Il mistero del giovane morto nel carcere di Arghillà: nuovo esame autoptico su Antonino Saladino

Rigettata per la terza volta la richiesta di archiviazione del caso della morte, ancora con cause ignote, di Antonino Saladino nel carcere di Arghillà

StrettoWeb

La famiglia di Antonino Saldino chiede semplicemente la verità. Da sei anni. Sei lunghi anni durante i quali si sono susseguite mezze certezze, ipotesi, errori, lacune. Una serie di elementi che, sedimentandosi l’uno sull’altro, costringono oggi chi ha amato Antonino a non sapere quale sia stata la causa della sua morte, sopraggiunta a soli 29 anni mentre si trovava ristretto nel carcere di Arghillà, a Reggio Calabria.

Di recente il tribunale ha rigettato per la terza volta la richiesta del pubblico ministero di archiviare il caso. Secondo il Gip bisogna prima vederci chiaro. E di chiaro in questa triste vicenda c’è ben poco.

Rigettata per la terza volta la richiesta di archiviazione

All’esito della camera di consiglio del 20.02.2024, il Gip del Tribunale di Reggio Calabria dott. Antonino Foti ha rigettato la richiesta di archiviazione avanzata dal p.m. nell’ambito del procedimento penale instaurato a seguito della morte di Antonino Saldino. Si tratta del terzo rigetto alla richiesta di archiviazione in poco più di due anni“, scrive in una nota il legale della famiglia Saladino, Pierpaolo Albanese.

La vicenda risale al marzo del 2018 quando il Saladino, all’epoca non ancora trentenne, si trovava ristretto in custodia cautelare presso il carcere di Arghillà. Le condizioni di salute del giovane, che secondo il racconto fornito dai compagni di cella già da diversi giorni accusava malesseri fisici e richiedeva visite mediche, precipitava il 18 marzo 2018 quando, dopo vari accessi in ambulatorio, il detenuto moriva presso l’infermeria del carcere reggino – prosegue la nota -. Già in passato, il Gip, per ben due volte, aveva restituito gli atti al p.m. rilevando la lacunosità delle indagini e sollecitando una serie di approfondimenti investigativi diretti a chiarire le cause del decesso e le modalità di gestione della malattia del Saladino da parte dei sanitari dell’istituto carcerario“.

A distanza di sei anni dalla morte del giovane, il Gip, accogliendo i motivi di opposizione formulati dall’avv. Pierpaolo Albanese legale della famiglia Saladino, ha ordinato per la terza volta la prosecuzione delle indagini disponendo, tra l’altro, un nuovo esame sui reperti autoptici“, conclude la nota.

Cosa accadrà ora?

Il Gip ha disposto di procedere con nuove analisi e ha nominato un collegio di periti per un ulteriore accertamento sui reperti autoptici prelevati all’epoca. Sono però passati sei anni e l’esame tossicologico previsto per verificare le cause della morte arriva quanto meno tardivo.
Inizialmente i periti, sia quelli di parte che quelli nominati dal pm, erano concordi sulla causa del decesso. Si era parlato di sepsi: un’infezione iniziale che si era sovrapposta a qualcos’altro. Ma a cosa? Sulla risposta a questa domanda i periti si erano divisi. Secondo i consulenti del pm si era trattato di qualcosa di repentino, mentre per i legali della famiglia si è trattato di una malattia che si è evoluta per giorni, in cella. I compagni di cella riferirono infatti che Nino lamentava dolori da giorni e questo proverebbe che si trattava di una malattia con evoluzione lenta.

Dall’ultimo approfondimento fatto, poi, il nuovo consulente del pm aveva avanzato una nuova teoria: intossicazione da farmaci, nello specifico da paracetamolo. Ma la tesi non ha convinto. Il giovane avrebbe dovuto assumere venti pastiglie in un giorno. Dove le avrebbe prese? Anche in questo caso nessuna certezza, ma solo ipotesi. L’esame tossicologico è stato chiesto ora dal Gip, quindi il consulente che ha parlato di intossicazione ha avanzato un’ipotesi senza alcuna certezza, dato che un esame tossicologico ancora non è stato fatto.

Di cosa è morto Antonino Saladino?

Ora, spiega l’avvocato Albanese, è quanti mai necessario “stabilire le cause della morte e capire se ci sono responsabilità“. All’epoca dei fatti era stato visionato dai periti il diario carcerario, dal quale però non emergeva il fatto che Antonino fosse stato visitato in altri giorni non riportati in quel diario. Le circostanze sono emerse da altri registri: il giovane, che accusava malessere da tempo, era stato curato da infermieri con terapie a base di paracetamolo e ketoprofene, dietro suggerimento di medici probabilmente sentiti solo per telefono dagli stessi infermieri. In quelle occasioni Nino non era stato visitato da alcun medico.

Ora saranno necessari altri quattro mesi per sapere se c’è ancora speranza che emergano particolari illuminanti dai nuovi esami autoptici e dal tossicologico. “C’è scetticismo – ci dice il legale amareggiato – ma finché abbiamo delle possibilità andiamo avanti“.

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