, la normativa UE non pone alcun limite al subappalto.

Il nuovo Codice

Per giunta, il nuovo Codice, in maniera inspiegabile, non la recepisce integralmente, mantenendo un limite del 50% ai subappalti che riguardano la “categoria prevalente”. Essendo ogni appalto identificato da una o più categorie di lavori, definite da una classificazione ben precisa, (ad esempio lavori stradali, opere impiantistiche, condotte idriche, etc.), la “prevalente”, come dice il termine, è quella di maggior importo. Può quindi capitare che, in presenza di una sola categoria (che giocoforza sarebbe identificata come “prevalente”) l’attuale Codice vieti ancora di subappaltare la metà dei lavori. In palese contrasto con la normativa UE ed in barba al presunto “liberi tutti” attribuito all’attuale normativa da chi commenta i fatti, anche tragici, ispirato dall’insana abitudine di fare politica, sempre e comunque.

Contratti di subappalto

Nessuno si è mai preoccupato, invece, di entrare minimamente nel merito dei contratti di subappalto: come sa bene chi ha avuto un po’ di pratica nel settore, ed i cantieri non li ha visti solo in TV, si tratta quasi sempre di veri e propri contratti capestro. Centinaia di pagine piene di obblighi solo ed esclusivamente a carico delle imprese subappaltatrici che, oltre ad accedere ad un utile ridotto all’osso, vengono caricate di infiniti oneri e responsabilità. Nulla, nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici (ma neanche nei precedenti, varati anche da chi, oggi, si indigna) limita l’arbitrarietà di questi accordi tra imprese che tutelano solo i più forti, a danno di quella piccola e media impresa di cui, a parole, tutti si fanno vanto. Una classe politica meno ammiccante alle grandi imprese e meno ipocrita, anziché chiedere impossibili divieti, avrebbe dovuto trovare il modo di normare questi aspetti, anche in campo privato.

Rimane comunque da chiedersi come mai in Europa, dove il subappalto è completamente liberalizzato, non si verifichino tragedie come quelle a cui dobbiamo assistere periodicamente in Italia. E ciò avviene in presenza di una normativa sulla sicurezza che, a detta di tutti gli esperti del settore, è fra le più restrittive al mondo e vale sia per i cantieri pubblici che per quelli privati.

Alla risposta si arriva facilmente, e non è molto comoda per chi continua ad indignarsi a memoria, ricorrendo alle solite accuse alle norme o al governo di turno. Come sempre ce la forniscono, al di là delle speculazioni, i freddi numeri, in particolare, quelli dei controlli nei cantieri, che dalle nostre parti sono molto meno frequenti che nel resto d’Europa.

Controlli

Gli organismi proposti ai controlli, nei cantieri pubblici come in quelli privati, negli ultimi decenni sono stati lasciati colpevolmente sguarniti. Nel 2015, l’Inail aveva 470 ispettori che si sono ridotti a meno di 200 nel 2022; l’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) aveva 1600 ispettori nel 2015 e ne contava 970 nel 2022, con intere province ed addirittura regioni come il Molise sguarnite. Ciò spiega molto bene come mai questi incidenti capitino indifferentemente nei cantieri pubblici come in quelli privati dove, secondo le statistiche, un’impresa edile viene ispezionata ogni 14 anni, che lavori o no in subappalto. Non c’è da meravigliarsi, quindi se nel 2023 si siano registrati 1091 morti sul posto di lavoro, tre al giorno; nel 2024 i morti sono già 145.

Le colpe di questa carneficina, ovviamente, vanno equamente distribuite a chi ha governato, almeno, negli ultimi 50 anni, ma anche a chi ha lasciato che questo avvenisse senza muovere un dito. Anche tra gli stessi rappresentanti dei lavoratori, che, anziché ridursi, come spesso accade, a meri portavoce di una parte politica, dovrebbero tutelarne i diritti.  Tra questi, in primis, quello di tornare sani e salvi a casa a lavoro finito.

Ponte sullo Stretto

Ultima riflessione: nei prossimi anni l’Italia sarà chiamata a far fronte ad una delle più grandi opere mai realizzate, il Ponte sullo Stretto. Ci auguriamo che si pensi per tempo ad evitare quello che le tante cassandre di casa nostra paventano da sempre. Insieme ai controlli sopra rammentati occorre organizzarsi in sinergia con il tessuto imprenditoriale locale affinchè subappaltatori, fornitori, impiantisti siano all’altezza del compito da svolgere, tenuto conto della complessità tecnica delle opere e considerando la riduzione dei margini per l’impresa che effettivamente andrà a realizzarle. Dal canto loro, gli enti territoriali, ancora inutilmente impegnati a dividersi tra favorevoli e contrari all’opera, farebbero meglio a predisporre la loro parte di vigilanza attiva.

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